Rotazione terrestre

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Come al solito, scegliere il momento e il luogo adatto per parlare di cose importanti non era il mio forte.

C'era un casino infernale in casa, tra Lele e Valerio alla Playstation e Cecilia che strimpellava la chitarra insieme a Diego, perciò noi un po' di intimità ce la potevamo solamente sognare, ma d'altronde ormai erano passate settimane, non era una novità.

Le detti un bacio a stampo, prima di iniziare, e Luce sorrise, sistemandosi meglio sulla mia spalla.

"Abbiamo programmato di scendere a Roma il prossimo weekend." Le dissi, tutto dʼun fiato.

Sembrò incupirsi un po', come se non fosse particolarmente felice di doversi separare da me, ma comunque non era ancora al corrente della parte migliore.

"Oh, okay. Vedo se riesco a riorganizzare le cose in radio così riusciamo a vederci più spesso in questi giorni, se nel fine settimana non ci sei." Rispose, iniziando a sistemare alcune pieghette del copriletto per non guardarmi negli occhi.

"Penso che dovresti riorganizzarle, sì, ma in un altro modo."

A quel punto si fermò, incuriosita.
"Smettila con gli indovinelli di merda, che significa?"

"Hai detto di non esserci mai stata, sinceramente è inaccettabile. Ti invio il tuo biglietto sul cellulare, vieni con noi."

Restò con la bocca spalancata, a metà fra lo scioccato e l'entusiasta, ma quando il momento shock passò mi tirò uno schiaffetto sul braccio.

"Prima di tutto, te lo pago, e non voglio sentire ragioni, secondo, sei... sicuro? E dove dovrei stare?"

"Dove credi di stare, mh? Accampata in una tenda sulla Tiburtina? Vieni da me."

"Da..." Si perse nei suoi pensieri, come se stesse realizzando solo in quel momento che avrebbe dovuto conoscere la mia famiglia, e mi parve di vederla impallidire notevolmente. "Da te? No, non preoccuparti, io prendo... un albergo."

"Un cosa?" Le alzai il mento con le dita, in modo tale da guardarla dritta in faccia. "Non pensarci nemmeno, ma che cazzo di senso avrebbe? Vieni con me, da me. Fine della discussione."

Purtroppo non finì nulla, perché passammo ogni singolo giorno precedente alla partenza a litigare rigurardo quel punto, e mi ero veramente avvicinato al gridarle "Sai che c'è? Se non ti va resta a Milano", ma la parte più razionale di me si era sempre fermata in tempo, cercando di pensare al fatto che per lei fosse la prima volta, e che si trattasse comunque di un passo importante.

Non ne avevo parlato direttamente con i miei genitori, perché ancora non sapevo bene cosa dire, perciò avevo deciso di temporeggiare fin quando non li avrei visti faccia a faccia, commissionando il compito di avvisarli a qualcun altro.

"Stai bene, Clarì?"

"Sto bene, sì. Forse starei ancora meglio se tu telefonassi più spesso, ma ci ho fatto il callo.
A proposito, come mai ti sei degnato di alzare la cornetta?"

Mi mangiucchiai unʼunghia, perché, come sempre, quando mi riproveravano mi sentivo una merda.
E quando erano le mie sorelle a farlo forse era ancora peggio.
Perché, essendo noi tre più o meno coetanei eravamo praticamente cresciuti insieme, avevamo condiviso tutto, dalla stanza da letto quando ancora vivevamo nella casa vecchia, alle strigliate che ci prendevamo quando combinavamo un disastro, alle cadute sugli sci, tutto.

Clarissa era più grande, ed era stata lei la prima ad andar via, anni fa, a causa dell'Università, però lo aveva fatto in modo diverso.
Chiamava o videochiamava almeno due volta al giorno, mandava continui messaggi nel gruppo della famiglia, documentando con foto e video tutto ciò che faceva.
Ci mancava, certo, ma riusciva sempre a far percepire la sua presenza.

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