Buona cena

1.2K 86 22
                                    


Tu sei la sola che può amare il diavolo che ho dentro
Sono una rosa che brucia in eterno
Sono inferno e tu il mio paradiso
O mi salvi o bruci con me”

“Tanche, cerca di calmarti, oppure finirai per spiaccicarti contro una macchina.”

Mi aveva detto Lele, prima di darmi un bacetto sulla guancia e lasciarmi andare.

Mi ero pulito dalla sua saliva appiccicosa e gli avevo voltato le spalle senza dire una parola, tenendo il mio skate con una mano mentre con l’altra pigiavo il pulsante dell’ascensore.

Una volta dentro, mi sistemai ancora una volta i capelli, sbuffando continuamente.

Mi ero cambiato dieci volte, forse quindici.

Non sapevo proprio quale fosse l’outfit giusto per farsi ammazzare.

Forse ero esagerato, ma come altro avrei dovuto sentirmi al pensiero di conoscere la famiglia della mia ragazza, il padre della mia ragazza, e di essere il primo in assoluto a ricoprire quel ruolo?

Ero stato presentato ad altre famiglie, ma in circostanze diverse: Luce non aveva portato nessun altro ragazzo a casa, perciò, tutta la responsabilità ricadeva su di me, dovevo fare una buona impressione e….
Come ci si vestiva da bravo ragazzo? Come ci si comportava? Quali erano le cose giuste da dire e non dire?

La camicia era troppo formale.

La salopette faceva hippie schizzato.

Il capello e un felpone nero da vandalo mancato, come diceva lei, mentre invece una felpa più colorata, magari con la stampa di un disegno, mi faceva sembrare infantile.

Ecco perché ero stato due ore buone in camera con l’armadio spalancato, quasi sfiorando una crisi di pianto.

Poi, sentendomi imprecare e sbattere le ante, era arrivato Lele in mio soccorso, ma io volevo qualcun altro, chiunque altro che non fosse lui.

Perché, parliamoci chiaro, cosa ne sapeva?

Così l’avevo trattato di merda, tanto per cambiare, e lui ci era passato sopra senza arrabbiarsi, tanto per cambiare.

Ero piuttosto convinto che l’avrebbero fatto santo.

Comunque, nemmeno Diego e Gian erano stati di aiuto, io non avevo bisogno delle frasette da mental coach del tipo ‘sii te stesso’ o cazzate del genere, perché se fossi stato me stesso mi avrebbero buttato fuori casa dopo sette secondi, forse meno.

Non potevo essere quel Tancredi cinico, spocchioso e
saccente che mostravo a tutti.

E avevo bisogno che qualcuno mi aiutasse a scegliere i vestiti, ma cosa potevo pretendere da loro?

Ero io l’esperto in quel campo.

Così, dopo aver appurato che i loro consigli erano utili quanto l’aria fritta, avevo deciso di fare da me.

Una t-shirt a tinta unita e un paio di jeans avrebbero fatto la loro figura, le mie Jordan, il profumo, et voilà.

Ma mi stavo ancora cagando addosso, e Lele aveva ragione.

Se non avessi fatto attenzione alla strada sarei finito con l’andare al pronto soccorso.

Mi fermai un secondo, approfittandone per prendere fiato, e collegai le AirPords col Bluetooth, facendo poi partire una chiamata a mia madre.

Edo?” Rispose dopo un paio di squilli, con un tono quasi allarmato. “Stai bene?”

Infilai il telefono in tasca, dandomi una spinta col piede per far ripartire la tavola. “Sì ma’, sto bene.”

Defenceless Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora