Qualcosa in più

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"Se ti do tutta la mia vita
Giura che poi tu te la stringi al petto forte
E poi però
Me la riporti indietro con qualcosa in più."

Vita - Carl Brave

"Innanzitutto, la rotazione terrestre dipende solo da me." Risposi, facendolo ridere. "E in secondo luogo... non le ho chiesto di essere la mia ragazza. Dovrei farlo? Non è un po' old school?"

Papà scosse la testa, come rassegnato. "Come puoi avere tante ragazze che ti corrono dietro e non comprenderle nel modo più assoluto? Ogni essere umano di genere femminile apprezzerebbe una domanda del genere o una dichiarazione, fidati."

Non avrebbe avuto un'altra dichiarazione da me, mi ero già esposto a sufficienza ammettendo di essere geloso, però, potevo, ecco...dirle che eravamo una coppia, o comunque qualcosa del genere.

Mi voltai nuovamente a guardarla, trovandola in piedi mentre aiutava mamma a sparecchiare.

Urtò un bicchiere con la mano, facendo rovesciare un po' d'acqua sulla tovaglia, ed iniziò a scusarsi come se avesse preso a coltellate qualcuno.

Sorrisi, rientrando in casa e avvicinandomi alla tavola.

"Tipico." La presi in giro, tamponando il macello con un tovagliolo. "Maldestra come una bimba di quattro anni."

Lei alzò lo sguardo di scatto, e se avesse potuto uccidermi ero sicuro che non avrebbe esitato. "Io non-" Potei vederla cacciare indietro gli insulti che teneva in serbo per me sulla punta della lingua. "Non ho fatto apposta, mi dispiace."

"Oh, tesoro, non dargli retta." La tranquillizzò mamma. "È solo un po' d'acqua, asciuga."

"Lo so, ma sono mortificata lo stesso. Posso aiutare con il caffè?"

"Senza rovesciarlo, possibilmente." Dissi, guadagnandomi un'altra di quelle occhiatacce assassine.

"Sei veramente una merda, ma come ti sopporta questa poveretta?" Chiese Clarissa, mentre io continuavo a ridere sotto ai baffi e due delle mie donne preferite sparivano in cucina.

"Poverina lei? Dovreste sentirla, di certo non è composta come vuole farvi credere, sono io, il poveretto qui."

Le mie sorelle mi guardarono da sotto in su, con la stessa identica ed inquietantissima espressione in viso, e, in coro, risposero con un "non credo proprio."

"Oh mio Dio, eri bellissimo." Si portò la foto ad un centimetro dagli occhi, sorridendo in un modo estremamente dolce. "Quanto avevi?"

"Cinque anni, o qualcosa del genere." Risposi, strappandole dalle dita un reperto di me a carnevale vestito da dinosauro. "E sono bello tutt'ora, se non ti dispiace."

Sbuffò, ma in compenso fece scivolare una mano all'interno dei miei capelli, come ormai stava facendo da minuti, se non ore.
La rilassava, e rilassava anche me.

Non essendo mai stato totalmente e completamente innamorato, mi ero chiesto per anni cosa dovesse significare fare l'amore con una persona, sentirsela vicina in ogni senso, completamente, e non solo per una questione di piacere nettamente fisico.
E quella sera, nella mia cameretta a Roma, nel mio posto sicuro, felice, con le sue labbra che mi bruciavano la pelle del petto, quelle mani che non avevano quasi mai abbandonato la mia testa, e i respiri strozzati per non farci sentire dal resto della mia famiglia, avevo sentito di esserci andato vicino.

Avevo sentito qualcosa in più.

Era stato diverso, strano.

Era ovvio che desiderassi Luce dal primo istante in cui l'avevo vista, era bellissima ed ero sempre stato estremamente attratto da lei, ma quel desidero di fare le cose per bene, sommato al via vai continuo che c'era sempre in casa nostra a Milano, mi avevano portato a non combinare nulla per settimane.

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