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LELE

“Ma si è alzato? Abbiamo il treno tra due ore e non ha ancora infilato nella valigia nemmeno un paio di mutande.”

“Dagli cinque minuti ancora.” Risposi, riponendo la mia tazzina nella credenza. “Cʼè Luce con lui, di solito la ascolta.”

“La ascolta? È passata mezzʼora.” Proseguì Diego, in piedi di fronte a me con le braccia conserte. “Se facciamo tardi, proprio noi, proprio lui, Giulia ci ammazza.”

“La ascolta, ti dico.” Ripetei di nuovo, e, proprio in quel momento, lo vedemmo uscire dalla sua stanza sbuffando.

“Fosse ora.” Esclamò Gian, facendo una faccia sorpresa.

Tancredi, stranamente, si limitò ad alzare il dito medio, fecendomi ridere.

Aveva parlato solamente con me di quanto gli pesasse venire a quella festa, ma comunque, anche gli altri, non essendo stupidi, sapevano cosa pensasse.

Durante quella settimana aveva passato più tempo del solito con Luce, ma nonostante questo, lei era riuscita a non fargli scoprire che a causa della sua partenza imminente stava diventato una specie di ciminiera.
Non appena si staccavano un istante, fumava.
Ancora, e ancora e ancora.

Per questo le avevo promesso che durate il weekend sarei stato appiccicato a Tancredi, così da tranquillizzarla ed evitarle una morte precoce.

Tenevo tanto ai miei amici, forse troppo, e mi sarei letteralmente diviso in cento pezzi diversi per farli stare bene.

Raggiunsi Luce nella stanza di Gian e Tanc, trovandola che rifaceva il letto con le finestre spalancate.
Non eravamo molto fan del traffico e dello smog di Milano, inoltre, ormai molte ragazzine conoscevano il nostro indirizzo, perciò a causa di queste due cose, tendevamo a tenere i vetri delle stanze quasi sempre chiuse.
Forse non molto igienico, ma ecco spiegato perché la guardai storto.

“Non dire niente.” Mi sgridò subito. “Sto solo facendo passare un poʼ dʼaria.”

Mi riferì poi che il mio amico si stava facendo una doccia, sospirando, con un faccino estremamente triste.

Ormai la conoscevo bene, ci eravamo legati moltissimo, seppur in poco tempo, e, nonostante la gelosia morbosa del suo fidanzato non avevamo mai rinunciato al nostro rapporto.
Le volevo realmente bene come se fosse mia sorella, ci trovavamo a parlare di tutto, avevamo una sintonia speciale, forse perché eravamo uguali in tante cose, anche se non in tutte.
Per esempio, io ero decisamente più coccolone di lei.

“Vieni qua” La esortai infatti ad abbracciarmi, vedendola così giù di morale.
Sì attaccò al mio corpo come un koala, facendomi sorridere, e le baciai la testa. “Andrà tutto bene, fidati di me. Ti ricordi chi è sempre il più sobrio tra noi, no?”

“Tu.” Rispose, con un filo di voce, e la guancia ancora spiacciata sul mio petto.

Io.

Sì, ero io.

Ero anche quello solitamente più capace a togliere le persone dai guai, quello più accomodante, il meno orgoglioso, il più disponibile.

E non è che mi pesasse, però, a volte, tendevano ad approfittarsene. O a non capire che non era possibile che io stessi in quarantotto posti contemporaneamente.

Mi sarei fatto in cento pezzi diversi, sì, peccato che materialmente non potessi, perché ancora non possedevo il dono dell'obiquità.

“Ei, ragazzi.” Si avvicinò Giulia, cinque minuti dopo che fu partito il treno. “Mi dispiace che Diego non abbia potuto sedersi con voi, non cʼerano più posti qui.” Guardò me e Gian per un millesimo di secondo, riportando poi i suoi occhioni sullʼunica persona che realmente le interessava.

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