Minou

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Si ha la tendenza a classificare le prime volte come qualcosa di speciale, indimenticabile ed unico, quando in realtà nella maggioranza dei casi si rivelano solamente delle gigantesche schifezze.

Il mio primo bacio era stato solamente uno sconclusionato scontrarsi di denti, pieno di saliva e con le lingue che si muovevano come serpenti impazziti. La mia prima sbronza mi aveva fatto venire un mal di stomaco tale, che quando finalmente ero riuscito a vomitare, quasi mi aspettavo di rigettare gli organi interni.
Quando mi ero fatto la prima canna per poco non mi ero strozzato, e la prima volta che ero andato a letto con una ragazza ero impacciato, mi vergognavo e tremavo letteralmente dalla paura, così tanto che lei continuava a chiedermi se avessi freddo.
Non molto eccitante.

Perciò non capivo cosa ci fosse di così speciale nelle prime volte, perché qualsiasi cosa migliorava dopo un poʼ, con lʼesperienza, la consapevolezza e lʼacquisizione di più sicurezza in sé stessi.

Il mio primo San Valentino da fidanzato era stato lʼennesimo flop, non avevo idea di cosa organizzare perciò avevo commesso la banalità di aggregarmi alla massa con cioccolatini e fiori, rendendo la persona in questione non molto felice.

Era forse una di quelle cose che non avevo imparato a gestire, nonostante lʼesperienza.
Perché ogni ragazza è diversa, le piacciono cose diverse e si aspetta sorprese diverse.

Non sapevo ancora cosa piacesse a Luce, non con certezza, ma ciò di cui ero sicuro invece era che non si aspettava proprio niente, perché ancora non ero riuscito a farle capire quanto per me fosse importante.

Per questo avevo deciso di passare oltre il mio confine, sforzandomi di fare un gesto che fino a qualche tempo fa nemmeno avrei avuto il coraggio di pensare.

«sono live tra poco, ti scrivo quando finisco

Recitava lʼultimo messaggio che mi aveva inviato, ma io lo sapevo già, seguivo quello stupido programma da un paio di giorni ormai: le persone telefonavano a Luce e Tommaso (sì, lʼavevo finalmente imparato) per farsi aiutare a risolvere i loro problemi di coppia, in vista dellʼimminente festa degli innamorati.

Inspirai, espirai, ed infine composi il numero che avevo imparato a memoria, dato che veniva ripetuto cento volte a puntata.

"Passateci pure la prossima chiamata, pronto, chi parla?"

Avevo pensato anche a quel dettaglio.
Un giorno lei mi aveva detto che le piaceva che la chiamassi Lù, che le piacevano in generale i soprannomi, ed era particolarmente affezionata a quello che le aveva dato suo fratello: Luli.
Io le avevo risposto: "È carino. Invece, come se il mio nome non fosse sufficientemente strano, i miei mi chiamano Edo. Non Tanc, non Tanche o Tancrè, ma Edo."

"Mi chiamo Edo." Risposi perciò.

Sapevo che avrebbe capito, che ci sarebbe arrivata.
Doveva. Ma non rispose, lo fece il suo collega.

"Ciao Edo, da dove chiami?"

"Milano. Sono di Roma però, forse si sente."

"Sì direi che si sente, decisamente. Allora Edo, quanti anni hai e come mai sei qui a parlare con noi? Hai combinato qualcosa?"

"Ho vent'anni, ventuno tra qualche mese." Dissi, chiedendomi per quale ragione Luce continuasse a non proferire parola.

Possibile che non avesse afferrato?
Dʼaccordo, non le avrei lasciato più dubbi.

"Chiamo perché cʼè una ragazza con cui mi sento da qualche settimana, tra lʼaltro anche se ci conosciamo da poco con lei ho anche sbagliato qualcosa, però ora siamo a posto, a parte il fatto che continua a darmi del cazzone."

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