Ti dico di no

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“Allora, ometto”

Arriciai il naso, in unʼespressione di disgusto. “Non chiamarmi così, ma’, non mi piace.”

“Ti chiamo come voglio.” Mi fece un carezza, per poi sospirare. “Mi mancherai, torni presto, sì?”

Annuii, sentendo la gola inspessirsi.
In quei giorni mi stavo commuovendo decisamente troppo. “Certo, appena posso.”

Sorrise, con quel sorriso che raccontava quanto mi amasse più di ogni altra cosa, quanto fosse fiera di me e del fatto che stessi diventando adulto.
Mi morsicai forte l’interno delle guance per impedire alle lacrime di bagnarmi il viso.

Poi, posò gli occhi su Luce, che stava abbracciando le mie sorelle.

“Cosa?” Domandai, dopo essermi schiarito la voce.

“Cosa?” Mi imitò.

“Dai ma’, lo vedo che stai morendo dalla voglia di dire qualcosa. Spara.” La incitai, e allora mi accontentò.

“Tuo padre ha sempre avuto un caratteraccio, oltre che un modo di fare quasi autolesionista, che lo spingeva ad allontanare chiunque.” Spiegò, con calma. “Però io ho lottato con le unghie e con i denti per arrivare al suo cuore, per fargli capire che sarei rimasta. E ora guardaci.”

Non risposi, non del tutto sicuro di dove sarebbe andata a parare, semplicemente, continuai a guardarla.

“Quella ragazza sta facendo lo stesso con te, lo vedo. L’hai lasciata entrare.” Mi puntò un indice sul petto, allʼaltezza del cuore. “Qui.”

“Non pensi sia un tantino eccessivo paragonarci a te e papà?”

“Forse.” Alzò le spalle. “Ma era per farti arrivare il concetto. Mi sbaglio?”

“No, credo… che sia vero.” Ammisi, guardando il soffitto. “L’ho lasciata entrare, sì. Le ho lasciato scalfire qualche strato di me.”

“E?”

“E niente.” Tagliai corto, non sapendo più come continuare. “Mi piace che mi conosca più a fondo di altri, mi piace aprirmi con lei. Comunque, mamma, parlartene è imbarazzante.”

“Ti sei innamorato?”

Sbarrai gli occhi, fecendo un piccolo passo indietro, come a volermi ritrarre da ciò che mi aveva appena chiesto. “No.” Risposi, quasi con un sussurro. “No, ti pare? È comunque ripeto: tutto questo è imbarazzante.”

“Vedrai che presto mi darai ragione. Ora vado a prendere i biscotti che ho fatto, così Luce se ne porta un po’ a casa. Tu saluta le tue sorelle.”



“Che hai?”

Mi calcai meglio il cappello sulla testa, per poi scuoterla. “Nulla, cosa vuoi che abbia?”

Evitai di guardarlo in faccia, sapendo che mi avrebbe sgamato allʼistante.
Avevamo una connessione speciale, diversa.
Tutti e tre erano in grado di capire i miei stati dʼanimo con un niente, nonostante io lottassi per tenerli per me, ma con Lele era ancora peggio.
‘Hai gli occhietti spenti, lo so che qualcosa non va’
Mi diceva, ogni qual volta si accorgeva di quel particolare.
Ed io, come un miserabile, cedevo.

Essendo rientrati a Milano solo ieri, ci servivano provviste, e avevano mandato noi a fare la spesa.

Per questo, mi voltai verso lo scaffale della pasta, fingendo di sceglierne la marca e la forma.

“Tanche” Mi chiamò, con quel suo tipico tono, trascinando la e finale. “Le solite penne Barilla andranno benissimo, ti giri, per piacere?”

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