E tu verso di me

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“Dobbiamo chiamare i rinforzi.” Sentii dire a Diego, vedendomi in quello stato, ma non ci detti peso.

Non mʼimportava chi avrebbe chiamato, non mʼimportava di niente che non fosse...il mio rosso che mi mancava dannatamente tanto.

“No.” Lo fermò Lele. “Prima di tutto” Si rivolse a me “Che hai fatto alla bocca?”

“Un tizio.” Strascicai, appoggiandomi al muro dietro di me. “Indossava il rosso. Il rosso è mio, glielʼho detto e si è arrabbiato.”

Diego scoppiò a ridere, facendo un sacco di rumore come al solito. Lo odiavo. “Abbassa la voce, Cristo. Vuoi fare a pugni anche tu?”

Lui, di tutta risposta, rise più forte. “Lo vedete che ha bisogno di aiuto? Pensa addirittura di poter fare a pugni con me, gli è partito il cervello. Non te lo ricordi che faccio arti marziali? Ti riduco a brandelli, scricciolino.”

Lo ignorai, voltandomi verso Gian, che per il momento ancora deteneva il record di non avermi fatto arrabbiare. “Secondo te mi odia?”

“Chi, fratè? Diego? No, ti sta solo prendendo in giro, vedrai che-”

“Non Diego.” Sospirai. “Luce. Cioè, e se Luce mi odiasse per davvero? Lo sai che non mi piace quando la gente mi odia, però forse con Luce sarebbe anche peggio, perché lei è Luce, e se Luce mi odiasse... non voglio che mi odi.” Piagnucolai, lasciando tutti a bocca aperta.

Probabilmente non mi avevano mai visto in quelle condizioni, sembravo così sottone.
Ed io non lo ero mai.
Non alla luce del sole.

Mi scappò un risolino, Dio, ero davvero ridotto male per farmi prendere in giro perfino dai miei pensieri.

“Vedi Lè, dobbiamo fare quella telefonata.” Ricominciò Diego, così iniziarono una discussione della quale non captai quasi nulla, avevo la vista mezza offuscata e concentrarmi su qualsiasi cosa mi veniva difficile.

Comunque, il campione di arti marziali dopo qualche minuto sembrò avere la meglio, mettendosi a trafficare con i cellulari, per poi portarsi il suo allʼorecchio.

Sollevai lo sguardo solo quando sentii quel nome di nuovo, senza nemmeno capire il motivo della conversazione, o con chi stesse parlando.

“Luce? Perché parli di Luce? Perché tutti parlate di Luce? Vi spacco la faccia, adesso!” Urlai, mentre Lele sembrò tapparsi gli occhi le mani, forse era disperato. Non avrei sputo dirlo con certezza.

Mi scollai dalla parete, barcollando fino al centro del marciapiede, ma inciampai, strisciando con i piedi fino al centro della carreggiata, proprio mentre passava unʼauto.

“Tanc, togliti dal mezzo della strada!”

Se Gian non mi avesse strattonato, probabilmente avremmo finito la serata in ospedale.
Divertente.

Diegò riattaccò, dopodiché decisero, dato il mio quasi incidente, che ero troppo ubriaco perfino per i loro gusti. Così, mi accerchiarono come se fossero dei gangster che miravano a rubarmi il portafoglio, suggerendomi di vomitare o di bere da una fontanella, ma io continuavo a battere i piedi e a gridare di no, come un bambino, e andò avanti così per un tempo che non avrei proprio saputo definire.

“Non bevo da lì, sul serio, basta! Lo fanno i cani, che cazzo!”

“E allora prova a rimettere, Tanche. Starai meglio.” Ripetè Lele per la centesima volta. “Vuoi che ti metta le dita in gola io? Lo sai, che per il tuo bene lo farei.”

“Non voglio vomitare, non mi piace vomitare! E non voglio le tue manacce in bocca, hai capito? Vai via! Andate tutti via! Mi soffocate, mi manca lʼaria!”

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