Polvere

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La paura è per gli sciocchi, per i deboli, per quelli che non sanno essere all’altezza delle situazioni.
La paura è per chi sa di non potercela fare, per chi non crede sufficientemente nelle proprie capacità.

Per questo, io, non potevo mai dimostrare di averne.

A nessuno.

Perché Tancredi è sicuro di sé, Tancredi è forte, Tancredi ha tanta autostima, Tancredi è quella persona che non deve sbagliare mai.

Ma la realtà era che sbagliavo eccome, non ero perfetto, non ero come mi vedeva la gente, come io, cercavo di farmi vedere dalla gente.

E sì, a volte avevo anche paura.

La mia più grande paura, come mi ripetevo spesso, era quella di deludere gli altri.
Cioè, quelli a cui tenevo.

Di rimanere solo, senza tutte quelle persone di cui sapevo di avere bisogno, nonostante non lo ammettessi mai.

E ormai era chiaro, che tra quelle persone rientrasse anche Luce.

“Dove siamo?” Mi chiese, guardandosi in giro spaesata. Sorrisi, continuando per quella stradina.

Era buio ormai, avevamo cenato in un ristorante tipico romano, dopodiché l’avevo trascinata con me senza spiegarle il motivo.

In realtà era tutto il giorno che la portavo in giro, per farle vedere principalmente le attrazioni turistiche.
Le avevo recuperato una vecchia Nikon, costringendola a scattare centinaia di foto della città del mio cuore, sperando che rapisse un po’ anche il suo.

Però volevo che conoscesse anche i miei posti, quelli che non si trovavano sulle mappe.

“Oi, sei sordo? Mi dici dove siamo?”

“Lo sai che io so andare sullo Skateboard?” Le domandai, anziché risponderle direttamente.

Luce rise, annunendo. “Sospettavo, ne ho visto qualcuno in camera tua, sia qui che a Milano. E allora?”

“E allora c’era un posto, una piazzetta che io e i miei amichetti di scuola, quelli con cui sono cresciuto, abbiamo fatto nostra. Ci trovavamo quasi ogni sera lì, con le birre, gli skate, e, be’…”

“L’erba?” Completò per me. “Puoi dirlo, non è un segreto.”

“Sì, ecco, esatto. Comunque, ti ci sto portando.”

“Alla piazzetta o dagli amici?” Rallentò il passo, come se fosse spaventata dalla risposta.

“Entrambi, Lù.”

“Ma sei scemo?” Si fermò, scaldandosi. “Mi porti dai tuoi amici conciata così... sudata, puzzerò anche, dopo una giornata a girare a piedi, ma che figura ci faccio? Crederanno che sia una pazza che non sa nemmeno dellʼesistenza della doccia. Non vengo.”

“Stai bene.” Sbuffai, cercando di tirarla per la mano. “E al massimo avrai addosso l’odore della cacio e pepe di prima. Sul serio, non guardarmi così, non hai niente che non va. E voglio che tu li conosca.”

“Non gli piacerò.” Proseguì, opponendo resistenza. “Faremo una figura di merda entrambi.”

“Io scommetto di no.”

Era strano, e sì, forse ero debole sciocco, non all’altezza, ma avevo paura.

Non che a loro non piacesse Luce, più che altro viceversa.

Con Gian, Diego e Lele era stata un’altra cosa, perché ci aveva conosciuti tutti insieme, quelle invece erano le mie persone, ed ero terrorizzato dell’idea che chi ero quando stavo con loro potesse non andarle a genio.

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