Riddle rientrò nel dormitorio. I suoi compagni si stavano tutti preparando per scendere a cena. Ma lui quella sera non aveva fame. Voleva riflettere. Decise che non avrebbe cenato.
Sentiva che aveva appena commesso un grosso errore. Non avrebbe dovuto cedere alle richieste di quella ragazzina, perché lui si era sempre promesso che avrebbe fatto tutto da sé. Si sarebbe tenuto le sue conoscenze tutte per sé. Perché avrebbe mai dovuto insegnarle a qualcun altro?
Era mezzo tentato di andare a riferirle che si era sbagliato, che non le avrebbe più insegnato nulla proprio perché aveva voglia di tenersi tutto per sé, senza che nessuno ne venisse a conoscenza. Peraltro proprio una ragazzina a cui piaceva raccontare tutto agli altri.
Ma quando ebbe quasi deciso di andare da lei, ad annullare tutto, si frenò. Come avrebbe reagito quella ragazza se glielo avesse detto? Si sarebbe arrabbiata? L’avrebbe attaccato come aveva fatto in precedenza, all’inizio dell’anno, quando ancora non si conoscevano bene?
In fondo era stata lei a riferirgli delle mense. Era stata lei a dargli, seppure indirettamente, l’idea di immergersi nello studio delle Arti Oscure; sebbene ancora non lo avesse iniziato.
E poi aveva quella sorta di talento, solo in parte veramente espresso, che gli faceva capire che quella ragazza, forse, aveva tutte le doti per potercela fare. Anche se le sarebbe costato molto impegno e sacrificio per poter raggiungere quello che voleva da lei. E poi ormai le aveva fatto una promessa. E sebbene fosse molto restio a mantenere una promessa fatta, quel genere di promesse a quel genere di persone, avrebbe dovuto cercare di mantenerle.
Così decise di non dirle nulla e lasciare che fosse lei a decidere cosa fare. Le avrebbe dato tutto il tempo necessario per farlo. Non aveva fretta. Quel che era comunque certo, e su questo era irremovibile, è che le avrebbe insegnato ciò che lui avrebbe, da lì a poco, imparato, fuori da quella sede. Loro due, soli. In una struttura isolata dal mondo esterno, in modo da non permettere a nessuno di ficcare il naso in affari che non riguardassero altri, che loro due.
Trascorse talmente tanto tempo in silenzio e in riflessione da non accorgersi che nel frattempo gli altri dopo la cena, erano rientrati nei dormitori, pronti per andare a letto. Non aveva cenato, e non sentiva fame quella sera.
Bellatrix forse stava già in punizione dalla professoressa Gaiamens.
Capì che aveva bisogno di un po’ d’aria fresca, all’aperto. Avrebbe, forse, schiarito un po’ le idee. Così decise di sgattaiolare fuori dal dormitorio, mentre gli altri dormivano, e farsi un giretto all’aperto.
Incontrò solo Lumacorno, che lo fermò.
“ Tom, dove vai?” domandò sorpreso.
“ Un giretto, signore. Devo schiarirmi un po’ le idee” rispose Riddle
Lumacorno lo guardò un po’ sospettoso e un po’ stupito.
“ Capisci Tom, che non posso permetterti di uscire a quest’ora. Anche se sei il mio studente migliore”
Riddle, per quanto possibile, cercò di intenerirlo con uno sguardo simile a quello che Bellatrix rivolgeva a lui quando voleva chiedergli un favore.
“ Signore… per favore”
Lumacorno lo guardò con aria di finto rimprovero e disse: “ E va bene, vai. Ma non allontanarti troppo. E tra un’ora voglio che tu sia nel tuo dormitorio. Capito, Tom?”
Riddle annuì e si allontanò. I portoni del castello, non erano sigillatI. Fu necessario soltanto spingerne una affinchè si aprissero entrambe.
Uscì all’aperto e respirò l’aria notturna. Quella notte era ventosa. Udì il fruscio delle foglie degli alberi, sbattuti dal vento. Si sentì a suo agio. Il vento era l’elemento naturale che preferiva di gran lunga. Pur avendo tra gli innumerevoli poteri quello di controllare il fuoco, il vento era l’elemento che lo affascinava maggiormente. Gli apparteneva. Era un mago di vento.
Mentre si incamminava, di nuovo ripensò alla promessa che aveva fatto a Bellatrix, ancora una volta si costrinse a dire che aveva fatto un grosso errore a fargliela, ma poi, ancora una volta, non riuscì a convincersi del tutto ad annullare la cosa. Questo lo turbò e non poco.
Intanto si stava dirigendo verso gli alberi della foresta che circondava il castello. Era la prima volta che ci metteva piede lì dentro. Non ebbe paura di farlo, anche se era notte. La paura era un sentimento che non provava in niente. Solo coraggio bisognava avere.
Così entrò, sempre riflettendo. Camminando calpestava i rametti degli alberi, caduti sul terreno scuro della notte.
Ad un tratto ebbe un’idea alquanto bizzarra, inizialmente, ma che dopo averci riflettuto su non la trovò poi così tanto. Aveva da mesi, anzi dal primo giorno lì dentro, deciso che sarebbe dovuto diventare un mago di prim’ordine. E lo era ancora di più, da quando aveva preso in considerazione di studiare un argomento, proibito all’interno della scuola. Bisogna spingersi oltre le proprie capacità, per primeggiare. Questo aveva imparato in quasi un anno di studi lì dentro.
Così decise di fare un piccolo esperimento. Decise di prendere un rametto, tra quelli caduti al suolo, e di utilizzarlo come bacchetta personale. Almeno per provare se fosse stato in grado di fare magia, anche con una semplice bacchetta di legno, priva di nucleo. L’esperimento sarebbe riuscito se alla fine, quel rametto avesse scatenato talmente tanta magia, da farlo esplodere.
Scelse un rametto di legno di faggio, lo prese, lo girò tra le lunghe dita della sua mano e infine lo agitò. Non accadde nulla.
Riprovò una seconda volta, con maggiore concentrazione. Niente.
Si infuriò. Guardò con odio il bastoncino di legno, che aveva una lunghezza circa della metà di quella della sua bacchetta, lo afferrò con entrambe le mani e lo spezzò in due, al culmine della collera. Poi ne gettò i resti lontano.
Decise di prenderne un’altra. Legno di noce. La agitò. Ancora non accadde nulla.
Imprecò tra sé, con ira sempre crescente. Che maestro sarebbe stato? Bellatrix forse si sarebbe presa beffe di lui. Non avrebbe potuto sopportare un’umiliazione del genere, da una ragazzina.
Spezzò in due anche quel rametto, ma invece di lanciarlo subito, come aveva fatto prima, decise di riprovare con una delle due metà spezzate.
Scelse la metà tenuta nella mano sinistra, e gettò via quella tenuta dall’altra. Guardò il bastoncino, anch’esso privo di nucleo, che aveva lunghezza circa un quarto di quella della propria bacchetta di tasso, e la agitò.
Ci fu un lampo di luce chiara, una folata di vento caldo improvviso , un suono simile a quello della corrente elettrica e il bastoncino esplose nelle sue mani. Fu, anzi, abbastanza sveglio e pronto, da gettarlo prima che esplodesse, altrimenti avrebbe potuto avere delle conseguenze spiacevoli alla mano. La cenere di legno bruciato cadde a terra.
Forse ce l’aveva fatta. Decise di provare con un altro un po’ più lungo, sempre di noce. Agitò, ma in questo caso di nuovo non accadde nulla. Spezzò le due estremità e di nuovo agitò.
Essendo il bastoncino in questo caso più lungo di quello precedente, le due metà risultarono più lunghe di quelle di prima. Fu necessario spezzare la metà, in ulteriori due parti. Gettò via i due pezzi inutilizzati, metà inutilizzata insieme alla seconda metà anch’essa inutilizzata, e agitò. Di nuovo lo stesso lampo di luce e il piccolo bastoncino esplose di nuovo.
Aveva capito una cosa quella sera: le bacchette più erano lunghe, più difficile era sprigionare la magia da esse. E ovviamente, senza nucleo era doppiamente complicato sprigionarla. Ma di conseguenza anche la resistenza della bacchetta aumentava in relazione alla sua lunghezza. E chissà forse anche la sua potenza nel sprigionare incantesimi.
Soddisfatto tirò fuori la propria bacchetta di tasso, lunga tredici pollici e mezzo. La osservò con soddisfazione. E scopri anche perché Olivander quel giorno, prima di uscire, gli aveva detto che quella bacchetta era la più potente che possedeva all’interno di quel negozio.(1289 parole~)
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Tom Riddle: la storia
Fanfiction" Sai Tom? Credo di non avere mai conosciuto uno studente più brillante di te" ammise Lumacorno. " Me lo sento dire ogni volta, signore. Ma la mia è solo semplice curiosità" rispose Tom, anche se compiaciuto Ma Lumacorno non sembrò molto d'accordo...