L'ingresso nel mondo magico

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E così era quella la risposta a ciò che era capitato negli ultimi mesi.
Quella era la sua natura. Era un mago.
In fondo aveva sempre supposto che era diverso dagli altri ragazzi, ma non certamente fino a quel punto. Era rimasto piacevolmente colpito quando quel vecchio aveva rivelato che aveva quella particolare natura, sebbene all’inizio non gli credesse fino in fondo: pensava fosse il dottore che era venuto a visitarlo. E invece no.
Solo una cosa non gli era affatto piaciuta, e avrebbe fatto volentieri a meno di fare: quell’uomo aveva, per pura casualità, scoperto i suoi tesori sequestrati agli altri, avendo incendiato l’armadio nella sua patetica dimostrazione magica. E questo lo seccava particolarmente. Quell’uomo gli aveva ordinato poi, di restituire tutti gli oggetti sequestrati. Lo aveva rimproverato. Lui che, di solito, non riceveva mai veri e propri rimproveri. A parte quelli della signora Western, ma quella era una donna particolare.
In tutto il colloquio avuto, aveva avuto l’impressione che quell’uomo non lo trovasse particolarmente simpatico. Ma la stessa cosa poteva dire lui di quell’altro. A Tom però, al momento, non importava granchè. Avrebbe avuto la propria occasione ed era certo che non l’avrebbe fallita…
Come aveva detto che si chiamava la scuola? Hogwarts? Non ricordava di averne mai sentito parlare. Ma pensò che fosse normale. In fondo non sapeva neanche dell’esistenza della magia o di essere un mago. Sapeva soltanto che era speciale, ed era in grado di fare cose che nessun altro sarebbe stato in grado di replicare.
Sono un ragazzo speciale. Nessuno è come me. Nessuno.
E quella cosa, accrebbe in lui la gioia. Non era pazzo come quella sciocca della direttrice aveva concluso tre notti precedenti. Era semplicemente diverso. L’aveva sempre sospettato e pensato, ora ne aveva la certezza.
Quell’uomo si era anche offerto di accompagnarlo a fare le compere. Ma lui aveva rifiutato. Era abituato a fare le cose da solo. L’aiuto degli altri, lo rendeva meno speciale di quanto lui volesse. Era solo d’intralcio. D’altronde solo le anime deboli chiedono aiuto a quelle più forti. E lui essendo la più forte di tutte, sarebbe stato costretto a chiedere aiuto ad anime più deboli della sua… ci avrebbe sicuramente perso.
No. Ci sarebbe andato da solo.
Tirò nuovamente fuori la busta la quale conteneva la lista delle compere da fare, oltre che il luogo dove farle e lo lesse in silenzio per conto suo, seduto sul letto.
Una bacchetta, un calderone, un animale –ma lui di gufi o altri animaletti da compagnia non sapeva che farsene-, un telescopio, una bilancia di ottone e tutta un’altra serie di oggetti a cui sinceramente, ancora, non ne capiva l’uso. E poi c’erano i libri di testo.
Quel giorno, passò così.
La signora Cole, non si fece vedere. Solo la sera si affacciò nella sua stanza chiedendogli, sommessamente: “ Tom, scendi. La cena è pronta”
Poi scappò via, come se avesse paura di restare sola con lui.
Forse sapeva… forse quel Silente aveva rivelato a lei chi era lui veramente.
Scese a cena, e quella sera era talmente euforico e di buon umore che persino l’odioso pasto gli sembrò, tuttavia, accettabile.
Sperò soltanto che almeno i pasti nella sua nuova scuola sarebbero stati migliori di quella vecchia.
Dopo che ebbe finito di cenare, risalì di sopra e cominciò a preparare il baule e la valigia. Di una cosa era certo: lì dentro fino all’estate successiva non ci avrebbe più rimesso piede. Poco importava dove avrebbe trascorso il mese restante. Quel che era certo, sicuramente non lì.
Dopo che lo ebbe preparato, si coricò prestissimo, erano appena le nove della sera, e si addormentò subito.
Il mattino dopo alle sette era già in piedi. Sgattaiolò fuori dalla camera, senza farsi udire da nessuno, mentre dormivano, trascinandosi il baule con sé e scese al pian terreno, verso l’uscita.
“ Tom”
La signora Cole, spuntò dal piano superiore dalla parte opposta a dove era uscito lui.
“ Vai già?” domandò scendendo le scale e avvicinandosi a lui
Tom accennò di sì.
“ Sono in ritardo altrimenti” rispose piuttosto freddo e distaccato
“ Non torni?” domandò ancora la signora Cole, dallo sguardo, leggermente contrariata
“ Non credo, no. Cercherò ospitalità” rispose lui
La direttrice fece una faccia poco convinta, ma dopo una lunga pausa, guardandolo dritto negli occhi gli disse: “ Allora all’anno prossimo, Tom. Passa un buon anno e mi raccomando comportati bene”
“ Certamente, signora” disse lui, chinandosi appena. Le strinse la mano, che lei gli porgeva, e poi uscì.
Raggiunse la stazione ferroviaria alle otto, dopo aver visto sul biglietto consegnatogli da Silente, e cercò il treno per Londra. Gli dissero che sarebbe partito di lì a dieci minuti, dal quarto binario.
Lo raggiunse e salì a bordo, portandosi con sé il baule. Il treno era quasi completamente vuoto. Fu un sollievo per lui trovarlo così, non gli andava di spiegare agli altri dove fosse diretto. Quello doveva essere un segreto.
Scelse lo scompartimento centrale e vi sedette. La locomotiva a vapore fischiò e le porte si chiusero. Il treno prese a muoversi.
Tom gettò un ultimo sguardo al posto, al paese di Colchester, e dall’altra parte intravide il tetto dell’orfanotrofio che svettava in lontananza, oltre i tetti delle abitazioni. Non l’avrebbe più rivisto fino all’estate successiva.
Per la prima volta in vita si sentì completamente libero. Erano anni che sognava  una fuga da quell’ inferno
e stavolta era riuscito a realizzarlo.
“ Scusa? Posso sedermi vicino a te?” domandò un ragazzo, dopo che il treno ripartì dalla stazione successiva. Era anche lui piuttosto carico di roba. Aveva, anche lui con sé, un baule.
I genitori raggiunsero il figlio poco dopo anche se presero posto senza chiedere a Tom, il suo parere.
“ Avanti, Avery. Siediti qui. Tanto non impiegheremo molto ad arrivare a Londra. Tra un’oretta saremo arrivati” disse la madre. Una donna alta di mezza età, con la classica puzza sotto il naso.
Avery gettò un’occhiata a Tom, come per chiedergli se fosse d’accordo, ma poiché lui non diede segno di aver qualcosa in contrario, anzi fissava fuori dal finestrino, sedette tra il padre e la madre.
“ Dovremo prendere il treno sotterraneo per arrivare a Diagon Alley, cara”
Diagon Alley? Quindi anche loro erano…
“ Scusate…” fece Riddle attirando la loro attenzione.
“ Siete anche voi maghi?”
“ Beh sì.. anche tu?” domandò Avery piuttosto timidamente
“ Si, e io che pensavo di essere…” si trattenne dal proseguire. Di nuovo provò quella sorta di fastidio che aveva già provato quando Silente gli aveva dimostrato che anche lui faceva parte del mondo magico. Lui, Tom, che sperava che, a parte lui e Silente, non ci fosse più nessuno con quella particolarità.
“ Come ti chiami?” domandò Avery curioso, mentre i genitori presero una sorta di giornaletto di gossip e cominciavano a sfogliarlo.
“ Tom Riddle” disse lui, preferendo non saperlo.
“ Nome interessante…” commentò Avery sorridendo appena
“ Davvero? E io che invece non l’ho mai ritenuto così interessante…” ribattè lui, arrossendo appena
“ Non ti piace?” fece Avery, ad un tratto serio e per certi versi preoccupato per essere risultato così sgarbato, prima.
“ Ci sono un mucchio di Tom in giro. Non è unico” spiegò lui, tornando a fissare fuori dal finestrino, mentre il treno sfrecciava.
“ Beh, potresti cambiarlo se vuoi. Puoi chiedere ai tuoi genitori di cambiarlo” suggerì
“ Non ho genitori, sono orfano. Sono cresciuto in un orfanotrofio” disse lui, guardando Avery, con un briciolo di rammarico nella voce.
“ Non li hai mai conosciuti?” intervenne la madre di Avery
“ No. Mai” rispose lui. Poi tornò in silenzio a fissare fuori dal finestrino. Si era già stufato di parlare. Quel ragazzo non lo trovava per nulla sveglio o brillante. Per certi versi gli ricordava gli altri odiosi ragazzini con cui aveva dovuto condividere tutto per dieci odiosi anni.
Il ragazzo dal canto suo, non era uno di quei curiosi che tartassano di domande di ogni genere, quindi a lui andò bene l’atteggiamento di Riddle nei suoi confronti.
Solo quando ebbero quasi raggiunto la stazione di King’s Cross fece un’altra domanda: “ Tu in che Casa vorresti finire a Hogwarts?”
“ Scusa?” domandò lui a sua volta, destandosi dall’abbacchio dovuto alla noia
“ In quale delle quattro Case vorresti finire?”
“ Non lo so” rispose lui, sinceramente
“ Io spero di finire come nel resto della mia famiglia: Serpeverde. E’ la Casa dei maghi puri”
“ Beh, mi fa piacere. A te piacciono i maghi puri?” domandò lui ad un tratto
Ma Avery, non fece in tempo per rispondere che il treno si fermò alla stazione centrale e furono costretti a scendere. Il treno, rispetto a quando l’aveva preso Tom, quella mattina, si era notevolmente riempito, per cui Avery e la sua famiglia si persero nella marea di gente che scendeva.
Tom, in un primo momento piuttosto spaesato, era la prima volta in vita sua che vedeva così tanta gente in una grande città, fu costretto, suo malgrado, a chiedere informazioni a un paio di poliziotti in divisa, per trovare l’uscita della stazione.
Quando glielo dissero si diresse verso il punto indicato.
A volte, mentre camminava, gli sembrò di intravedere qua e là, tra la folla, delle persone strane dagli indumenti quantomeno stravaganti. Cappelli a punta, mantelli, vecchi dall’aria nobile…
“ Prenderò la metropolitana” si disse tra sé, una volta intraviste le scale che scendevano in profondità. Era certamente la soluzione migliore. Guardò nella busta della lista delle cose da prendere e da fare, ed estrasse un foglio scritto in una calligrafia sottile ed elaborata. Lì c’erano tutte le istruzioni che quel Silente gli aveva dato per raggiungere quella benedetta Diagon Alley.
Vide che tra le opzioni c’era la metro da prendere alla stazione di King’s Cross perciò non perse tempo a scendere di sotto.
Il convoglio arrivò tra una sbandatura e l’altra. Salì a bordo, facendosi largo tra la folla e borbottando tra sé, che lo lasciassero entrare e quando raggiunse la fermata indicata dal foglietto, scese.
Tornato in superficie si guardò attorno e ad un tratto, dall’altra parte della via noto un piccolo pub dall’aria umidiccia e sporca, con gente vestita esattamente come l’aveva intravista appena sceso dal treno.
Le persone normali, tuttavia parvero non notare neanche la presenza del piccolo e trasandato locale, poiché ci passavano davanti senza neanche voltarsi per vedere chi ci fosse all’interno.
Raggiunse il posto e vide l’insegna sopra l’ingresso: “ Paiolo Magico”.
“  Sono arrivato finalmente. Visto Silente, che ce l’ho fatta anche senza il suo aiuto?”
Trascinò il baule dentro il pub e chiese di Tom il barista, come gli aveva detto Silente il giorno prima.
“ Tom? C’è un ragazzo che chiede di te”
Si fece avanti un uomo sulla trentina. Indossava un mantello gessato e aveva una gran massa di capelli neri, poco curati.
“ Sono io Tom” disse come se si aspettasse qualche richiesta.
“ Lo sa che lei porta il mio stesso nome? Anche io mi chiamo Tom” fece Riddle gentilmente accennando una stretta di mano.
“ Scherzo del destino allora. Abbiamo genitori con gli stessi gusti” rispose lui sorridendogli e accettando la stretta
“ La verità, signore, è che io non ho famiglia, purtroppo. Sono orfano. Non ho una casa, non ho un posto dove andare. E’ parecchio tempo che non riesco a trovare un posto chiuso dove poter stare. Sono un poveraccio”
Tom, il barista, sembrò piuttosto dispiaciuto per la brutta sorte toccata al suo omonimo.
“ Se vuoi possiamo ospitarti qui, fino al giorno in cui andrai ad Hogwarts. Non ho nulla in contrario…”
“ Davvero non reco alcun disturbo?” domandò Riddle, scegliendo con cura le parole
“ Figurati. Ogni tanto ne ospitiamo alcuni qui. Non sei l’unico. Puoi portare il baule di sopra. Ti guido io”
Lo prese a carico e lo guidò al piano superiore. Il piano superiore aveva la stessa umidità che regnava di sotto all’ingresso, ma al contrario di quest’ultimo, lì era maggiormente illuminato.
Lo guidò verso una delle camere che c’erano, tirò fuori dalla tasca una chiave e aprì la porta.
“ Eccola qui. Puoi sistemarti e fare come se fossi a casa tua. La colazione è dalle otto alle nove, il pranzo alle tredici e la cena alle diciannove. Nel tempo in cui starai qui, potrai anche uscire e girare un po’ per Diagon Alley” spiegò il barista come se avesse scritto tutto il discorso e lo avesse imparato a memoria
“ A proposito… dovrei andare in questa Diagon Alley” disse Tom, dopo aver posato la propria roba, accennando al foglio che aveva in tasca
“ L’avevo capito” rispose Tom a sua volta sorridendo.
“ Vieni che ti indico dov’è l’ingresso per entrarci”
Scesero nuovamente e lo guidò a un’uscita secondaria dall’altra parte del piccolo pub
Uscirono poi in un cortile, dove non c’era sostanzialmente nulla a parte un grande recinto di mura in mattoni praticamente invalicabile.
“ Allora… vediamo un po’ se mi ricordò…” disse tra sé Tom il barista. Estrasse lo strano strumento che Riddle aveva già visto in mano, il mattino precedente, ad Albus Silente. Un bastoncino di legno, ma che a quanto pareva era molto speciale per tutti loro. Quasi quanto lui.
“ Tre orizzontali… due verticali” disse tra sé picchiando con la bacchetta sui mattoni
Come per magia ad un tratto i mattoni parvero muoversi, fino a creare una sorta di piccola apertura. Man mano che continuavano a muoversi l’apertura si fece più larga, fino a che fu grande abbastanza da lasciarlo entrare.
“ Beh” fece il barista sorridendogli ancora e indicandogli la via. “ Benvenuto a Diagon Alley”

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Tom Riddle: la storia Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora