Parte 30

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Cinque giorni.
Ero tornato a casa da cinque giorni.
Non vedevo Paolo da cinque giorni.
Stavo attuando il mio piano da cinque giorni.
"Buongiorno amore."
Mia madre entrò nella mia enorme camera senza bussare e con la sua solita verve.
"Mi piacerebbe che tu aprissi bocca una buona volta."
Credo fosse l'undicesima volta che me lo chiedeva.
"Va bene, cosa vuoi?"
"Tornare da Marco."
Scosse la testa e se ne andò. La risposta è sempre la stessa se la domanda non cambia. Mi voltai verso la sveglia che tenevo sul comodino accanto al letto a due piazze tondo. Erano le dodici. Scesi le scale scorrendo la mano sul corrimano di legno pregiato e mi ritrovai nel grande atrio che dava sulla cucina. Mi preparai velocemente una colazione stile americano ed ebbi un deja-vu al momento in cui l'uovo lo preparavo mentre Paolo mi parlava della festa. La festa. Era stata spostata, ma non sapevo a quando. Mi appuntai mentalmente di chiederlo a Paolo come prima cosa quando il mio piano in atto avrebbe dato i suoi frutti.

A Paolo
Giorno 5. Segni di insofferenza sempre più evidenti. Nessun segnale di cedimento. Ti tengo aggiornato.

Il messaggio sembrava più da parte di un astronauta in missione, ma quel linguaggio in codice mi faceva ridere perché pensavo all'espressione sconsolata e divertita di Paolo mentre lo leggeva. Puntualmente ricevetti la risposta di routine "aspetto prossime notizie". In questi messaggi apparentemente privi di anima e corpo c'era in realtà un mondo di parole inespresse e lasciate sottintese e di emozioni forti. Con queste poche frasi mettevo nero su bianco tutta la mia volontà di rivederlo, di stare con lui, di sentirlo vicino. Tutta la smania di rivivere quelle sensazioni. Tutta la voglia di saperne di più su di lui e sui suoi pensieri. I pochi giorni che abbiamo trascorso insieme sono stati più intensi di tutta la mia intera vita. In quei giorni soffrivo terribilmente. Mi sentivo solo, senza uno scopo. Un animale in gabbia che giorno dopo giorno diventava sempre più irrequieto e insofferente. Continuavo ad accumulare emozioni negative e sapevo che in poco tempo sarei scoppiato del tutto, sarei arrivato al punto in cui il fardello sarebbe stato troppo grande da portare e avrei dovuto gettarlo via alla svelta per non stramazzare sotto al suo peso. Sapevo che quel giorno non era lontano, per questo motivo passai alla seconda fase del piano in anticipo di due giorni. Avevamo elaborato diversi step sempre più pressanti da mettere in pratica dopo un determinato tempo dalla separazione. Mia madre si stava facendo uno chignon disordinato davanti allo specchio dell'ingresso per uscire a pranzo con i colleghi. Velocemente presi le scarpe e uscii, facendo in modo che mi vedesse e ignorando le sue domande su dove andassi, cosa facessi, per quanto tempo, perché, come, con quale mezzo o che aria avrei respirato. In realtà non ci avevo  nemmeno pensato, preso dalla foga del momento. Iniziai a vagare, deciso a saltare a piè pari il pranzo, e stavo guardando il mare quando mi scontrai con qualcuno. Mi voltai per scusarmi e vedere chi fosse la malcapitata. Era in effetti una ragazza alta con un paio di grandi occhiali a incorniciarle gli occhi verdi erba, appoggiati su un naso straripante di lentiggini. Dei capelli color pece le ricadevano sulle spalle magre, ma larghe e muscolose. Doveva per forza essere una sportiva, data la prestanza fisica. Nel complesso era davvero bella, anche se preferivo ragazzi ricci con addominali scolpiti. Come ogni strada porta a Roma, ogni pensiero mi portava a Paolo. Buon a sapersi.
"Sono proprio sbadata."
Sembrava proprio uno di quei film americani in cui un ragazzo ed una ragazza si scontrano e dal loro primo sguardo nasce un amore difficile ma grandissimo. Ma la realtà era ben diversa. C'ero io con in testa una sola persona e lei rossa come un pomodoro maturo e lo sguardo basso. Chi ci avesse visti dall'esterno si sarebbe fatto una grassa risata. E fu quello che accadde. Nello stesso momento scoppiammo entrambi a ridere e ci presentammo. In quel momento in cui sapevo di aver trovato una nuova complice, mi gorgogliò lo stomaco e, a riprova di quello che avevo predetto, mi propose subito di portarmi a mangiare qualcosa.
"Ho ufficialmente trovato la mia anima gemella."
"Eh no, mi dispiace, mi piace una ragazza."
"E a me un ragazzo."
"Allora sì, sono ufficialmente la tua anima gemella."
Sghignazzammo e chiacchierammo, chiacchierammo e sghignazzammo fin quando non arrivammo al famoso locale a cui mi aveva accennato che era un meraviglioso baracchino con le pareti bianche scrostate su un marciapiede in mezzo ad una strada. Wow.
"Una deliziosa catapecchia."
Mi spintonò al mio commento, ma non si offese. Scoprii che si mangiava benissimo, che quella ragazza amava il tofu e che io riuscivo ad essere me stesso con qualcuno che non fosse Paolo. Tornai a casa stanco, ma felice. Avevamo passeggiato tutta la notte in riva al mare e guardato l'alba. Il grande portone non emise alcun rumore al mio rientro, ma anche se ne avesse prodotto non mi sarebbe importato. Mi buttai sul letto sfinito. Ero tornato a ai comportamenti che avevo prima di andare da Paolo, quelli che avevano spinto i miei a mandarmi via. Sì, era questo il nostro piano. Portarli allo sfinimento, non lasciare loro altra scelta se non quella di cacciarmi di nuovo. La prima fase consisteva nel non aprire bocca, mentre la seconda nell'iniziare a stare sempre fuori casa. Speravo di non essere obbligato a passare alle prossime, ma di convincerli con quelle. Proprio un mese prima ero tornato allo stesso orario, dopo aver passato la notte in spiaggia con altre ragazze e ragazzi più grandi. Avevamo iniziato a giocare a verità od obbligo e finito per fare il bagno ubriachi. Avevo percorso la strada di casa barcollando e ridendo, con gli occhi rossi e il cuore leggero. Forse era proprio quella la differenza tra le due giornate separate da un mese. Avevo gli occhi candidi e la mente troppo lucida per essere spensierato.
La luce si accese e mi strappò dai miei ricordi.

Non ho scritto per tanto, perdonatemi. Uscirà un capitolo a settimana. Enjoy!

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