Paolo - parte 1

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Non mi dilungherò a scrivere tutti i fatti che ha già raccontato Matteo. Sarebbe inutile, una ripetizione. E io odio ripetermi e ripetere. Che brutto quando non si hanno argomenti e si è costretti a dire qualcosa di risaputo. Imitare qualcun altro è una delle cose peggiori. Significa essere senza idee proprie, essere dipendente da un individuo che non sei tu stesso. Uno dei valori che mia madre mi aveva insegnato fin da piccolo è proprio l'indipendenza, intesa come capacità di arrangiarsi, ma di saper allo stesso tempo chiedere aiuto in caso di vera necessità. E sottolineo vera, perché molti sono talmente inclini al domandare che non si fermano a riflettere su cosa hanno realmente bisogno e cosa invece possono fare da soli. Gli insegnamenti di mia madre mi sono rimasti nella materia grigia del cervello e in quella rossa che pompa il sangue nelle vene.ho un ricordo bellissimo di lei: era una donna meravigliosa, uno di quei tipi col sorriso sulle labbra che pare stampato. Una che si arrabbiava se c'era bisogno e urlava e si faceva rispettare, ma era talmente dolce che ti perdonava appena ti vedeva pentito. Era fuoco e ghiaccio. Poteva passare da un'espressione a quella opposta in meno di un secondo e se non avesse formato una famiglia, l'avrei vista adatta alla recitazione o anche al grande schermo. Con la sua intelligenza poteva ambire ai posti di lavoro più importanti, era incline alla leadership e sapeva essere una perfetta ascoltatrice. La amavo nel vero senso della parola. Aveva rinunciato alla sua famiglia che la voleva sposata con un uomo dello stesso rango sociale, alla sua carriera politica e a tutte le sue certezze per inseguire la persona che amava e la vita tranquilla che sognava. Non bisogna immaginarsela però come una nonnetta gentile con i bigodini. Era alta e slanciata con un'energia da fare invidia ad un atleta. Il pericolo la attraeva. Aveva provato ogni tipo di sport estremo, dal bungee-jumping al parkour, dalle moto agli skate, dal rifting alle immersioni. La sua parte bambina era viva nella sua maturità, perché sì, aveva mantenuto il suo stupore da bambina, ma era estremamente saggia. Sapeva darti consigli, indirizzarti senza pressarti, aiutarti senza però fare al posto tuo. Peccato che la vita sia scivolata via dal suo corpo brillante così presto. Per spiegare il dolore che si prova proverò a fare un esempio. Immaginate una piccola pianta, anche solo uno stelo con qualche fogliolina, piantata in un vaso, che cresce. Le sue radici diventano sempre più spesse e vanno sempre più in profondità. Immaginatevi qualcuno che toglie quella pianta di netto. La terra che prima era perfettamente spianata, ora ha un grande buco al centro. Lo potrai riempire con mille cose diverse in mille modi diversi, ma non sarà mai come prima. Non avrà mai la stessa quantità di terra, le radici non occuperanno mai lo stesso spazio. Non sarà più niente come prima per quanto chi lo guarda dall'esterno potrebbe pensarlo. Quando ti muore la madre o anche solo qualcuno di davvero caro, ti lascia un vuoto all'interno che non è colmabile. Neanche il vero amore può farlo. Niente e nessuno.
"Chi è la persona più importante della tua vita?" mi aveva chiesto un giorno Matteo.
Era una di quelle sue solite domande profonde che a prima vista sembrano stupide e insensate fatte senza un apparente motivo, di punto in bianco.
"Mia madre."
Avevo visto la sua espressione mutare. Anche se non l'aveva dato a vedere, e si era ovviamente astenuto dal dirlo, so che ha pensato "ma è morta". Lo pensano tutti. Ma l'importanza di una persona non muore col suo corpo. Le persone non muoiono. Restano. Nei ricordi, nei luoghi dove sono state. C'è una poesia che il Petrarca ha composto nel 1341 intitolata Chiare, fresche et dolci acque. Parla del locus amoenus in cui Laura, musa ispiratrice di quasi tutti i suoi componimenti, era stata, lasciando poi la sua traccia.

Chiare, fresche et dolci acque,
ove le belle membra
pose colei che sola a me par donna;
gentil ramo ove piacque
(con sospir' mi rimembra)
a lei di fare al bel fiancho colonna;
herba et fior' che la gonna
leggiadra ricoverse
co l'angelico seno.

Per tantissimo tempo da quel giorno, ho vissuto con un uomo distrutto. Dovevo pensare al suo dolore nascondendo il mio e questo aveva reso la mia cicatrice più profonda. Tenersi dentro le sensazioni forti negative è probabilmente la scelta peggiore che si possa fare e l'ho imparato a mie spese. Quella ferita non si rimarginerà mai completamente perché l'ho trascurata, ma non avevo altra scelta, posso dire a posteriori. Sarei rimasto orfano. Mio padre era ovviamente caduto in una forte depressione e io mi sentivo in dovere di toglierli coltelli dalle mani, nascondere le corde e tutti gli arnesi con cui si sarebbe potuto uccidere. È finito in ospedale sette volte in un mese. Scottature, ferite, intossicazioni. Poi si era accorto che la vita andava avanti scivolandogli via. Era morta la persona che amava, non lui. E si stava comportando come tale. E stava rovinando suo figlio. Fu in quel periodo però che capì quanto io valessi e lo amassi. Quanto io fossi forte e maturo, talmente tanto da riuscire ad affrontare una situazione così difficile da solo. Da solo, sì, perché l'altra donna della sua vita, sua madre, se n'era andata subito dopo di lei. Il suo cuore non aveva retto la perdita della figlia. Era sempre stata sensibile e malata. Era sempre stata la mia nonna preferita. Era sempre stata la mia colonna portante. Insieme a mia madre. Avevo perso entrambe. E anche un pezzo di mio padre. Ho vissuto la solitudine. Quella vera. Quella che percepisci sempre e in ogni luogo, deserto o affollato. Ti perseguita non ti abbandona. Diventa una sensazione che ti porti dappertutto cucita addosso. Diventa insopportabile. Ma la vita ti riserva sempre delle sorprese.

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