Parte 35

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Era fermo dietro di me e non si decideva a muoversi, proprio come io non accennavo a voltarmi. Eravamo entrambi immobili ad aspettare la mossa dell'altro. Bramavo il momento in cui i nostri occhi si sarebbero incontrati, dando vita a quel gioco di sguardi intenso, che ti scombussola completamente, ti svuota e ti riempie di adrenalina. E quella è la tua polvere da sparo e tu sei il fucile carico che ha solo bisogno di qualcuno che prema il grilletto. Non esiste niente di più intenso di uno sguardo: nessun contatto, nessun bacio, abbraccio o carezza. Anche l'unire due corpi nell'amore è meno intenso. Quello degli sguardi, alla fine, è un gioco, ma uno di quelli seri: entrambe le persone tengono gli occhi incollati sull'altro e ne guardano ogni sfumatura, ogni cambiamento, ogni minuscola venatura, ogni sentimento che esprimono. Lui aveva una macchia verde nel celeste dell'occhio sinistro e tante venature scure in quello destro e, quando mi aveva guardato per la prima volta, si erano schiariti, la pupilla aveva avuto un guizzo e io ci avevo letto un wow. Ci avevo visto un colpo di fulmine come lui sicuramente nei miei. Qual era il problema allora? Entrambi ci piacevamo: potevamo dircelo e stare insieme, facile, no? No. Per quanto io amassi e conoscessi la comunità LGBT, scoprire di farne parte nel momento in cui mi piace un ragazzo dopo essere stato con milioni di ragazze, mi aveva scombussolato talmente tanto che, nonostante la compagnia di Car, ero riuscito ad accettarmi solo parzialmente. Ero riuscito ad accettare che ormai mi piacesse un maschio, ma non sarei mai riuscito ancora a concepire un "noi". C'era un "io provo dei sentimenti per lui che non so neanche cosa siano" e l'interrogativo "per lui sarà lo stesso?" era troppo spaventoso. Quella notte in cui aveva detto che avrebbe continuato il bacio diceva di sì. Ma forse per lui era solo il gioco "finiamo quello che abbiamo iniziato" o forse una vittoria personale per aver adescato ancora un'altra persona. Un rifiuto mi avrebbe fatto molto male se avessi deciso di mettermi in gioco. Ecco perché non lo facevo. Paura di soffrire. Continuavamo a fissarci da un tempo indefinito, senza parlare, ognuno immerso nella giungla della propria mente. Era un silenzio disteso, ma carico di volontà di espressione. Ad un certo punto  senza preavviso, Paolo decise di prendere un'iniziativa che avrebbe rotto la calma e agitato gli animi, o meglio, il mio animo. Sorrise. I suoi denti perfetti all'interno delle sue labbra carnose si mostrarono. Ricambiai.
"L'atmosfera è un po' smorta, non credi?"
"Io stavo benissimo prima che arrivassi."
"Che depresso. Ah, e sappi che non ci crede nessuno."
"Narcisista."
Ripiombò il silenzio. Succede sempre quando le domande sono tante che non si sa da dove iniziare e allora si decide di parlare di altro e semplicemente evitarle. Chissà cosa aveva fatto in quei giorni senza di me. Non mi chiedevo come o con chi passasse il tempo prima di conoscermi perché dopo aver incontrato qualcuno che per te diventa importante, ti domandi semplicemente cosa fa quando non ci sei, se senza di te sta bene. E speri sempre di no in un moto egoistico, in modo che sia spinto a stare con te di più. Non disse nient'altro. Si alzò semplicemente, in silenzio, e iniziò a camminare. Lo seguii, intuendo che fosse ciò che voleva. Quella strada l'avevo già percorsa. Si voltò verso di me per vedere se effettivamente l'avevo seguito solo quando si trovò all'entrata della spelonca, cercando nei miei un possibile segno di incoraggiamento. Non mi mossi, non sbattei le palpebre, non dischiusi le labbra, non allargai le narici, non sollevai il petto. Ma lui il segno lo trovò lo stesso e sorrise e mi fece sorridere e sorridendo tolse la pietra. Capii che era pronto ad aprirmi le porte del suo mondo e non potevo esserne più felice. Mi chiesi il perché, che cosa l'avesse spinto a prendere una decisione così importante. Forse un distacco così improvviso e prolungato? Forse avevo scoperto senza saperlo il tema dei suoi componimenti? Forse, forse, forse. Quando sappiamo di non poter saziare la nostra curiosità semplicemente chiedendolo alla persona interessata, siamo portati a fare mille congetture per calmare il nostro animo irrequieto. Aveva tirato fuori tre quaderni e li stava sfogliando in modo compulsivo: ne apriva uno, poi girava le pagine velocemente dando solo delle rapide occhiate, subito dopo sbuffava e lo chiudeva, passando subito al secondo e poi al terzo e poi di nuovo al primo. Ad un certo punto si bloccò, sorrise e mi guardò. L'aveva trovato. Il componimento giusto. Me lo porse e io non esitai ad afferrarlo, quasi dovesse cambiare idea da un momento all'altro. Una volta che lo ebbi in mano, però, non lo guardai subito. La tensione del momento, la felicità per il gesto, la fiducia che mi stava dando mi stavano trattenendo dal buttare l'occhio alla pagina, immergermi nella lettura, farmi trasportare dalle parole, che creano ricordi, che creano emozioni. Ero trattenuto. Come quando una persona fredda vuole abbracciare qualcuno ma no, non lo fa, perché si vergogna o perché gli sembra sconveniente o ha paura di infastidire l'altro. Come quando vuoi farlo ma non vuoi farlo per paura. Ecco, la paura. Noi viviamo guidati dalla paura anche delle cose più piccole. Non per forza le paure sono legate ad animali o a cose realmente spaventose, anzi, quelle più diffuse e pericolose sono anche le più piccole e apparentemente inesistenti. Come superarle o eclissarle? Come nasconderle? La realtà è che non si può ed è dura da accettare. Si può mentire a se stessi dicendo di non temere nulla, ma nel profondo la paura rimane e non se ne va semplicemente ignorandola. Non funziona così purtroppo o per fortuna. Paolo mi stava guardando, conscio dell'importanza che il momento avesse per entrambi, per quanto agli occhi altrui potesse sembrare futile e di poco conto. Ma io ero il Leone. E il Leone non teme. Quel Leone tirò fuori gli artigli e aprì la pagina, facendo ricadere lo sguardo sull'inchiostro asciutto verde.

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