Parte 1

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"Dovrai stare da Marco solo poco tempo, giusto quello che serve per rimettere a posto le cose. Mi dispiace di aver dovuto prendere questa decisione e..."
Non stavo già più ascoltando. Guardavo fuori dal finestrino dell'auto i campi che correvano, verdi, talmente estesi che il mio occhio non vedeva dove finivano. E guardavo il grano mosso dal vento, quelle piccole spighe piegate da qualcosa di impetuoso che le avrebbe potute spezzare da un momento all'altro. E guardavo il sole splendente, i girasoli con i loro petali caldi voltati verso quello. Intanto pensavo che in quella lucente giornata, io avevo un umore nero. Avevo lasciato alle mie spalle la mia città, i miei amici, la mia vita.
"Quindi tesoro non ti preoccupare, la mamma e il babbo ti vogliono bene come prima e... ma mi stai ascoltando, Matteo?" "Sì certo" risposi. È così che rispondo quando non ascolto. La mia mente si perdeva in quel paesaggio nuovo. Ero un misto di emozioni positive e negative: la curiosità di scoprire dove sarei andato, la meraviglia per la bellezza della visione, la tristezza per l'abbandono delle abitudini, l'angoscia per la perdita, seppur momentanea, di tutto quello che conosceva. "Benissimo, perché siamo arrivati. Non so se ti ricordi del mio amico Marco, l'hai visto quando eri molto piccolo. All'inizio ti sembrerà un po' strano, ma è di una bontà unica, mai vista. Stai tranquillo, tesoro, ti piacerà, anche se a volte soffre per..." disse la mamma.
"Cara..." era intervenuto mio babbo a fermarla. Mio babbo non interveniva mai. Significava che mia madre stava per dire qualcosa di "proibito".
"Che sbadata che sono, ho dimenticato a casa la borsa" cambiò discorso lei "Un solo avvertimento: non menzionare per nessun motivo sua moglie, è morta."
Un brivido mi percorse la schiena. Avevo conosciuto poche persone con familiari morti ed erano tutte depresse o pazze. Chissà che sofferenza perdere la donna che si ama e pensarla sempre. Ovvio, ogni cosa ti ricorda lei: il suo posto preferito, la sua stanza, il cibo che cucinava sempre, le cose che amava fare... Mia madre interruppe questi pensieri. "Guarda che bello fuori dal finestrino!"
Alzai gli occhi dal vetro. Eravamo davanti ad una casa di campagna bianca circondata da campi. Alberi da frutto a destra, vigneto a sinistra. E si sentivano versi di animali da ogni dove: galline, maiali, pecore, mucche. Un cavallo brucava l'erba in un recinto e altri due correvano nitrendo. Alcuni pastori tedeschi erano stesi, al sole, in mezzo al fango. Guardai per terra e poi le mie scarpe nuove. Mi feci sfuggire una smorfia di disgusto. Avevo sempre vissuto in città. Prevedevo di metterci più tempo ad abituarmi al cambiamento di quanto ne avessi passato lì. Mentre ero immerso nei pensieri, vidi un uomo baffuto venirmi incontro, sulla cinquantina. Aveva un faccione tondo e rosso che ispirava simpatia. Era vestito di abiti sporchi e logori.
"Benvenuto. Come sei cresciuto, ometto. Quanti anni hai?" mi disse, sorridendo.
"Diciassette". Rispondere a monosillabi era la mia specialità. "Ah, proprio come il mio Paolo! Lui ha diciott'anni appena compiuti. Beh, sì, quando ti ho fatto da padrino lui camminava malfermo. Bella parola, eh, malfermo? Sono un uomo di campagna, ma qualche parola raffinata la uso anch'io. Oh, mi perdo sempre in discorsi inutili, dov'ero rimasto? Ah sì! Spero che vi troverete bene insieme. Vai pure in casa e sistema le tue cose, la tua stanza è al piano superiore."
Salutai mia madre con un bacio sulla guancia e mio padre. Li guardai con intensità, sperando che mi dicessero che era un brutto scherzo e saremmo tornati a casa. Ma dalla loro bocca non uscì una parola e i loro occhi esprimevano solo tristezza. Mi voltai e mi incamminai sul vialetto acciottolato. Spinsi il pesante portone di legno scuro e diedi un'occhiata dentro. La casa era carina, fatta in pietra e mattoni. Il soffitto aveva travi scure a vista. Salii al piano di sopra passando per una scala di legno che scricchiolava ad ogni mio passo. Un passo, cric. Un passo, cric. Mi ritrovai in un corridoio con quattro stanze aperte. Solo una aveva la porta socchiusa e si sentiva una musica di chitarra provenire dall'interno. Non resistetti. Camminai con passo felpato e ogni secondo la mia curiosità aumentava. Guardai nella fessura: c'era un ragazzo con i capelli biondi, seduto sul letto, che suonava. Ogni volta che muoveva le mani sulle corde, i suoi ricci sussultavano con quelle, come ballassero. Il suo piede scandiva il tempo e il suo ginocchio si muoveva su e giù, su e giù. Indossava degli abiti che parevano stracci, ma avevano qualcosa di elegante. La maglia gli scivolava da una parte. Il sole che entrava dalla finestra gli illuminava la spalla, scoperta. Rimasi un attimo incantato a guardarlo, poi proseguii verso la mia camera, cioè la stanza accanto a quella. Era piccola ma accogliente, con un letto grande di legno. Mi sedetti sopra a quello e guardai la parete: c'era un quadro che raffigurava il paesaggio circostante e una mensola con dei fiori freschi. Iniziai a
sistemare i miei vestiti nell'armadio e le altre mie cose. Non passò molto tempo prima che io sentissi la porta cigolare. Mi voltai di scatto e sussultai.
"Da quanto tempo sei lì?" chiesi al biondino.
"Circa lo stesso tempo in cui tu hai guardato me."
E adesso?

Hii! Il primo capitolo è abbastanza corto. Come gli risponderà Matteo? A modo o con la coda fra le gambe?

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