Una chioma bionda mi piombò sotto il naso e la ragazza che la portava si aggrappò a mo' di scimmia. Non so da dove fosse spuntata. La afferrai per le cosce istintivamente e non mi accorgersi veramente di quanto stesse succedendo finché la sua voce stridula mi invase le orecchie. Doveva essere una delle tante ragazze abbordate alle tante feste a cui avevo partecipato.
"Tesoruccio, quanto mi sei mancato."
Mi guardava sorridendo e rimaneva attaccata come una cozza mentre tentavo di scrollarmela di dosso. Quando finalmente scese o meglio, quando la feci quasi cadere col sedere a terra per averle levato le mani che la sorreggevano, guardai dietro di lei. Una ragazza bionda con gli occhi azzurri come un paio di zaffiri mi stava fissando con gli occhi lucidi e un'espressione a dir poco arrabbiata. Mi voltai a destra, pronto a tutto, e mi trovai Paolo con un'espressione delusa, contrariata e stranita sul volto. Bene, ero ufficialmente nel triangolo delle Bermuda: si preannunciava una morte imminente. Da qualche parte dovevo cominciare.
"Scusa, com'è che ti chiami?" risposi alla rossa.
Lei mi guardò arrabbiata, mi diede uno schiaffo e se ne andò impettita. Mal si avvicinò a grandi passi con i pugni sui fianchi, mi sibilò una miriade di insulti col dito alzato a due centimetri dalla faccia e anche lei mi diede uno schiaffo. Me l'ero cavata con qualche insulto e una guancia rossa, ma il peggio doveva arrivare. Sapevo che avrebbe fatto male mentalmente la reazione di Paolo, lo sapevo, e non avrei mai voluto affrontarlo, ma non avevo scelta. Mi voltai nella sua direzione, rassegnato al mio destino, mentre tutto ciò che trovai fu un sorriso incoraggiante e divertito ed una pacca sulla spalla. Non doveva essere arrabbiato? Non avevo visto un cipiglio di fastidio? Me l'ero solo immaginato? No, impossibile. In ogni caso non avevo intenzione di farmi problemi o domande. Ci avrei ripensato dopo. O mai.
"L'amore non è bello se non è litigarello."
"Mi sono preso due schiaffi ma poteva andarmi peggio."
"Una volta una tipa mi ha morso perché sbuffavo mentre era nel bel mezzo di un lavoro."
Risi, poi gli raccontai di quella volta in cui una ragazza mi aveva fatto dei graffi talmente profondi che mi erano rimasti i segni per un mese. Il karma gira.
"Era una delle ragazze che si sono innamorate del Leone."
"E questa cosa ti infastidisce?"
"Sono innamorate di un immagine fittizia di me, non di me davvero."
"E questa era un'altra puntata di Socrate, restate collegati per non perdervi la prossima!"
La situazione si fece in un attimo più leggera, anche se sapevo per certo che aveva preso seriamente le mie parole. Entrammo in un negozio. La mia speranza portandolo lì era che si togliesse la maglia per cambiarsi. Maledetto me che avevo questi desideri in testa, odiavo la parte irrazionale di me che era indicibilmente attratta da quel ragazzo. Direi più che si era completamente innamorata di lui. Quando gli squillò il suo telefono, sbuffai. Ormai aveva preso in mano dei costumi e si stava dirigendo in camerino, mancava soltanto che li provasse e invece qualcuno a cui giurai solennemente odio lo interruppe.
"Pronto? Sì, papà, è qui con me. Va bene, a dopo."
Si voltò verso di me. La rabbia usciva da ogni suo poro e mi colpì come un terzo schiaffo.
"Quando avevi intenzione di dirmelo?" sibilò.
"Che cosa?"
"Falla finita di fare il finto tonto, andiamo a casa."
Per tutto il tragitto cercai di convincerlo a rimanere, a dirmi cosa fosse successo e poi a scusarmi senza sapere per cosa. Ero seriamente confuso, non gli avevo tenuto nascosto nulla. Cosa poteva avergli fatto cambiare umore così velocemente?
"Hai finito di stressarmi?" mi chiese all'ennesima domanda.
"Finché non mi dirai cosa sta succedendo no."
"Come se non lo sapessi."
Sbuffai. Ancora con quella storia. Non capivo proprio cosa avrei dovuto sapere dal momento che aveva cambiato atteggiamento e umore dalla chiamata con suo padre. Sicuramente gli aveva detto qualcosa lui.
"Hai intenzione di tenermi il muso tutto il tragitto?"
"Perché non ammetti di avermi voluto tenere nascosto che te ne torni a casa?"
Mi bloccai sul posto. I miei genitori avevano avuto la faccia tosta di telefonare a Marco per dirgli che sarei dovuto tornare in città. Peccato che non abbiano fatto i conti col fatto che io non avrei mai acconsentito. Neanche se mi avessero chiuso in cantina senza mangiare per una settimana. Quando vide la mia reazione, Paolo capì che io davvero non ne sapevo niente. I suoi tratti si addolcirono all'istante e iniziò a scongiurarmi di perdonarlo per non essersi fidato di me, ma dalla mia bocca non usciva alcun suono. Ero immobile come un manichino, con le braccia distese lungo i fianchi, le labbra attaccate e gli occhi fissi su un albero lontano. Distavamo solo un chilometro da casa sua, ma i miei piedi non si mossero più in quella direzione. Fecero rapidamente dietrofront e si diressero verso il bosco. Il mio cervello era in stand-by e a nulla valsero le urla e i richiami di Paolo, che dopo un po' si rassegnò e iniziò a seguirmi in silenzio. Non sarei mai tornato in città da quelle persone false nè dai miei genitori attaccati solo alla loro immagine.Oddio, nostro figlio ha ingerito una scatola intera di sonniferi, si è ubriacato, ha fumato e si è gettato dalla finestra. È finito in ospedale e l'hanno salvato solo perché tutto quello sport l'ha reso forte e probabilmente anche fortunato, ma basta parlare di lui. No, se sta male non ci deve interessare. Piuttosto cosa penseranno i nostri amici? Oh no, crederanno che la nostra non sia una buona famiglia, che i suoi amici non siano abbastanza ricchi o che la scuola non sia abbastanza prestigiosa. Crederanno che i professori profumatamente pagati non gli abbiano dato tutti i dieci che si merita e anche quelli che non si merita. Crederanno che lui sia malato. Dobbiamo subito mandarlo lontano da qui finché le acque non si saranno calmate e non farlo tornare finché nessuno potrà più vedere i postumi della sua stupidaggine. Marco è l'uomo che fa per noi, dopo gli telefono.
Erano un martello pneumatico nella mia mente per la prima volta. Quando le avevo udite? Mi sentivo leggero come se fluttuassi spinto da un getto d'aria. Dopo poco iniziai a udire dei suoni che diventarono sempre più distinti: erano delle voci. Due. I miei genitori.
Poco dopo mi ero risvegliato in ospedale e avevo completamente dimenticato quello che i miei si erano detti. O almeno, fino a quel momento. Ero stato improvvisamente investito dal ricordo ed era una sensazione orribile. Come avevo congetturato, i miei si erano voluti liberare di me perché mi credevano una spina nel fianco. E ora non sarei tornato da loro. Mi voltai verso Paolo dopo essermi accorto che mi ero perso.
"Matt, ho capito che non vuoi tornare in un ambiente falso, ma ho un piano."
Ci lanciammo uno sguardo d'intesa subito dopo che me lo espose e sorridemmo. Avrebbe funzionato. Doveva funzionare.
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Lasciare la strada vecchia per la nuova
Novela JuvenilMatteo, un ragazzo di 17 anni, è costretto a trasferirsi a casa dell'amico di sua madre Marco. È deciso a cambiare vita, soprattutto dopo aver conosciuto suo figlio Paolo, un ragazzo bellissimo di 18 anni, con cui nascerà una bellissima amicizia, fa...