Mi sfiorò la guancia con un dito. Un brivido mi percorse la schiena. Se ne accorse, probabilmente, perché sorrise. Solo in quel momento vidi che i suoi denti erano allineati e bianchissimi. E non perfetti come quelli delle star, posticci, perfetti in un modo naturale, semplice, genuino. In un modo che non sapevo neppure esistesse. Mi leccai il labbro inferiore per la tensione e lui lo fissò, poi incollò i suoi occhi nei miei e non li staccò. Dovevo sembrare un pezzo di legno probabilmente, da quando mi aveva toccato non mi ero mosso di un millimetro. Iniziò ad avvicinarsi lentamente. Era una tortura. La mia mente era completamente vuota, vuotissima, non pensavo a niente. Anzi sì, qualcosa c'era, una sirena rossa lampeggiante che mi urlava "BIIIIIIIP SI STA AVVICINANDO BIIIIIIIP". Ero frastornato. Continuava, imperterrito, ad avvicinarsi di più e di più. Le nostre bocche erano ormai ad un millimetro di distanza. Sentivo il suo respiro sulla guancia sinistra, mentre con la mano continuava a sfiorarmi quella destra. Altroché le torture medievali, il mio cuore stava uscendo dal petto da quanto velocemente batteva, i miei polmoni sarebbero scoppiati di lì a poco, i miei organi interni si stavano lentamente sciogliendo, tutto il mio corpo stava bruciando. Ma non mi muovevo.
"È pronta la cenaaaaa!"
Dei passi. Paolo si staccò velocemente e si stese sull'erba ad occhi chiusi. Lo imitai. Che bello, la tortura era finita. E allora perché avevo quella strana sensazione proprio alla bocca dello stomaco? Perché avevo fame. Sì, perché avevo fame. Per nessun altro motivo. Un moto d'odio verso Marco mi pervase. Sempre nei momenti meno opportuni arrivano gli adulti. Beh, d'altronde descriveva perfettamente la mia vita questa espressione. Ci avviammo. Il silenzio fra noi era assordante. Guardavamo entrambi a terra. Era la stessa atmosfera di casa mia e in un momento rabbrividii, facendo voltare un Paolo con le pupille dilatate verso di me.
"Eccovi qui ragazzi. Vi siete divertiti? Ma certo, ma certo. Ora mangiamo, su. Tutto bene? Siete cupi. È successo qualcosa. Parlatene, parlatene col vostro vecchio. Avete litigato? Sediamoci, ditemi cosa non va tra voi, sono sicuro di potervi dare buoni consigli e scacciare quei musi lunghi. Fatemi un bel sorriso. Ecco, bravi, così."
"Papà, quando hai finito il monologo vado di sopra a cambiarmi." disse Paolo dolcemente.
Io mi sforzavo di mantenere un'aria normale, ma sapevo che era impossibile, soprattutto perché il mio viso diceva mille cose senza che io aprissi bocca. E avevo paura che se Marco ci avesse rifatto la domanda separati non avremmo dato le stesse risposte.
"Tu, Matteo?"
Non sarei andato di sopra per nulla al mondo, rischiando di rimanere da solo con lui. Sarei andato in ansia e chissà cosa avrebbero fatto i miei muscoli anche senza gli impulsi del mio cervello.
"Resto. La minestra si raffredda."
"Ti ha stufato la mia zuppa?"
Gli ero grato per il fatto che parlasse di questo piuttosto che di Paolo.
"Non sia mai!" alzai le mani sorridendo.
Rise anche lui e ci sedemmo. I piatti erano già in tavola fumanti. Era il terzo giorno che mangiavo minestra e iniziava a piacermi. Strano come l'ambiente circostante possa influenzare i tuoi pensieri e le tue sensazioni.
"Allora, come stai? Ti stai trovando bene qui? Prima o poi passeremo un po' di tempo insieme, ho le carte, stasera potremmo giocare tutti e tre insieme, no?"
"Qui mi trovo benissimo, mi sento più a casa che in città."
Pensai a Paolo. Lui mi faceva sentire a casa. Ma lo faceva anche Marco con il suo viso affabile, la sua risata facile, la profondità del suo sguardo. Non si assomigliavano se non per il naso.
"Non so giocare a carte, ma potreste insegnarmi."
"Hai sentito, Paolo?"
Stava scendendo le scale in quel momento. Mi costrinsi a non voltarmi.
"Non sa giocare a carte! Robe da matti. Cosa ti insegnano in città, gli scacchi? No, no, no, ma cosa sono queste mancanze? Adesso lo dico a tua madre, oh se glielo dico! La sgrido per bene. Ti insegno io, ti insegno io..."
Continuava a parlare, ma io non lo sentivo più. Paolo si era seduto davanti a me. Aveva una maglia bianca attillata a maniche corte che lasciava intravedere gli addominali e dei pantaloni grigi della tuta che si intonavano alla perfezione con il colore dei suoi occhi.
"Ti sta scendendo la bava." mimò con la bocca nella mia direzione. Cosa stava cercando di fare? Il gradasso? Nascosi il viso abbassandolo verso il piatto. Improvvisamente la zuppa era diventata la cosa più interessante nella stanza. E il bordeaux della tovaglia non era nulla in confronto alle mie guance, oserei dire. Speravo che nessuno se ne accorgesse.
"Qui non mi ascolta nessuno, eh?" disse Marco con un sorriso beffardo.
"Papà, non ti si sta dietro!"
"Hai ragione, hai ragione. Ho notato che la tristezza è scomparsa. Benissimo. Quindi non avete litigato?"
Speravo rispondesse Paolo. Gli inviavo messaggi mentali. Rispondirispondirispondi.
"Papà, ma cosa vai a pensare? Eravamo solo scocciati che ci avessi interrotti in un momento importante..."
Sudavo freddo. Non gliel'avrebbe detto. Se l'avesse fatto non gli avrei più parlato per il resto dell'esistenza. Avrei preso un aereo e sarei andato a vivere su un'isola in mezzo al Pacifico per la vergogna.
"...quello di rotolare nel mio posto preferito. Ci stavamo divertendo molto entrambi."
Tirai un sospiro di sollievo. Lo notò e si voltò verso di me con uno sguardo da "non farmi cadere la montatura". Gli risposi con uno da cucciolo indifeso. Alzò gli occhi al cielo.Avevamo finito di mangiare. Paolo sarebbe restato di sotto, così ne avevo approfittato per fare una dovcia. Sì, evitavo i momenti in cui potevamo restare soli. Non avevo intenzione di affrontare la situazione. Andai in bagno e mi tolsi la maglia. Mi guardai allo specchio: avevo i capelli tutti scompigliati. Sorrisi alla mia immagine riflessa. Ero buffo. Mi spogliai del tutto ed entrai in doccia. L'acqua calda mi aveva sempre dato una sensazione piacevole. Le gocce mi ricordavano le coccole che mia nonna mi faceva quando ero piccolo. Mi sorpresi a sorridere come un bambino. Il suo ricordo era sempre bellissimo, non mi provocava più dolore. "Quando sarò lontana portami sempre nel tuo cuoricino per sentirmi vicina a te" mi diceva "e non essere triste, fallo per la tua nonna preferita." e mi dava un buffetto sulla guancia. Mi mancava. Un rumore mi destò dai miei pensieri. Qualcuno aveva aperto la porta della mia camera o di quella del mio amato-condivisore-di-bagno.
Ecco a voi un nuovo capitolo❗️ Vi sta piacendo la storia? Ditemi cosa ne pensate e se vi piace la neo-coppia (molto neo). Al prossimo capitolo🥰
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Lasciare la strada vecchia per la nuova
Teen FictionMatteo, un ragazzo di 17 anni, è costretto a trasferirsi a casa dell'amico di sua madre Marco. È deciso a cambiare vita, soprattutto dopo aver conosciuto suo figlio Paolo, un ragazzo bellissimo di 18 anni, con cui nascerà una bellissima amicizia, fa...