Paolo - parte 2

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Ero consapevole che la mia vita era piatta da fin troppo tempo. Sapevo che qualcuno lassù (forse Dio, forse il karma) mi avrebbe mandato qualcosa o qualcuno a sconvolgermela. Frequentavo il secondo anno di liceo e a scuola ci andavo per dovere e non sicuramente per piacere. La scelta delle superiori l'aveva compiuta un bambino ancora immaturo, col risultato che la odiavo. Come mi era venuto in mente di frequentare lo scientifico se amavo la letteratura? "I miei amici vanno tutti lì" avevo pensato. Mi ero aggrappato a loro che in quel periodo erano una certezza. Probabilmente l'unica di quel periodo difficile. Ma ovviamente non si erano rivelati quello che credevo fossero e mi avevano iniziato ad evitare non appena mi conobbero a fondo. Poi arrivò lui. Michael si chiamava. Si era trasferito nella mia città dove i suoi genitori avevano trovato lavoro e, si sa, due ragazzi soli fanno sempre amicizia. A scuola giravano voci su di me, ma il mio carattere forte e menefreghista mi spingeva a non cambiarla. Ma io soffrivo. Soffrivo per ogni occhiata, ogni risolino, ogni battutina, ogni minimo commento sussurrato. Perché se lo dicono una o due o tre volte puoi fregartene, fregartene e fregartene ancora. Ma quando iniziano a ripetersi ogni giorno, più volte, da parte di tutti allora non ce la fai più. Avrei voluto continuare a studiare. Avrei voluto conoscere ogni componimento esistente in qualsiasi lingua. E invece l'avevo abbandonata, avevo mollato, fallito, non riuscivo più a reggere le continue pressioni che mi stavano rovinando la vita. Mi stavo ammalando. L'unico rifugio lo trovavo nella musica, perché scrivere mi fa bene e male allo stesso tempo. Riporta a galla ricordi della scuola, ma mi rilassava anche. Mi rende felice e triste.

La musica è la scorciatoia delle emozioni.
(Lev Tolstoj)

È il mio porto sicuro. Le note che scivolano via dalle corde pizzicate dalle mie dita sono medicina della mia depressione. Sì, depressione. Sono nel limbo che separa la semplice tristezza dalla malattia e qualsiasi cosa potrebbe tirarmi su o buttarmi giù. Per sempre. Ecco perché mi sono costruito una corazza di indifferenza e insensibilità. Ecco perché ho sempre il sorriso, seppur finto, sulle labbra. Ecco perché di conoscere persone nuove non se ne parla. Dopo Michael non volevo più nessuno. Dopo l'amore, sì amore, che ho provato per lui non volevo provarne più. Dopo la sua morte, dopo le prese in giro per il mio orientamento, dopo tutto quello che ho provato, volevo solo che smettesse tutto, che ci fosse un interruttore da spingere sull'Off per un po'. Giusto il tempo di risollevarsi. Ma io non l'avevo avuto. Ed è stata la mia disgrazia peggiore. Vorrei poter dire che ora sto bene, ma non posso. Ho bisogno di un aiuto esterno, una spinta. Devo per forza rimettermi in gioco per uscire dal limbo. Decisi che l'avrei fatto proprio mentre pizzicavo le corde della chitarra. Quel pomeriggio avevo sentito le ruote di un'auto sul vialetto e successivamente dei passi sulle scale. Si azzerarono al ballatoio, probabilmente perché il rumore della chitarra li copriva. Alzai gli occhi come avevo imparato a fare per spiare le persone dal balcone e vidi un ragazzo che mi spiava dalla porta semiaperta. Sembrava completamente rapito dalla mia musica e istintivamente sorrisi. Far star bene le persone era uno dei miei obiettivi quando avevo preso in mano per la prima volta lo strumento e riuscirci era una vittoria davvero importante. Finsi di non averlo visto. Non so cosa mi avesse spinto a farlo, probabilmente la volontà che ascoltasse fino alla fine, cosa che mi avrebbe reso davvero felice. Ma se n'era andato. E io me l'ero presa talmente tanto con me stesso che per mitigare questo sentimento ero andato con fare strafottente a parlargli. Anche se poi me n'ero pentito. Mi ero reso solo ridicolo e antipatico davanti ad una persona che non conoscevo subito dopo essermi ripromesso di essere più aperto. Grande. Sono sempre stato molto duro con me stesso, anche se conosco i miei limiti, voglio sempre dare il massimo e mi incupisco quando qualcosa non va come vorrei. Quella sera andai a dormire divorato dai tarli dei sensi di colpa e di inadeguatezza, il sentimento più brutto che una persona può provare. È capace di azzerarti un'autostima grandiosa e di trascinarti sul fondo. È capace di uccidere, succhiare via la vita, e lasciare la persona vuota. Ti porta ad arrenderti, quando invece la vita è fatta di battaglie. Cercai di perdonarmi. Dicono che se tracci un grafico della felicità, i picchi in positivo o in negativo siano dati da fattori esterni quali le morti, le amicizie, la famiglia. Io penso che il mostro che ti spinge sullo scivolo sia invece dentro di te. È più facile per esempio perdonare gli altri piuttosto che se stessi. E infatti quella sera non riuscii a perdonarmi, ma non gettai la spugna, anzi mi ripromisi che avrei rimediato l'indomani. Avrei mostrato il me stesso felice e spensierato, quello senza problemi, quello che esisteva solo con Michael. Mi ero aperto con lui. L'avevo lasciato entrare nella mia camera, avevo lasciato che la ordinasse con me, l'avevo lasciato entrare nella mia grotta e nella stanza di mia madre. L'avevo lasciato entrare in così tanti posti personali, in cui non avevo mai portato nessuno prima, che ci restò. E ogni volta che io mi ritrovavo al loro interno, mi ricordavo di lui. Rivedevo il suo corpo magro, udivo la sua risata, sentivo il suo profumo CK. E fu così, piano piano, toccando un oggetto e guardandone un altro, che lasciò tracce non solo nel posto, non solo sull'oggetto, ma anche dentro di me. Lasciava piccole gocce indelebili, che, si sa, se diventano tante formano i laghi. Ed era quello che stava succedendo. Ormai mi era entrato dentro e aveva formato il suo lago che non se ne sarebbe mai più andato.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 18 ⏰

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