Mayday, mayday, solo cinque centimetri. Era una tortura. La distanza diminuiva ancora e ancora. Ormai il mio cervello era completamente in tilt. Mille spie erano accese e lampeggiavano impazzite. Quando le sue labbra arrivarono a soli due centimetri dalle mie si bloccò e abbassò gli occhi. Oh no. No no no e poi no. Non era un buon segno. Cosa faceva? Era così vicino. Si stese affianco a me.
"Bella discesa eh?" disse con un tono teso.
"Decisamente sì."
Mi sforzai di sorridere quando tutto dentro di me si era spezzato. Mi ero fatto mille congetture su quello che sarebbe successo. Forse si era avvicinato solo per farsi forza sulle braccia e spostarsi. Forse voleva solo farmi arrossire. Forse voleva cogliermi in fallo, mettermi alle strette per vedere cosa avrei fatto. E io non ho fatto niente. Cosa gli avevo dimostrato? Che mi piaceva? Che mi era indifferente? Che non sapevo cosa fare? Ero immerso completamente nei miei pensieri e non mi accorsi che era ancora lì. Mi guardava. La sua anima sembrava teatro di scontro tra due volontà: fare qualcosa e non fare niente. Ed ero sicuro che quel qualcosa comprendeva anche me. Lo leggevo nei suoi occhi con le pupille erano dilatate in cui mi specchiavo. "Tivogliotivogliotivoglio." ci leggevo.
Ma probabilmente era solo una mia impressione.
"Rifacciamolo." disse.
Sussultai. Fare cosa?
"Non ti è piaciuto?"
Aveva uno sguardo triste, come l'avessi offeso su qualcosa a cui teneva molto. Rimasi un attimo interdetto, poi capii che si riferiva alla discesa dalla collina.
No, non volevo rifarlo. Volevo rimanere lì, steso sull'erba con lui affianco, un alito di vento che mi scompigliava i capelli, il sole che mi accarezzava il viso, Lui vicino a me. Aspettate, no, Lui l'avevo già menzionato. "Basta." urlai nella mia testa. I pensieri si spensero.
Scivolammo ancora ancora e ancora. Ridevamo, ci davamo pacche sulle spalle, ci facevamo sgambetti e dispetti, ci spintonavamo. E ad ogni suo contatto sussultavo, anche se era scherzoso.
"Questa è l'ultima volta, il sole sta calando." disse steso sull'erba.
"Questa è l'ultima volta per oggi." lo corressi.
Mi guardò e sorrise.
"Un secondo fa avrei giurato che odiassi il mio gioco preferito da quando ho tre anni."
Ecco perché aveva quella faccia triste. Gli diedi una spinta alla spalla.
"Non trarre conclusioni affrettate." risposi.
Iniziò a giocherellare con il laccetto dei pantaloni. Io guardavo le sue mani o forse il suo laccetto o forse al di là del laccetto, non lo sapevo neanche io.
"Ti ho letto la delusione negli occhi. E io non sbaglio mai." Si alzò sui gomiti "Mi fai pensare che non fosse dovuta alla discesa." Arrossii "E dal tuo rossore capisco che non me lo dirai."
"Perspicace."
"Non riuscirai a nascondermelo ancora per molto, qualsiasi cosa sia. Raccolgo piccoli elementi, dettagli che passano inosservati, e li unisco per trovare una spiegazione. Attenzione, non si riuscirà a convincermi del contrario una volta arrivato ad un certo punto, quindi se non vuoi che io mi faccia strane idee ti conviene dirmelo."
"Se io sono Socrate tu sei un sofista." risposi semplicemente.
Riuscivo a sviare il discorso senza rispondere alle domande. Bravo, Matteo, ben fatto.
"Eviti il discorso."
Ritiro quello che ho detto sulla mia bravura.
"Ma non sei obbligato a rispondere. Volevo solo avvisarti. Provare a cavarmi delle idee mie dalla testa è come mangiare la zuppa di mio padre con il cucchiaio bucato."
"Lo terrò a mente." dissi "E devo assicurarmi di una cosa prima di dirtelo."
La <cosa> erano i suoi sentimenti nei miei confronti. Niente di che. Facile. Facilissimo. Avrei dovuto soltanto chiederglielo in modo disinteressato. "Amico, cosa provi per me?" Non si sarebbe assolutamente fatto mille domande. E tantomeno avrebbe pensato che sono scemo a credere di piacergli. Avrei aspettato. Con pazienza.
"Si dà il caso che io abbia già la tesi nelle mie mani. In soli due giorni mi hai dato tanti dettagli da esserne sicuro."
Deglutii a fatica. Forse aveva sbagliato. Forse credeva semplicemente che i fantasmi della mia vecchia vita riaffiorassero nei vari momenti e che mi offuscassero gli occhi chiari. Aveva detto di aver raccolto degli elementi. Si riferiva alla vicenda del serpente? Sì, sicuramente a quello. No no no no. Non dovevo pensare a quelle cose. Dovevo tornare in me. Sembravo una ragazzina di tredici anni in preda agli ormoni.
Ma i miei pensieri non si spegnevano facilmente. Sì, per alcuni minuti sì. Poi tornavano. Più forti di prima. Dovevo distrarmi di continuo, stare impegnato, perché ogni volta che mi fermavo la mia mente si riempiva. E stava per scoppiare, stavo per scoppiare. Non potevo permettermelo. Non l'avrei mai permesso.
"Aspetto un solo altro dettaglio. Uno solo."
"Sforzati di non dargliene." urlava la mia mente.
"Sforzati di dargliene." urlava il mio cuore.
"NO!" gridai dentro di me.
Paolo mi guardava spaesato. Un sudore freddo mi bagnava la fronte. "Dimmi che non l'ho detto ad alta voce" pensai.
"Socrate" mi guardò "Con chi parli?"
Sembrava preoccupato. Chiuse gli occhi.
"Mi hai fatto perdere dieci anni di vita per la seconda volta. Se continuiamo così morirò fra una settimana."
Ridemmo entrambi. Lui mi guardava con gli occhi socchiusi. Io ero rivolto invece verso il cielo. Non volevo incrociare il suo sguardo. Sapevo che ci avrebbe letto l'ultimo ingrediente che gli serviva per sfornare la sua tesi.
"Mi tornano in mente spesso episodi del mio passato." dissi al cielo.
"Anche a me. Venivo qui quando mia madre e mio padre mi sgridavano. Rotolavo giù e risalivo finché il cielo non si tingeva di rosso scuro. A quel punto tornavo a casa col sorriso sulle labbra. E i miei genitori mi baciavano la testa mentre entravo."
Si stava toccando i capelli. Le labbra erano incurvate all'insù. Lo guardai. Mi guardò. Ci guardammo.
"Ma non è questo che nascondi."
Mi girai verso il cielo. Troppo tardi. Era appoggiato su un gomito. Teneva le labbra e gli occhi socchiusi.
"E visto che sono così sicuro di quello che penso te lo dirò."
Mi voltai verso di lui. Il mio collo stava protestando per i movimenti continui. Ma io lo ignoravo. C'era solo lui. C'era il suo viso contornato di luce. C'era il suo profumo che mi inebriava le narici. C'erano solo i suoi occhi che guardavano i miei. C'erano le sue mani grandi appoggiate sull'erba. Ogni colore era più acceso, più bello. Il rosso più rosso, il verde più verde.
"Ti ascolto." gli dissi in un soffio.
Mi mancavano la voce, la forza, la vita. Mi mancava il mio corpo su cui non ero più padrone. In quel momento sembravo non avere nulla, essere spogliato di tutto, di ogni mia corazza, di ogni mia protezione. Passavano i secondi. Inesorabili. Li contavo. Ventidue. L'ansia cresceva. Ventisette. Davvero era arrivato alla verità? Così presto? Trentaquattro. Sì, ne ero sicuro. Trentasette. Si mosse.Hi everybodyyy in questa settimana sono aumentate molto le visualizzazioni grazie a tuttiiii. E ditemi, Paolo avrà capito i sentimenti ormai ovvi di Matteo?
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Lasciare la strada vecchia per la nuova
Teen FictionMatteo, un ragazzo di 17 anni, è costretto a trasferirsi a casa dell'amico di sua madre Marco. È deciso a cambiare vita, soprattutto dopo aver conosciuto suo figlio Paolo, un ragazzo bellissimo di 18 anni, con cui nascerà una bellissima amicizia, fa...