CAPITOLO XVIII - Sangue

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Anchin era in piedi, immobile; proprio come quando morì Lussuria. Tân osservò per la seconda volta il risultato dello scontro, tirando un sospiro di sollievo e abbassando la guardia, in attesa del risveglio del compagno.

La pioggia smise d'un tratto; non sembrava naturale. Rizaa, che a mala pena si reggeva in piedi, fece qualche passo verso l'elfo zoppicando e cadendo a terra. Un dolore lancinante le pervase le sue gambe e continui zampilli di sangue non finivano di uscire.
Si muoveva appena; cercò solamente di strisciare verso il maestro.

Tân le volò incontro.

– Rizaa stai perdendo parecchio sangue, di questo passo morirai!

Era debole e inerme; si muoveva a stento e riusciva appena a sussurrare. Lasciò a terra la scheggia di vetro, intrisa anche del suo sangue, e i denti affilati della progenie di Gola.

– So che mi stai sentendo, fermati o sarà anche peggio. – continuò Tân, strattonandola per il retro del corsetto.

La ragazza si arrestò. Guardava da lontano il corpo sfocato di Anchin; voleva raggiungerlo ma sarebbe stato inutile. Piangeva lacrime di disperazione osservando il corpo immobile di Anchin.

– Almeno mi senti. Posso fermare le perdite di sangue, però ti avviso che sarà doloroso.

Era preoccupata per lei, sudava dalla paura di perderla nonostante non fossero vere e proprie amiche.

– V-Va bene...

Riusciva a mala pena a sussurrare quelle due parole; aveva evidenti problemi nel respirare.
In un solo istante, i fori sulle sue cosce e i tagli sulle braccia iniziarono a bruciare.

Cominciò ad avere degli spasmi, il dolore era incontrollabile; calciava l'aria e tentava di aggrapparsi al nulla. Dopo poco iniziò anche ad urlare dal dolore.
La fata cercò di aumentare al massimo la velocità del tutto, sperando che il dolore durasse ancora per poco. Non ce la faceva a sentire quelle urla; nel bene e nel male si era abituata alla sua presenza e non voleva lasciarla morire in quel modo.

Si grattava le ferite come fossero punture di zanzara, ritardando la cura. Non riusciva a sopportarlo, si girava ovunque per cercare di estinguere le fiamme, ma era inutile.

– Resisti, non manca molto. – sussurrò la fata.

Il fuoco continuava a bruciare, nel mentre smise di muoversi e di urlare.
Tra se e se Tân credeva che fosse morta, ma un briciolo di speranza le diceva di non smettere.
In breve le ferite si cauterizzarono e Tân si lanciò sul petto della compagna. Sentiva ancora il suo debole battito, per cui iniziò a spingere più forte che poteva sul suo cuore.

"Non ci lasciare, ti prego. Sei importante per Anchin, si è affezionato a te e per lui non sei solo un'allieva. Se lo renderai triste non potrò mai perdonartelo." questi pensieri le inondavano la testa, non si dava per vinta.

D'un tratto la fata sentì che qualcosa non andava; qualcosa sollevava il corpo. Alzò la testa e vide un Anchin dal volto cupo. Teneva Rizaa tra le braccia e iniziò a incamminarsi verso le scale; teneva un passo rapido, ma non corse per paura di scivolare e di farla cadere chissà dove.

– Meno male che ti sei svegliato, cosa facciamo? – disse la fata, inseguendolo al massimo della sua velocità.

L'elfo non le rispose, si limitò a mostrarle uno sguardo speranzoso seguito da un sorriso falso. Era diverso dal solito. I suoi occhi, dalla sclera rossa, avevano un'incavatura nella zona delle occhiaie; uno strato di sangue raggrumato si formò proprio in quel punto. Tân non voleva farne parola, concentrava tutta la sua preoccupazione su Rizaa.

L'assassino del Peccato [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora