CAPITOLO XXV - Riconciliazione

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Il maleodorante odore di bruciato e fanghiglia era presente in tutto il corridoio. Le ceneri del signore dei sou'li Invidia scomparirono lentamente, lasciando Tân con un forte senso di insoddisfazione; le sembrava tutto troppo facile.
Anchin era seduto a terra, immobile; si poteva notare la sua stanchezza da decine di metri.

Oltre il portone si intravedeva la luna rossa, ridotta a meno della metà, la quale iniziava a calare. Tân, rimasta fuori dal portone, cercava in ogni direzione il destriero peloso, chiamandolo a più non posso. Girò interi isolati finché non scorse un'ombra con la coda dell'occhio. Il freddo clima non era nulla per lei, l'unico grattacapo erano i fiocchi di neve che la toccavano nella loro discesa.
Rimase stranita; non si aspettava forme di vita nei paraggi.

"Un sou'li... non può esserci altra spiegazione." pensava, cercando di tenersi a debita distanza.

Svolazzava tra le case con cautela, rimanendo ad un altezza non raggiungibile per esseri privi di ali.
Sagome nere avvolte in un mantello correvano impaurite, la fata non poté far altro che seguirle senza dare troppo nell'occhio. Sfortunatamente per lei, la luce che emanava era troppo sgargiante e non si confondeva con la scarlatta luna.

Quelle figure si rifugiarono nel sottosuolo, vicino ad una casa ridotta in cenere, tramite una botola metallica. La fata era interdetta sul loro comportamento; i dubbi si alimentarono e, curiosa, si avvicinò tenendo alta la guardia.
Dall'interno, una voce impaurita la supplicò:

– Andate via! Non vogliamo morire! Siete dei mostri...

Le lacrime amare erano percettibili col solo udito. Tân capì in un solo istante che quelli non erano sou'li, ma dei sopravvissuti.

– Non sono uno di quei mostri. – tentò di urlare, senza venir ascoltata. – Io e il mio amico abbiamo ucciso il loro capo!

Iniziò ad urlare per timore di non esser stata ascoltata; al contrario quelle persone provavano un'estrema paura nei confronti di chiunque.

I tentativi erano inutili; nulla li avrebbe convinti. Rifletté a fondo sulle parole da dire, cercando di ricordare vecchie discussioni avute con l'elfo.

– Ehi! Il mio compagno che ha ucciso quel mostro non è altri che Anchin, un membro della Squadra Teta!

Urlò il più possibile; voleva accertarsi che altri possibili sopravvissuti l'avrebbero ascoltata. I gemiti di terrore si interruppero, al suo posto si sentirono solo sussurri incerti.

– Sento che vi state convincendo! Io vado al palazzo del vassallo da Anchin, se volete ringraziarlo passate pure, non morde!

Lasciò il posto il più velocemente possibile. Il tempo che impiegava l'elfo per tornare lucido, dopo la morte di un peccato, era passato e la fata aveva urgenza di parlargli. Tornata in quel corridoio scarlatto, osservò un Anchin steso a terra, con il braccio destro che puntava il soffitto.

– Cosa stai...

– Rifletto. – disse, mozzando ogni emozione e tenendo gli occhi fissi sulla mano e sul soffitto diroccato.

Dai suoi occhi scendevano due linee cremisi, le quali erano ben visibili fino al collo. Percorrevano la stessa direzione delle lacrime.
La fata si avvicinò a lui, sedendosi accanto alla sua testa.

– Come ti senti? – chiese lei, mantenendo un tono calmo seppur preoccupata.

– Sono stato meglio; voglio dire, è stata una giornata piena di avvenimenti. Perdere Rizaa, cavalcare un lupo di quelle dimensioni e uccidere due peccati è stato stressante. Non mi riposo da un po'.

Nelle sue parole sentiva un pizzico di nostalgia; aveva omesso il discorso fatto alla tomba di Iluk e questo la mise in allarme.

– In più sento un pizzicorino al taglio del braccio; dici che posso farmi fare una protesi?

L'assassino del Peccato [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora