CAPITOLO XXXI - Impotenza

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Non poteva credere ai suoi occhi. Il bagliore del mattino, così assente e desiderato da mesi, sembrava quasi un tenero miraggio. Una luce calda e allegra che andava a sostituire il cupo rosso scarlatto emanato dal poco che rimaneva della luna vermiglia.
Era sul punto di commuoversi dinnanzi a tale splendidezza. Ripensava ai suoi compagni e alle giornate passate in allegria con i Percefor; un paio di lacrime scesero lungo il suo viso.

Un candido braccio dalla pelle chiara lo abbracciava. Quel profumo era familiare, ma non riusciva a ricordare a chi apparteneva. Rimase immobile, scaldato dai raggi del sole e massaggiato dalla morbidezza avvinghiata sulla sua schiena.

Non pensava a nulla, aveva la mente libera da ogni preoccupazione e da brutti ricordi. Una voce soave passò per il suo orecchio.

– Caro, sei sveglio?

L'aveva già sentita da qualche parte ma non ricordava dove. Era come ascoltare la voce di un vecchio amico dopo dieci anni di completo distacco; ma lei non era una semplice conoscente.
Iniziò a percepire del peso sulla sua spalla, finché non venne spostato a pancia all'aria.

Sul suo petto giaceva una donna di bell'aspetto, dal volto infantile e dai lunghi boccoli dorati. La luce del mattino si rifletteva sulla lunga chioma, rendendogli ardua la vista. Era completamente nuda e il suo seno era abbastanza morbido da farla rimbalzare sul suo petto.
Lo guardava con quegli occhi verdi e teneri, carezzandogli la testa con la mano su cui portava l'anello che simboleggiava il loro matrimonio.

– Dai! Rispondimi. Come mai sei così serio dopo la nottata che abbiamo passato?

Anchin non sapeva come rispondere. Davanti a lui vi era la donna che aveva più amato in tutta la sua vita e l'unica cosa a cui pensava era il suo corpo morto.

– Anchin... Che ti prende? So io come tirarti su.

Aveva un tono calmo e allegro, al contrario il suo sguardo malizioso ispirava tutt'altro. La donna iniziò a sgusciare sotto le lenzuola in seta ma l'elfo la bloccò all'istante, afferrandole le spalle. Diede uno sguardo al suo braccio sinistro, bianco e peloso, ricordando l'ammasso di carne nera che aveva fino alla notte passata.
Era pieno di dubbi ma uno più di tutti lo spingeva a parlare.

– Kweli, potresti ripetere come mi hai chiamato?

Alzò il busto, obbligandola ad alzarsi a sua volta. Era del tutto uguale a come la ricordava, soprattutto dalle forme del suo seducente corpo.

– Anchin, è il tuo nome.

Lo guardava con sguardo sincero e gli occhi pieni di passione, si avvinghiò a lui, rimanendo completamente in silenzio. Aveva un buon odore nonostante quello che potesse immaginare l'elfo.
Gli tornarono in mente i primi istanti in cui conobbe Iluk Percefor:

– Come fai a conoscere quel nome? Da quando ci siamo sposati non hai più chiamato col mio nome.

Abbassò lo sguardo sulle sue gambe; piccole macchie cremisi colavano dal suo corpo fino a macchiare le coperte. Lasciò la presa sulla donna, toccando delicatamente le lacrime sotto i suoi occhi. Osservò le dita, pregne di sangue, e la sua bellissima amata con terrore.

Si placò in un istante, tornando con la sua solita compostezza.

– Sei Accidia, non è vero?

La luce del mattino si fece scura e lo spazio intorno ai due scomparve progressivamente.
La donna lo guardò con un sorriso inquietante, scomparendo in un solo istante.
Tutto intorno a lui diventò nero e, da nudo, tornò ad avere tutti gli abiti che indossò prima di andare a dormire.

– Dedicare se stessi per gli altri senza aspettarsi nulla in cambio. È questa la definizione di amore? Ho scavato nei tuoi ricordi precedenti alla "guerra alle divinità" e non ho trovato il tuo nome da nessuna parte, cercando più a fondo ce l'avrei fatta senza dubbio ma non ne avevo particolare voglia; d'altronde io sono la definizione stessa dell'accidia.

L'assassino del Peccato [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora