CAPITOLO XII - Massacro

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Anchin rimase immobile, per una manciata di minuti, sul bordo del letto; nonostante Tân lo chiamasse ripetutamente e gli pizzicasse il viso, lui non si scomponeva.
I suoi occhi si spensero ma il suo battito continuava imperterrito, aumentando e diminuendo a intervalli irregolari. Spesso mostrava un evidente affaticamento.

Nell'attesa, la fata decise di lasciare alle vittime del sou'li un minimo di dignità, incenerendo tutto quello che ne rimaneva. Le calde fiamme risparmiarono ogni singolo oggetto, intaccando solamente i loro bersagli.

D'un tratto l'elfo si coprì il volto con i guanti sporchi di sangue e capelli, rimasi appesi alle giunture metalliche. Tremava ma non sentiva freddo o paura, era una sensazione del tutto nuova per lui. Incurvò la schiena in avanti ed emise dei lamenti agghiaccianti.

Tân non se la sentiva di avvicinarsi;. aveva paura.

Non vi erano sou'li in avvicinamento, solo loro due e le fiamme della fata. Iniziò a calmarsi, smettendo di singhiozzare e alzandosi in piedi. Tân gli si appoggiò sulla testa incappucciata.

– Va tutto bene, ci sono io con te.

− Andiamocene, mi sono stancato di questo posto.

Si tolse il cappuccio con calma; le mani continuavano a traballare. Il suo volto triste e tormentato mostrò che la sclera dei suoi occhi si tinse di un rosso cremisi e l'iride raffigurava il simbolo dei sou'li.

– Non ancora, devo finire di bruciare le sue vittime. Te, piuttosto, come ti senti? Sembra che ti sia passato un carro sulla schiena.

L'elfo non rispose, si limitò a osservare le ceneri sparse per tutta la stanza, finché l'ultima fiamma non si estinse.

− Certo che non hai pietà per i morti. I loro cari avrebbero preferito una degna sepoltura.

− Te non ce l'hai per i vivi. − riprese lei, dal volto scocciato.

− Solo per i sou'li. Se hai fatto andiamo. E stammi a qualche metro di distanza.

– Perché? Ho fatto qualcosa di male? – domandò la fata, preoccupata, svolazzandogli attorno.

L'elfo si mostrò freddo nei suoi confronti, evitando di guardarla in faccia e uscendo dalla stanza.

– Ho visto cose terribili che ho fatto in passato e non voglio ripeterle quindi, per il tuo bene, stammi distante!

Tân fece come detto, aspettando che di riprendesse.

"Cosa hai visto di preciso?" pensava la fata, sapendo che non gli avrebbe mai dato una risposta certa, almeno non ora.

– Mi spiace, se posso...

– Non voglio ripetere lo stesso sbaglio quindi ti chiedo di farmi una promessa: se mi vedrai abusare di qualcuno, di qualsiasi sesso o razza, fermami con le tue fiamme. Hai il permesso di uccidermi se necessario.

– Io... Quando vorrai parlarne sarò lì con te per ascoltarti. Anche se sono piccola, sarò la spalla su cui potrai piangere, te lo prometto.

Rimasero in silenzio. Usciti dalla stanza, girarono immediatamente sulla sinistra, seguendo urla di terrore e lamenti vari. Pochi metri e davanti a loro si palesò lo spettacolo: decine di uomini e donne, completamente nudi e accalcati tra di loro, cercavano in tutti i modi di uscire dalla cella dove erano imprigionati. L'odore nauseante di feci era pungente e lo costrinse a tapparsi il naso.

Appena Anchin si posizionò davanti alle sbarre metalliche, osservò con attenzione tutti i presenti visibili; le uniche luci presenti erano Tân e un paio di fiaccole lungo il corridoio. Le loro voci si sovrapponevano creando un mormorio incessante; non sapevano se essere felici o spaventati di vederlo; i suoi occhi non lo aiutarono affatto.

L'assassino del Peccato [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora