CAPITOLO XVII - Ricordi II

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"Il mondo intero vede il peccato di gola come l'irrefrenabile istinto di mangiare in continuazione.

Esso è molto di più.

Il peccato di gola coincide con un desiderio d'appagamento immediato del corpo per mezzo di qualche cosa di materiale che provoca compiacimento.
Già... compiacimento. Un sentimento che genera piacere proprio, come il peccato di lussuria.
In pochi associano i due peccati tra di loro, ma nel profondo sono così simili...

Il signore dei sou'li Gola era incapace di moderarsi, non era solo pervaso da una fame inarrivabile ma anche dal desiderio di conoscere i suoi limiti e fin dove la disperazione può arrivare. La sua progenie era costretta al cannibalismo per diventare più forte, ma questo era tutt'altro che un beneficio.
Anche nel suo ultimo istante di vita provava gola verso il modo in cui è stato sconfitto.

Alla fine, chi vive di gola resterà sempre con un vuoto incolmabile..."

Avevo un forte mal di testa, non capivo dove ero e nelle orecchie rimbombava un frastuono inconcepibile.

Lo odiavo, ma allo stesso tempo non potevo farne a meno. Camminavo tra le strade affollate con una bottiglia vuota in mano, seguendo quel frastuono irraggiungibile. Le mie gambe si reggevano in piedi ma tendevano a dondolare sulla destra.

Mi scontravo con numerose persone; neanche uno scusa, nessun perdono. Continuavo inesorabile a camminare.

Pioggia, neve, fulmini... le intemperie non potevano fermarmi, tantomeno dei semplici esseri umani. Luci colorate sparate in cielo erano all'ordine del giorno, mentre coriandoli di carta erano il mio pasto durante le camminate.
Non che li mangiassi di mia spontanea volontà, ma avevo la bocca sempre aperta.

Il rumore... quel dannato rumore... cambiava ogni minuto e ogni ora ricominciava da capo. Bambini impertinenti mi osservavano impauriti, padri orgogliosi si vantavano e madri stolte mi denigravano. Cosa ero per loro? Cosa ero per me?

Un banale elfo, tra quelli che si vedevano ogni giorno, o l'ultimo dei sou'li rimasti sul pianeta?

Una via di mezzo, tanto raro da essere sconosciuto e tanto banale da essere odiato. Ecco cosa ero per quella società che aveva perso la paura.

Un solo attimo mi destò da quello stato: il rumore assuefacente si interruppe; al suo posto, la voce di un tipo sconosciuto, acclamato dalla folla.
La mia lucidità tornava lentamente; la mia vista in pochi istanti. L'uomo ignoto era su un carro da parata, seguito da una lunga carovana. L'alcol mi aveva trasformato in un nulla, mi piaceva.

Continuai per una settimana intera, ma nulla poteva rimpiazzare quella sgraziata melodia. L'ultimo giorno fu quello decisivo.

Due... no, tre bottiglie. Tutte svuotate sotto un bagliore artificiale. Seguivo un nulla, forse la voce di una tenera fanciulla che canticchiava nella folla.
Gli spintoni erano comuni, ero sempre a un passo dalla caduta, a qualche centimetro dal marciapiede. Mi facevo schifo da solo, ma amico... era sempre uno spasso.

La mia faccia doveva essere terribile.

Barcollando da un giorno all'altro, mi accorgo che i soliti sguardi di disgusto si trasformano in terrore. Continuavo a camminare senza sosta con la solita bottiglia in mano.
Donne urlavano e bambini piangevano a dirotto; iniziavo ad irritarmi. Cosa li aveva turbati così tanto?

Il giorno dopo la stessa cosa, questa gente non aveva di meglio da fare.

D'un tratto un certo odorino attirò la mia attenzione; lo seguì per un buon miglio e mezzo. Proveniva da un vecchio vicolo che odorava di peste; questo non mi fermò comunque.
Diedi le spalle a quegli sguardi impauriti e alle urla irritanti.

Un piccolo barlume di luce illuminava il vicolo buio; quattro figure: due uomini e due bambini mi fissavano mentre scaldavano le loro mani su di un barile infuocato.
Si girarono verso di me. I due bambini si rifugiarono dietro agli adulti, questi ultimi si inginocchiarono per chiedere di essere risparmiati.

Avevano i vestiti logori, saranno stati senzatetto cacciati dalle proprie mogli; alla fine non me ne importava molto.

Mi avvicinai ai due, tenendo la stessa distanza da entrambi e poggiai la mia bottiglia a terra. Misi le mani sulle loro teste, accarezzandole con dolcezza.
Piangevano di terrore e urlavano dal dolore; non gli avevo fatto nulla di male.

All'improvviso afferrarono le mie braccia mi scaraventarono a terra. Usarono il loro peso per tenermi a terra, nel mentre cominciarono a prendermi a pugni in faccia e sullo stomaco.
Sanguinavo dal naso e dalla bocca, ma sapore e odore non si fecero sentire. Sembrava come se non ne avessi.

I bambini seguirono l'esempio dei padri. Il maschio iniziò a prendermi a calci sui fianchi e la femmina sui gioielli.
Non sentivo l'impulso di liberarmi, come se sotto sotto mi facesse sentire appagato.
Il bambino colpì la bottiglia di vetro; non capivo il perché del gesto.

Era davanti ai miei occhi, rovesciata. Dal becco usciva quel poco liquido che rimaneva al suo interno, di un rosso cremisi.
Il mio volto si fece più rasserenato; avevo capito che ero ebbro di sangue.

Risi per tutto il tempo, ricordando tutto quello che successe nei giorni precedenti.
Avevo finito il mio amato alcol, l'unica cosa che mi appagava in quella vita monotona.
Dovevo sostituirlo.
Le prime due persone che incontrai erano due donne, accompagnate da quegli stessi bambini che mi stavano picchiando. Le uccisi in mezzo alla strada e bevvi il loro dolce sangue.

Attirai la paura di tutti i presenti, diventando un ricercato.
Conservai sangue che non avevo voglia di bere nella mia bottiglia vuota, così da averlo sempre con me.

Non so perché le loro famiglie diventarono povere in così poco tempo, ma so che volevano vendetta. Le mie risate non cessavano e dopo un bel po' di piacere si fermarono.

Ero steso a terra, da solo, senza più niente da bere. Immerso in una pozza di sangue, sia mio che delle due donne, mi rotolai per cercare di rialzarmi. Non avevo molta forza nelle braccia, mi limitai a sollevare il busto con difficoltà.
Nel mezzo di quell'oscurità, una mano sbucò dal nulla; voleva aiutarmi, non lo meritavo.

Strinsi quella mano con gioia; c'era ancora qualcuno che non aveva paura di me. Era più giovane di me, questo era certo, indossava un cappotto nero e un cappello a cilindro; la sua faccia era fanciullesca, mi dava l'aria di essere un adolescente.
Aveva una voce che ispirava sicurezza, una cosa di cui non mi preoccupai per anni.

– Ehi amico, sembra che ti abbiano dato una bella batosta... So cosa hai fatto, ma io non ti giudico per questo, avrai avuto i tuoi buoni motivi. Se ti aggrapperai alla mia mano ti porterò in un luogo sicuro, dove potrai avere una famiglia...

Lo guardavo con ammirazione; così posato, così inflessibile e così amichevole.
Strinsi la sua mano e mi lascia tirare su.

– Quasi mi stavo per dimenticare, piacere di conoscerti il mio nome è Iluk Percefor.

Spazio autore

Nuovo peccato arso e doppio capitolo, cosa si può volere di più? Persino l'incontro con il suo  maestro. Oggi vi ho viziati un po' e sarà così per tutti i peccati che verranno. Spero che i capitolo legati alla gola vi siano piaciuti, soprattutto il combattimento in se e le riflessioni sul significato di questo peccato molto sottovalutato.

Come sempre, potete farmmi tutte le domande che volete e dove volete, ci si vede settimana prossima col prossimo capitolo, bye bye.





L'assassino del Peccato [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora