"Caro Gilbert,
sono stata molto felice di avere tue notizie, nonostante il grande ritardo. Sono anche grata che la tua salute sia buona: come ben sai, avevo i miei dubbi.
Al Queen's le giornate scorrono lente e uguali una dopo l'altra: tra qualche giorno avrò il mio primo esame, Letteratura Inglese, e questa è l'unica cosa che mi spinge a trattenermi qui e a non tornare a Green Gables.
Matthew si è ripreso, anche se avverte qualche dolore alla gamba nelle giornate più fredde e durante la notte, mentre Marilla sembra di nuovo serena e ha ricominciato a cucinare i suoi bignè.
I tuoi studi sull'apparato cardio-circolatorio mi hanno affascinato e spero di poter vedere quei disegni di cui parli con così grande entusiasmo il più presto possibile.
Anche io devo mostrarti alcuni passi di "Persuasione" di Jane Austen e dei "Miserabili" di Victor Hugo che mi hanno incantata: devi dirmi che cosa te ne pare e leggere assolutamente questi due libri, anche se il tuo gusto in fatto di bei libri è pessimo.
Tutti noi sentiamo la tua mancanza Gilbert, soprattutto Moody: non hai idea di quante volte mi abbia chiesto di ripetergli perché non fossi andato a salutarlo e se per caso ti fossi arrabbiato per qualcosa.
Ti vuole molto bene; dovresti scrivergli per aggiornarlo sulle tue condizioni e per chiedergli come va. Ultimamente è molto teso e sembra con la testa da un'altra parte: potrebbe avere bisogno di parlare con te.
Riguardo alla questione del matrimonio, sappi che ti capisco. In aula da noi, quando non si parla di esami o di lezioni, gli argomenti più amati sono il corredo nuziale e quanto stretti debbano essere i bigodini nei capelli affinché i boccoli rimangano per tutta la giornata.
Ogni tanto, ma solo nelle giornate fortunate, si toccano anche temi fondamentali come il commercio di tabacco e scommesse sulle banche più redditizie di Carmody e Charlottetown (lascio a te immaginare chi possa aver vinto quest'ultima categoria).
Approfitto di questa lettera anche per informarti del fatto che Jane Andrews ti saluta con affetto e che io auspico di poterti vedere dal vivo, come tu stesso dici, molto presto.
Con la speranza che questa volta la tua lettera mi raggiunga prima, ti saluto e ti abbraccio.
A presto,
Anna Shirley-CuthbertP.S.: La tua giacca è in perfette condizioni: l'ho portata con me a Charlottetown in modo da non perderla mai di vista. Mi diceva giusto l'altra sera che si trova molto meglio con me che con te. Che sia segno del fatto che forse dovrei tenerla io per sempre?"
Anna rilesse la sua lettera almeno venti volte prima di decidersi a spedirla a Gilbert Blythe: controllò prima la calligrafia, poi la grammatica e infine i termini che aveva usato. Non voleva sembrare impreparata, ma non voleva nemmeno utilizzare termini troppo altisonanti per una persona ancora non così stretta come lui.
"Secondo lei il termine auspico è troppo desueto per una lettera informale rivolta a un ragazzo?" chiese Anna all'uomo che sedeva dietro alla cabina delle poste.
Era un ometto tarchiato e con lo sguardo svogliato, intento a pettinarsi i baffi con il retro dell'indice.
"Prego?" chiese l'uomo, con la voce roca e gli occhi spalancati.
"La parola auspico le sembra eccessiva?"
L'uomo non le rispose e si limitò a fare spallucce e a guardarla come si guardano gli psicopatici.
Anna rimase in silenzio a osservarlo per qualche secondo, prima di consegnargli la lettera e fargli un sorriso di circostanza.
"Arrivederci" concluse, prima di uscire e ritornare verso il college.
Le strade di Charlottetown erano piene di gente e, per quanto fosse una giornata uggiosa, il sole ogni tanto faceva capolino nel cielo nuvoloso.
Anna si fermò ad ascoltare una donna suonare il violino per strada, circondata da signore in abiti esorbitanti e bambini che si rincorrevano tra di loro.
La musica le fece per un attimo dimenticare tutto quanto e la immerse in un limbo armonioso, composto da note musicali messe in fila una dopo l'altra.
Venne destata da quella melodia ipnotica solo qualche minuto più tardi, a causa di una donna che le sfiorò gentilmente il braccio: aveva poche rughe di espressione intorno al viso, a indicare che probabilmente non aveva più di cinquant'anni, e un'acconciatura voluminosa che le metteva in risalto i bei capelli scuri e le labbra carnose.
"Le serve aiuto signora?" chiese Anna, mostrandole un sorriso educato e guardandola fisso negli occhi.
Quella donna l'aveva distratta dalla musica del violino, ma non si sarebbe mai permessa di non essere cortese con lei o con chiunque altro.
"No cara, volevo solo avvisarti che mentre rincorrevo mio figlio George ho notato che ti è caduto l'ombrello. Era laggiù, sul ciglio della strada. L'ho raccolto e te l'ho portato, spero di non aver fatto nulla di sbagliato" disse lei, prima di venire travolta dall'abbraccio del piccolo bimbo riccioluto che ora le stava accanto.
"Ecco, lui è il bambino di cui ti parlavo"
Anna riprese l'ombrello tra le sue mani, scuotendo la testa per quanto fosse stata stupida a lasciarselo sfuggire per strada e non essersene nemmeno resa conto.
"La ringrazio molto Signora, non ha idea di quanto mi abbia salvata. Questo ombrello non è nemmeno mio, ma della mia amica Diana. Se lo avessi perso non mi avrebbe parlato per almeno una settimana" disse la ragazza, stropicciando il naso per l'imbarazzo. "Mi ero persa nelle meraviglie delle strade di Charlottetown e non me ne sono nemmeno accorta: mi succede spesso in realtà"
"Succede anche a me cara, lo so bene" rispose la donna, ridacchiando e accarezzando la gonna del vestito.
Quello fu un gesto che ad Anna piacque molto, tanto che rimase a fissare per qualche secondo come le dita rapivano il tessuto morbido dell'abito per poi rilasciarlo senza alcuna piega.
Fu proprio in quell'attimo che la magia avvenne di nuovo: questa volta in maniera più pacata, senza luci accecanti, ma con la semplice transizione dal bianco latteo al malva chiaro fino al lilla.
La gonna della signora davanti a lei si colorò lentamente, lasciando Anna a bocca aperta per la meraviglia a cui stava assistendo: sembrava un bocciolo di fiore che stava germogliando proprio in quel momento, davanti a lei.
Non fu soggetta a giramenti, a nausee o a capogiri: rimase inerme davanti a quello spettacolo, prima di ritrovarsi a piangere per l'emozione.
"Allora è vero, inizio a vederli. È tutto reale" mormorò lei, lasciando che le lacrime le toccassero gli angoli della bocca, ora piegati in un sorriso splendido.
La donna di fronte a lei non seppe come comportarsi, stranita dal miscuglio di felicità e di tristezza che il volto della giovane mostrava.
"Cara, vuoi-"
"Signora, lei è la cosa più bella che mi sia capitata in questa giornata. La sua gonna... viola, rosa, lilla, non lo so nemmeno io in realtà, è splendida. Spero di averne una uguale un giorno"
"È lilla, sì. Trovo stia bene con il mio incarnato" sussurrò la donna, prima di essere abbracciata da Anna in un balzo di entusiasmo e di vederla sparire correndo tra la folla.
Era successo ancora e questa volta era stato bellissimo: inaspettato come l'altra volta ma più travolgente, più vero e acceso.
Anna si sentiva su di giri, con gli occhi lucidi e il cuore che le batteva come impazzito sotto al corpetto.
"Devo raccontarlo a Ruby e Diana, ameranno questa storia" continuava a mormorare tra sé e sé, procedendo velocemente fino al cancello dell'istituto e tirando su con il naso. Era raggiante e trasudava gioia, anche se non riusciva a capire che cosa le avesse causato quella manifestazione di colore così splendida.
Non poteva essere stata quella donna e tantomeno il suo bambino: magari qualcuno nella folla intorno a lei era la sua anima gemella e non lo aveva capito fino ad adesso, o magari Roy stava per farle una sorpresa e quello non era stato che un avvertimento del suo amore nei suoi confronti.
Anna salì le scale e, trovando la sua stanza vuota, decise di stendersi per calmarsi e aspettare il ritorno delle sue amiche.
Passò più di un'ora senza che le amiche varcassero la soglia e la ragazza finì per addormentarsi, preda di una stanchezza più mentale che fisica, con il sorriso e con il volto della donna ancora impressi negli occhi.
Non avrebbe mai potuto sapere che quella era la stessa donna che, quasi due mesi prima, aveva indicato la strada per il Queen's a un ragazzo con una borsa a tracolla, dai capelli ricci e dallo sguardo malinconico.
E Anna non avrebbe mai potuto sapere che quel ragazzo era proprio Gilbert Blythe.
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𝓒𝓸𝓵𝓸𝓾𝓻 𝓜𝓮 𝓘𝓷 // A Shirbert Fanfiction
Fanfiction"Mi mancano i colori più strani. Sono quelli che non ho mai visto, quelli che forse non potrò mai vedere. Restano chiusi in un loro segreto alfabeto in qualche parte nascosta dei miei sogni. Per un attimo li scorgo nel sonno, poi arriva l'alba e li...