Faceva ormai buio da più di due ore a Toronto e le strade iniziavano a riempirsi di mille lampadine illuminate e di grida di bambini e dei genitori che li sgridavano.
La gente stava tornando a casa, pronta a gustarsi una cena calda e squisita, in compagnia della propria famiglia.
La biblioteca della facoltà di medicina si era lentamente svuotata, piombando in un buio e in un silenzio assoluti, rotti solo dalla debole luce di una lampada a olio e dal rumore di alcune dita che martellavano ansiosamente il tavolo in legno al fondo della grande sala.
Gilbert aveva gli occhi gonfi e arrossati e la testa china su alcuni fogli: una mano si divincolava tra la massa di capelli ricci, sembrandone imprigionata, e l'altra reggeva una sottile penna stilografica. La schiena era ricurva e le spalle tese sotto al maglione di lana, causandogli un dolore lancinante.
La sua vista stava andando a farsi benedire per le troppe ore di studio passate sui libri e Gilbert aveva deciso di mettere degli occhiali da riposo, giusto per non stressare troppo gli occhi e per poter vedere meglio le migliaia di minuscole nervature presenti sul manuale di Anatomia patologica. Gli occhiali erano leggeri e sottili, avvolti da una montatura scura che gli regalava un'aria da intellettuale, ma lui li sentiva comunque pesare troppo sull'attaccatura del naso e passava il tempo ad alzarseli ogni due per tre e a giocherellarci con le dita.
Aveva passato brillantemente gli esami della prima sessione, riuscendo a stupire anche i migliori insegnanti del corso, ed ora era libero da qualsiasi tipo di impegno fino a fine Gennaio: ma, nonostante questo, preferiva mille volte passare le ore prima di cena da solo in quell'aula così silenziosa e tetra, a studiare per degli esami ancora lontani e di cui aveva seguito non più di una o due lezioni, che a casa, circondato dalla famiglia Rose e dalla loro costante voce seccante.
"Ottimi risultati, senza dubbio, ma nulla che una persona studiosa e ragionevole non possa ottenere. Non capisco tutto questo entusiasmo del tuo corpo insegnante" disse una volta il signor Rose, tra una nuvola di fumo e l'altra.
Trovava incredibile quanto si sentisse più in compagnia a stare da solo, con i suoi libri e i suoi appunti, che non con Winifred, rinchiuso in quattro pareti asfissianti e anguste.
Ogni volta che tornava a casa e varcava la soglia, sentiva la testa iniziare a pesargli tremendamente sul collo e le palpebre farsi pesanti e roventi. Difficilmente parlava con loro della sua giornata, temendo di incappare in discorsi scomodi e ben più soporiferi. Per questo motivo, mangiava spesso in silenzio, rispondendo solo se interpellato e con vaghi e vuoti cenni del capo, cosa che mandava sia Winifred che la signora Rose su tutte le furie.
"Hai una bocca, caro, potresti provare a utilizzarla qualche volta" gli diceva la donna, sventagliandosi e annuendo poi con soddisfazione alla figlia.
Winifred, per quanto fosse infastidita da quel suo silenzio inspiegabile, non osava mai dirgli niente o aprire bocca: sapeva quanto era stanco per lo studio, ma non aveva idea della quantità di frustrazione e collera che Gilbert macinava nel suo stomaco giorno dopo giorno.
Lo sentiva sempre distaccato e freddo, diverso dai primi tempi in cui si erano incontrati, e ora non riusciva più a parlargli come una volta: voleva che le chiedesse di sposarlo, lo desiderava con tutta se stessa, ma il ragazzo sembrava preso da pensieri ben diversi da quelli della loro unione futura. Quando suo padre iniziava a discutere di un eventuale matrimonio, magari nell'estate prossima, lui iniziava a girare compulsivamente il cucchiaio nella minestra sotto di lui, facendola sbordare e provocando un fastidioso rumore nel piatto.
"Magari a Luglio! In quella deliziosa chiesa in fondo alla strada a Carmody. Te la ricordi, amore?" proponeva lei, ottenendo solo il silenzio come risposta.
Gilbert sapeva, dal canto suo, di starsi comportando in maniera sbagliata con Winifred e con i suoi genitori, ma era più forte di lui: provava una nausea costante e nella testa gli rimbombavano in continuazione le parole "matrimonio" e "dote". Non si parlava di altro e lui non ne poteva più: se avesse potuto, avrebbe preso il primo treno per Charlottetown e avrebbe fatto perdere le sue tracce per sempre. Avrebbe potuto studiare al Queen's o iniziare a lavorare per mantenersi e continuare gli studi. Quel pensiero lo stuzzicava per qualche minuto, dopodiché si rinsaviva e pensava che da solo, senza l'aiuto dei Rose, non avrebbe potuto davvero più studiare la medicina che tanto amava.
Avonlea gli mancava terribilmente e, con lei, anche tutti i suoi amici: aveva voglia di scherzare come da piccoli con Moody e Roy e avrebbe pagato qualsiasi somma di denaro in suo possesso per passare anche solo un'ora intera a parlare e passeggiare con Anna.
Quella ragazza era stata per lui come una miccia: gli aveva riacceso la voglia di lottare per la sua libertà e per i suoi ideali, così come l'interesse per la natura e per la vita in generale. Quelle due settimane al Queen's lo avevano risvegliato da un sonno che durava sin da quando suo padre era mancato, facendolo sentire come dentro a una nave durante una tempesta.
Molte notti, per quanto cercasse di negarlo a se stesso, si svegliava di soprassalto con l'immagine di due trecce rosse stampata negli occhi e il collo madido di sudore.
Le scriveva spesso lettere, con la schiena curva sotto la luce della lampada della biblioteca: le parlava dei suoi studi, della psicosi che evidentemente affliggeva la famiglia di Winifred e anche dei libri che aveva ricominciato a leggere.
"Sarai felice di sapere che sto dando un'altra possibilità a I Dolori del Giovane Werther, Anna. Poi troverò il tempo anche di leggere tutta l'altra infinita lista di libri che mi hai scritto nell'ultima lettera, non temere" le scriveva, passandosi la lingua sul labbro inferiore.
Ed era vero: seguiva pedissequamente i suoi consigli, di natura letteraria o meno.
Aprire le lettere di Anna equivaleva a fare una gita al mare, a respirare di nuovo: lei era il suo vento, la sua brezza fresca e vivifica in un deserto di corpi di pelle vuota.
Anche lui ogni tanto provava a darle consigli e idee, ma sapeva che con lei la storia era ben diversa: finiva con il fare sempre tutto di testa sua, rischiando anche spesso di finire nei guai. Era un pregio e un difetto insieme: libera come il vento, ma al contempo rapida e sfuggente.
Gilbert era convinto che lei non avrebbe avuto bisogno di niente e nessuno per farcela, tanto più dei suoi stupidi consigli: i suoi occhi brillavano d'intelligenza e spesso si sentiva come intrappolato nelle descrizioni che lei faceva di un semplice albero o di qualche oca che aveva visto gironzolare per Green Gables.
"Sapevi che è uso comune tra le lontre marine tenersi per mano mentre dormono in modo da non venire separate dalla corrente? Non lo trovi incredibilmente dolce?" gli aveva scritto una volta in una lettera di inizio dicembre. Aveva occupato quasi due pagine a parlare di quanto belle fossero le lontre e del loro amore fedele le une per le altre, prima di interrompersi e scrivere un "Credo che saresti un bell'esemplare di lontra, Gilbert", facendolo sorridere come un bambino.
Anna Shirley-Cuthbert sapeva di quella bontà verace che gli ricordava tanto suo padre e la sua infanzia.
Quando, quella fredda mattina, aveva ricevuto la sua lettera e aveva visto che lo aveva invitato a cena per Natale, la mascella gli si era automaticamente ammorbidita al tatto.
Avrebbe dovuto parlarne ai Rose, ma l'idea per ora non lo sfiorava neanche: sentiva il sangue scorrergli più veloce nel corpo e la testa finalmente liberarsi dalla forte pressione. Aveva pensato per tutto il giorno a cosa scriverle o a porsi domande stupide come "Potrei portarle dello sciroppo d'acero, le piacerebbe?" ma non aveva avuto il tempo di sedersi e scrivere davvero fino a quella sera.
Aveva risposto che ci sarebbe stato senz'altro, anche se non era davvero sicuro di voler passare la giornata più magica dell'anno proprio con lei. Sapeva che lei si sarebbe innervosita nel leggere quelle parole, ma poi avrebbe riso e gli avrebbe scritto una risposta talmente intelligente e tagliente che lui non avrebbe saputo cosa rispondere e avrebbe cambiato discorso all'ultimo, consapevole di non poter nulla contro di lei.
Terminato di rileggere e di applicare la cera e lo stampino, Gilbert diede la lettera al postino e poi si diresse all'uscita, avvolgendosi il cappotto e la sciarpa di lana addosso.
L'aria era gelida e il suo respiro creò una condensa sulle lenti degli occhiali, costringendolo a toglierli per evitare di non vedere la strada.
Camminando per Toronto, ebbe la sensazione di non toccare il terreno: era felice e leggero, come se stesse volando grazie a qualche forza fisica di cui non era a conoscenza. Riuscì a distinguere con chiarezza quasi tutti i colori delle lampadine di Natale sull'insegna di un negozio di leccornie canadesi, ma la cosa all'inizio non lo sbalordì. Aveva una gioia nelle vene che gli avvelenava il cuore e gli annebbiava le pupille, rendendolo passivo a qualsiasi sensazione.
Solo arrivato davanti alla porta di casa e fermandosi davanti alla scritta "Famiglia Rose" sulla porta, si rese conto di quello che effettivamente gli era successo.
Fu come un'epifania, una di quelle apparizioni mistiche di cui tanto Anna gli aveva parlato e che lui non era mai davvero riuscito a comprendere.
Nonostante stesse ancora pensando ad Anna e alla sua lettera, la prima cosa che fece fu quella di portarsi le mani agli occhi in un gesto calmo e lento: aveva su tutto il viso e sulla bocca lacrime disordinate, dal sapore salato.
"Papà" mormorò lui, accasciandosi sulle gradinate e iniziando a singhiozzare tanto, come non faceva da tempo. Era un pianto liberatorio, di quelli che imprigioni a forza nella gola e nel petto per mesi ma che prima o poi esplodono, lasciandoti inerme.
Riusciva a vedere i colori, proprio quelli che suo padre gli aveva sempre descritto come una delle più grandi magie che l'occhio umano fosse in grado di mostrare: non sapeva come fosse possibile, ma si sentiva completamente in pace con se stesso dopo anni di paura e inquietudine.
Il volto del padre e i suoi tratti duri iniziarono a mescolarsi a quelli più dolci e morbidi di Anna davanti ai suoi occhi, in un vortice di colori e scie luminose.
"È bellissimo" sussurrò ancora, iniziando a mescolare le lacrime a sorrisi sinceri e a sospiri, prima di venire colto di sorpresa dalla voce preoccupata di Winifred che, dietro di lui, lo obbligava a non fare lo stupido e ad entrare per non prendere freddo.
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𝓒𝓸𝓵𝓸𝓾𝓻 𝓜𝓮 𝓘𝓷 // A Shirbert Fanfiction
Fanfiction"Mi mancano i colori più strani. Sono quelli che non ho mai visto, quelli che forse non potrò mai vedere. Restano chiusi in un loro segreto alfabeto in qualche parte nascosta dei miei sogni. Per un attimo li scorgo nel sonno, poi arriva l'alba e li...