Passarono due giorni senza che le tre amiche avessero interazioni di alcun tipo: si scambiavano sguardi fugaci dopo il rientro dalle lezioni e durante i pasti, senza mai parlare davvero.
Le nottate le trascorrevano in silenzio, con il capo chino sui libri e le mani incastrate tra i capelli raccolti e gonfi. Preparare gli esami e le lezioni con il freddo e senza poter contare l'una sull'altra era uno strazio: Anna e Ruby ogni tanto si lanciavano occhiate dubbiose e subito dopo guardavano Diana, concentrata in qualche progetto di cucito o immersa in un capitolo infinito di storia canadese.
Alla fine del terzo giorno di silenzio, quando ormai il sole era calato e gli ultimi piatti di zuppa d'orzo erano terminati, Diana raggiunse le amiche in camera, con i capelli legati in una treccia morbida e gli occhi imbevuti di lacrime.
"Vi chiedo scusa" mormorò, iniziando poi a piangere e appoggiandosi agli infissi della porta per non lasciarsi cadere al suolo.
Anna e Ruby la raggiunsero di corsa, reggendola per le spalle e spostandola sul letto più vicino: lasciarono che si sfogasse per qualche minuto, ascoltando i suoi singhiozzi in religioso silenzio. Le rimasero accanto accarezzandole i capelli e tranquillizzandola, come una madre affettuosa con il proprio bambino.
Diana si strinse alle due ragazze accanto a lei, continuando a scusarsi e maledicendo la sua lingua e la sua educazione troppo rigida e severa.
"A volte parlo senza pensare: non volevo ferirvi. Sbaglio in continuazione" disse lei tutto d'un fiato, asciugandosi il naso con un fazzoletto prestatole da Ruby.
"Sono proprio gli errori che rendono un uomo amabile" disse Anna, sorridendo di cuore all'amica.
"Cosa?"
"È una frase di Goethe. Vuol dire che è proprio il commettere errori che permette a noi umani di essere amati. Oh, Diana: quante volte sono stata io a sbagliare in questi anni e tu mi hai sempre perdonata senza battere ciglio"
"E hai perdonato anche me" aggiunse Ruby, annuendo.
"Vuol dire che mi perdonate per il mio comportamento orrendo di qualche sera fa?"
"Ti avevamo già perdonata quella stessa sera" rispose Anna, stringendo poi le due amiche in un abbraccio tenero.
Diana sorrise, lasciandosi andare all'affetto più incondizionato: se solo fosse nata in una famiglia meno rigida e più dedita ai sentimenti, probabilmente non si sarebbe comportata in un modo così duro.
"Sono così felice che ci siamo riappacificate: le giornate senza poter parlare con voi sembravano un circolo senza fine fatto di libri scolastici e ricamo. Per un attimo mi sembrava di essere di nuovo a casa dei miei genitori ad Avonlea"
"Siamo contente anche noi: non hai idea di quanto Anna sia terribile a cucire e quanto io abbia provato a insegnarle il punto croce senza ottenere nulla" disse Ruby, ridendo.
"Solo con te riesco a capire qualcosa di cucito" sussurrò Anna, prendendo le mani di Diana nelle sue.
"Avremo tempo anche per il cucito. Nel frattempo, però, vorrei parlarvi di una cosa"
Anna e Ruby si fecero immediatamente serie, vedendo il sorriso di Diana scomparire dalle sue labbra per fare posto a una smorfia triste.
"C'è forse qualcosa che non va?"
"È una cosa successa un po' di tempo fa in realtà, ma non ho mai avuto il coraggio di parlarne con nessuno. Nemmeno con Minnie May o con mia zia Josephine"
"Te la senti di parlarne?" chiese Ruby, guardandola preoccupata.
"Sì, devo parlarne con qualcuno o sento che impazzirò" rispose Diana, prima di inspirare profondamente e iniziare a raccontare. "Questa estate, come sapete entrambe, io e la mia famiglia siamo rimasti ad Avonlea invece che andare a Londra, come ogni anno. Mio padre aveva del lavoro da sbrigare e ha preferito non lasciare delle pratiche in sospeso per viaggiare con noi. Così, tra un litigio e un altro, siamo rimasti tutti insieme a casa. Tra fine giugno e inizio luglio, mia madre ha preso dei ragazzi di Carmody a lavorare da noi come giardinieri: era facilmente irritabile e infuriata con mio padre e anche voi sapete bene che l'unica cosa che riesce a calmarla in questi casi è organizzare feste, eventi o rinnovare la casa. Proprio per quest'ultimo punto, ha chiamato questi ragazzi affinché dessero nuova vita al giardino e costruissero anche un gazebo in legno. I ragazzi si chiamavano Thomas, Nathan ed Henry ed erano incredibilmente gentili e disponibili: venivano tutti e tre da famiglie povere e cercavano di racimolare qualche soldo facendo lavori estivi in case aristocratiche. Una notte, credo fosse tra i primi di luglio, non riuscivo a dormire e così sono andata in giardino per respirare un po' d'aria fresca e per cercare di calmarmi: avevo i capogiri e strane allucinazioni che mi invadevano gli occhi e la testa. Proprio quella sera ho incontrato Henry: si era alzato anche lui perché non riusciva a prendere sonno e stava passeggiando tra le rose e i tulipani. Aveva la salopette sporca e abbottonata solo per metà e dei rimasugli di legno e foglie tra i capelli: subito mi ha spaventato, ma dopo averlo riconosciuto ci siamo messi a ridere e abbiamo iniziato a parlare" disse Diana, fermandosi poco dopo e buttando giù la saliva.
"Cosa è successo dopo?" chiese Anna, portandosi i capelli dietro alle orecchie.
"Siamo entrati subito in sintonia: abbiamo iniziato a vederci ogni notte e a parlare così tanto che alcune mattine mi ritrovavo addirittura senza voce. Mi parlava della sua passione per il mare e del suo sogno di diventare marinaio, per poter scappare dall'Isola del Principe Edoardo e andare a cercare fortuna altrove. Spesso mi parlava anche di piante e fiori: sapeva tutto sul mondo naturale e una volta mi ha addirittura portato una Rosa selvatica. Mi ha spiegato che era il fiore che più mi si addiceva: è stata sempre considerata da tutti magnifica per la sua bellezza e per il profumo dei boccioli, ma al contempo la pianta stessa viene ancora vista con un certo timore per via dei suoi rami pieni di spine molto appuntite e piccole. La Rosa selvatica significa bellezza e dolore, quello che secondo lui provavo io" continuò la ragazza, iniziando a singhiozzare. "Avete idea di che cosa voglia dire essere capiti da qualcuno senza nemmeno aver aperto bocca?"
"Sì"
"Penso di sì" mormorò anche Anna, sorridendo improvvisamente dal nulla.
"Ecco, io ho provato da subito questa sensazione con Henry. E lui con me: eravamo così uniti dopo neanche una settimana che mi sembrava di stare sognando e che prima o poi sarei stata svegliata dalle urla di mia madre. Circa a metà luglio, ho capito che cosa fossero quelle allucinazioni di cui vi parlavo prima: erano i colori. Non avete idea di cosa io abbia provato quando ho visto il giardino colorarsi di blu, di rosso e di giallo: in quel momento io ed Henry abbiamo capito di essere anime gemelle, perché anche lui vedeva il mondo con tante sfumature diverse e quando eravamo insieme il cielo sembrava brillare e il sole luccicare come un diamante. Ero felice come mai prima d'ora ma, ovviamente, a mia madre questa mia felicità non andava bene: diceva sempre che non capiva che cosa avessi da sorridere tutto il giorno o si chiedeva perché spesso sentiva i miei passi a notte fonda. Inizialmente ho fatto finta di nulla ma una notte le cose sono andate di male in peggio: si è messa a seguirmi e io, come una stupida, non me ne sono accorta. Ho incontrato Henry e l'ho baciato davanti lei, che poco dopo ha urlato ed è quasi svenuta per il colpo che le ho dato. Mi ha dato dell'ingrata e della svergognata solo perché mi sono innamorata di un poveraccio e non del figlio di uno dei colleghi di mio padre. Non ho fatto in tempo a darle una spiegazione che ha mandato via sia Henry che gli altri due ragazzi e mi ha promesso di farmela pagare, promettendomi in sposa a uno sconosciuto di Parigi: dunque non solo sarò sposata con una persona che non amo, ma sarò anche così lontana da qui che né Henry né voi potrete mai raggiungermi. Sono finita" concluse Diana, lasciandosi andare di nuovo a un pianto disperato.
"Oh, Diana" sospirò Ruby, muovendo la testa lentamente da una parte all'altra.
"Come può farti questo Eliza? Le hai parlato dei colori?"
"Ovviamente no: mi manderebbe via di qui ancora prima di finire il corso" rispose lei con malinconia. "Per questo motivo l'altro giorno ti ho urlato contro: vedere le lettere di Gilbert Blythe indirizzate a te, le vostre chiacchierate notturne e il vostro rapporto così intimo mi hanno ricordato Henry. Mi sono sentita invidiosa per un attimo, non lo nego, ma poi mi sono subito pentita e l'invidia si è trasformata in bisogno di proteggerti. Non voglio che tu faccia il mio stesso errore Anna: forse è meglio non provare mai una gioia così grande come l'amore, che provarla anche una sola volta per poi non poterla riavere indietro mai più. Ti prego, perdonami"
"Diana, come ti ho già detto, ti avevo perdonata non appena abbiamo smesso di discutere quella sera. Non ho parole per la tua storia: è davvero triste e non riesco nemmeno a immaginare che cosa tu possa provare in questo momento. Hai più visto Henry dopo quel giorno?"
"È venuto sotto la mia finestra qualche giorno prima che partissimo, a Settembre: mi ha letto una poesia e mi ha detto addio. Sapeva che era la cosa giusta da fare e che mia madre l'avrebbe fatta pagare sia a me che a lui e alla sua famiglia. Non ho potuto nemmeno abbracciarlo per l'ultima volta" mormorò Diana, stringendo il suo abito tra le dita.
"Hai idea di dove possa essere adesso? Se è a Carmody o da qualche altra parte?" chiese Anna, con lo sguardo improvvisamente acceso di una nuova luce.
"So che lui abita a Carmody con la sua famiglia, ma non ne sono sicura: potrebbe essere fuori città per lavoro o qualsiasi altro motivo. Perché vuoi saperlo?"
"Credo di avere un piano"
"E i piani di Anna sono sempre geniali" disse Ruby, sporgendo la testa verso le amiche.
"Allora?"
"Dunque, questo sabato devo andare a Carmody con Roy per incontrare suo padre e visitare la loro famosa banca di famiglia. Pensavo che, se tu volessi, potresti venire con me: potrei dire a Roy che anche tu sei interessata a vedere quel gioiellino della sua banca e lui, vanitoso com'è, sicuramente non ti negherà di venire. Poi, non appena finiamo di fare il giro, gli diciamo che tua zia Josephine o chiunque tu voglia abita a Carmody e che desideriamo farle una visita: lo lasciamo con suo padre e io e te andiamo alla ricerca di Henry o di qualcuno che possa conoscerlo. Non avremo molto tempo, ma confido che almeno un paio di ore ci saranno concesse" concluse Anna, facendo volteggiare le mani nel vuoto.
"Non lo so, non mi sembra un piano molto sicuro"
"Quando mai i piani di Anna hanno fallito, Diana?"
"Mai"
"Esatto, grazie Ruby" disse la ragazza, sorridendo all'amica. "Ti prego, almeno tentiamo. Non riesco a sopportare l'idea che tu e questo Henry non possiate almeno salutarvi come si deve. Inoltre, sono sicura che se tua madre non fosse così conservatrice e provasse a conoscerlo, non sarebbe contraria al vostro fidanzamento. Sembra molto dolce: non tutti leggono poesie"
"O scrivono lettere" aggiunse Diana, con uno sguardo malizioso rivolto ad Anna.
"Scrivere lettere non è dolce: è un modo molto comune di tenersi aggiornati in realtà"
"E da quando vuoi tenerti aggiornata su Gilbert Blythe?"
"Questa domanda non ha senso, Diana. È il primo ragazzo con cui riesco a parlare di qualcosa che non siano soldi o matrimonio, senza contare Cole: siamo solo amici"
"Già. Grandi amici" disse Ruby, mettendosi poi a ridere, seguita a ruota da Diana che, finalmente, fece spuntare un sorriso sincero sulle labbra.
"Lasciamo solo per un attimo Gilbert da parte e torniamo a noi: ti prego, Diana, datti questa possibilità. La cosa peggiore che può succedere è che ci scoprano e che non ti facciano più rivedere Henry, ma tanto siete già destinati a separarvi a causa di tua madre. Non vuoi avere almeno un'altra chance?"
Diana annuì, sorridendo con sicurezza.
"D'accordo Anna, tentiamo".
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𝓒𝓸𝓵𝓸𝓾𝓻 𝓜𝓮 𝓘𝓷 // A Shirbert Fanfiction
Fanfiction"Mi mancano i colori più strani. Sono quelli che non ho mai visto, quelli che forse non potrò mai vedere. Restano chiusi in un loro segreto alfabeto in qualche parte nascosta dei miei sogni. Per un attimo li scorgo nel sonno, poi arriva l'alba e li...