Sedici

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16.

Quella mattina mi ero preparata in fretta e furia, e tutta questa strana impazienza di tornare a scuola era impossibile da non connettere con la mia voglia di rivedere Justin.
Sorrisi quando indossai il suo giubbino di pelle nera, annusandolo per riempire i miei polmoni del suo profumo. Scesi le scale canticchiando, trovando mio fratello sdraiato sul divano intento a seguire un qualche programma demenziale, che però sembrava prenderlo particolarmente.

-Io vado- lo salutai con un sorriso quando si girò verso di me.
Fece una strana smorfia quando mi vide, così lo guardai confusa.

-Cosa ho che non va?- domandai inarcando un sopracciglio.

Insomma, ero sicura di aver indossato i pantaloni, i calzini dello stesso colore e di avere i capelli in ordine

Si alzò venendomi incontro, prima di girarmi intorno come se fossi una preda da attaccare.

-Questa giacca dove l'hai presa?- chiese fermandosi davanti a me inchiodandomi con lo sguardo.
Sbiancai immediatamente -l'ho comprata qualche giorno fa in un negozio al centro- mentii sorridendo nervosamente a Dan che aggrottò la fronte
-E perché c'è una "J" sulla tasca?- ribadì indicando la lettera dorata che spiccava sul tessuto di pelle nera
-E' la marca- dissi spostando il peso da una gamba all'altra

Mi sembrava di essere sotto un controllo della polizia, con l'unica differenza che mio fratello mi avrebbe ucciso se avesse saputo di chi era quella giacca.
Annuì poco convinto, continuando a fissarla con una strana espressione

-Si può sapere che ti prende?- sbottai infastidita facendolo tornare alla realtà
-Niente, mi sembrava...- iniziò prima di fermarsi, chiudere gli occhi e sospirare.
-No, niente. Vai pure- continuò riaprendoli.
Mi morsi il labbro prima di camminare verso la porta di casa ed uscire, respirando l'aria fresca che mi era mancata in quella casa che tutto ad un tratto era diventata claustrofobica.

Erano ormai vari giorni che i miei genitori erano partiti e non si erano mai fatti sentire. Nessuna chiamata, nessun messaggio, ma da una parte non mi faceva nè caldo e né freddo. Dopo tutto sapevo benissimo che la conversazione si sarebbe limitata alle loro domande alle quali io avrei risposto con si o no, senza aggiungere altro.

Quando vidi Fleur poggiata al cancello della scuola intenta ad aspettarmi feci una smorfia. Mi ricordai immediatamente degli eventi di quella sera, in cui mi aveva minacciato puntandomi una pistola contro. Avevo una strana voglia di prenderla a pugni.

Mi sforzai per rivolgerle un sorriso falsamente gentile, che lei ricambiò venendomi incontro.

Camminammo in silenzio lungo i corridoi della scuola, ognuna immersa nei propri pensieri.
-come stai?- domandò poi così, all'improvviso.
La guardai perplessa -Bene. Come dovrei stare?- risposi.
Fece spallucce -non lo so- lasciò cadere il discorso mordendosi un labbro.

Sapevo che c'era qualcosa che sentiva il bisogno di dirmi, così sospirai senza perdere altro tempo - dimmi quello che hai da dire senza giri di parole, Fleur- incalzai poggiandomi al mio armadietto per guardarla.
Sostenne il mio sguardo - Non lo vedrai più vero?- chiese speranzosa
Sbuffai infastidita -Ancora con questo discorso? Pensavo di essere stata chiara ieri- ribattei con un tono di voce visibilmente irritato.
-Si, lo sei stata.. solo che ho paura che tu possa commettere qualche cazzata- disse quasi per giustificarsi.
La guardai scettica -non mi serve un grillo parlante, grazie tante- risposi tagliente dirigendomi verso l'aula di fisica, senza darle tempo di spiegarsi.

Ero stanca di essere trattata come una bambina da lei, sapevo cavarmela benissimo da sola.
Justin non era quello che lei credeva, e sapevo che non mi avrebbe capita neanche se avessi sprecato un'intera giornata per farle vedere quanto realmente fosse premuroso, gentile e dolce.

Justin Bieber is FrostDove le storie prendono vita. Scoprilo ora