12-Dove vuoi, non dove sai

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“E portami al sicuro ma senza parlare, e lascia che lo faccia il tuo modo di fare. Portami di corsa in un ponte lì in alto, che unisce il tuo dolore al tuo solito incanto”

Era già arrivata l'alba, Niccolò era rimasto tutta la notte insieme a Vanessa, ubriaca com'era non poteva lasciarla da sola. Non aveva fatto altro che lamentarsi tutta la notte, piangere, ridere fino alle lacrime per poi continuare con i suoi soliti complessi.

Niccolò la trovava divertente tutta quella situazione, ma doveva trovare un modo per farla riprendere. Era quasi mattina, dovevano andare via, e lei non aveva ancora riposato per far passare la sbornia.

«Nic, dov'è il mio letto?» Iniziò a urlare. La stanchezza si faceva sentire, aveva bisogno di riposare. Sembrava che tutto il mondo intorno a sé stesse girando. Non aveva fatto altro che bere tutto il giorno, e quasi si stava maledicendo per questo.

La presenza di Niccolò la metteva a disagio, e questo le aveva causato un gran problema. Così, aveva pensato che forse un po' d'alcool l'avrebbe aiutata a dimenticarsi di tutto quell'imbarazzo, e ad avere quella spinta di coraggio giusta. Ma non era così, perché tutto questo non aveva fatto altro che averli avvicinati per tutta la notte.

La sua testa non ragionava più, iniziava a parlare di una cosa e cambiava totalmente argomento di punto in bianco. Non sapeva neanche lei di cosa stesse parlando, sapevo solo che lui era lì a guardarla, a fissare ogni suo gesto, ogni suo movimento. La stava studiando con gli occhi.

Ma cosa più importante, Niccolò quella sera la stava ascoltando. Nonostante non riuscisse a dire neanche una frase giusta, lui riusciva a capirla, perché leggeva sopra le righe, perché sapeva che quella ragazza aveva tanto da raccontare.

«Vanessa è già l'alba. Fra poche ore dobbiamo andare via, e tu non hai neanche chiuso occhio.» Rimproverò quasi, lui. «E no, non c'è un letto qui. C'è la tenda.» Poi iniziò a ridere. Era così ubriaca che non sapeva neanche più dove si trovava. Aveva perso la cognizione del tempo. Lui stava ridendo, ma sapeva che doveva mantenere quel pizzico di serietà per prendersi cura di lei. Anche perché aveva paura che da un momento all'altro si sarebbe potuta sentire male.

«Ma io voglio dormire sulle tue gambe.» Disse lei, simulando una voce dolce. Era strano il modo in cui quella sera, grazie all'alcool, si stava aprendo così tanto. Cosa che non avrebbe mai fatto da sobria, neanche lontanamente le sarebbe passato nella testa un pensiero del genere. Perché per lei domandargli anche soltanto di appoggiare la testa sulle sue gambe, era qualcosa di troppo intimo e non lo avrebbe mai potuto fare.

«Allora vieni qua.» Non perse occasione per attirarla a sé. Non desiderava chance migliore. Era poco, ma quel poco bastava. Fece sdraiare la ragazza lentamente sulle sue gambe, e poi con una mano le sfiorò i capelli. Era strano, ma in quel momento sembrava che appartenesse soltanto a lui. «Così va meglio?» Chiese a pochi centimetri dal suo volto. Rimase per qualche secondo a fissare i suoi occhi, ma aveva paura di soffocare dentro quelle iridi castane, così balzò improvvisamente all'indietro, quasi per paura di non riuscire a trattenersi quella sera.

«Vieni più vicino. Perché ti allontani? Che fai, ti imbarazzo?» Domandò lei,  provocandolo. Non era da lei, non era proprio l'atteggiamento di Vanessa. E Niccolò non sapeva cosa fare. Se approfittarsi della situazione perché aveva davanti a sé tutto ciò che desiderava, o se ignorare anche se con frustrazione qualsiasi sua richiesta, perché semplicemente non era in sé quella sera.

E si dannava, si sentiva turbato perché avrebbe tanto voluto prendere il suo viso e baciarla, e fare tutto ciò che non gli era ancora concesso. Ma non era come tutti gli altri, e avrebbe aspettato sempre e solo il suo consenso, fino ad allora non l'avrebbe sfiorata neanche con un dito.

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