Vi racconto una Storia

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Oggi, vi, racconto una storia. È la storia di una ragazza, è abbastanza bella, non particolarmente alta. Ha una passione per la ginnastica ritmica e, da poco più di un mese, la fissa per la pallavolo. È figlia unica, ha sempre vissuto bene, ha sempre avuto degli amici fidati. A volte queste amicizie sono finite, ma non importa, l'importante è che le persone ci siano state per lei. È sempre stata una persona molto attaccata al passato, tanto da farsi distruggere dai suoi stessi ricordi. Ha sempre considerato il passato come qualcosa di vicinissimo. Se lei stessa scrivendo queste parole probabilmente considererebbe l'inizio del testo come passato, e per questo non lo, andrebbe mai a rileggere. È una ragazza filosofica, anche se spesso fa la menefreghista e l'indifferente lo fa solo perché odia mostrarsi debole. Una cosa che non riesce a togliersi dalla mente e che la perseguita da quando è piccola è il dolore.
Alle elementari provava a temperarsi le dita, senza uno scopo, giusto per provare. Lo ha fatto per tre anni ma le sue dita sono sempre state troppo grandi. In, prima media ha rotto con la sua migliore amica, hanno smesso di scriversi, e poi si sono accusate a vicenda di cose false. Non si sono più riappacificate, ma ora vanno abbastanza d'accordo quando escono insieme. A lei non è mai passata, la sua amica sembra che se lo sia dimenticato. Da quel momento è nata la vera ossessione per il dolore, ma ancora inconsapevole. Spesso tirava pugni a cose e persone, pur di sfogarsi, pur di stare un po' meglio. Sinceramente, non credo l'abbia mai aiutata.
La svolta è avvenuta in 2 media, una sua compagna di classe si è aperta un sacco con lei, e lei, come sempre, l'ha ascoltata. È la cosa che sa fare meglio. Ascoltare. Ascolta e immagazzina tutte le emozioni dell'altro. Ascolta le sgridate di sua madre, quasi con indifferenza, e assorbe la sua rabbia, ascolta la sua compagna di classe e raccoglie tutto il suo dolore, poi ascolta la sua migliore amica e cattura, quasi con brama, tutta la sua positività che, come una droga, la illude che tutto il dolore, la rabbia e il disgusto siano svaniti. La cosa più dolorosa infatti era stare anche solo il weekend senza vederla, senza vedere la sua droga. È come chiedere a un drogato di non farsi per un mese. Una follia. Però lei stava bene anche in questa follia, anzi, era la sua parte preferita, e forse lo è ancora. Sentire quella voglia di nascondere le emozioni provate, sentire quella voglia incontrollabile di buttare fuori tutto, era ed è la cosa che lei preferisce, anche se credo che ora le cose stiano cambiando. La voglia di buttare fuori tutto però aumentava sempre di più e con lei aumentavano i sensi di colpa verso una potenziale ascoltatrice, che avrebbe dovuto subire tutto il dolore che lei stessa aveva subito. Per questo non parlava mai con le persone dei suoi dolori, non voleva che gli altri soffrissero per lei. E allora aveva trovato nella scrittura la sua valvola di sfogo, ma dopo un po' non bastava neanche quella, e allora ha deciso di prendere ispirazione dal dolore che aveva assorbito, per eliminarlo. Ha iniziato a tagliarsi, piccoli tagli che nessuno avrebbe mai notato. Smorfie di dolore quando le toccavano il braccio a cui nessuno, avrebbe mai fatto caso. Neanche io ci ho fatto caso e per questo mi sentirò in colpa per sempre.
Ha smesso, ha fatto soffrire la sua migliore amica, glielo ha detto e l'ha fatta soffrire talmente tanto che non le ha parlato più nello stesso modo per molto tempo. Ha smesso per lei, per non farla più soffrire, ma è ancora ossessionata dal dolore. Dice che la fa stare bene. Ha smesso di mangiare pur di provare mal di stomaco e stare meglio, certe volte. Ha provato ad usare i morsi al posto dei tagli, e ha provato molta soddisfazione. Poi ha smesso. Non so perché. Ha un brosellino dove tiene la sua lama di temperino e il suo cacciavite. Quando sta male lo tira fuori. Si è tagliata altre volte ma poco e poco spesso. Si è sempre sentita molto in colpa. Sa che è una cosa sbagliata, io le dico sempre di smettere, ma non mi ascolta. Io le dico che starà solo peggio così, che non migliorerà la situazione, che sarebbe meglio parlarne... Ma non mi, ascolta. Lei ha bisogno del dolore in una qualsiasi forma. Fisico, mentale o chissà cos'altro a lei va bene. Basta che sia dolore. Le va bene fare 300 squat di fila, le va bene tapparsi il naso fino allo stremo delle forze, le va bene far arrabbiare sua madre per essere sgridata e soffrire, basta che sia dolore a lei va bene. Non è problematica, ha solo un bisogno diverso da quello delle altre persone. Lei si ciba di dolore. Anzi, noi ci cibiamo di dolore.
Piacere, sono la sua coscienza.

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