Ciao Nonni

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Ciao nonna, ciao nonno, sono qui da voi sapete? Poche svolte e arrivo davanti al parcheggio. Poi mio padre parcheggia la macchina, scendiamo, e ci avviamo verso il cancello. Superiamo la catena che vieta l'entrata alle macchine e arriviamo proprio davanti proprio davanti a quel grosso cancello nero-verdino. Lo superiamo e ci guardiamo intorno un po'. È tutto come sempre, o quasi. La fontana non è più a sinistra ma a destra e c'è una specie di attaccapanni per gli innaffiatoi, non so come si chiama, magari dopo te lo chiedo. Mentre passo noto che hanno cambiato di nuovo l'ordine della zona vicina alla vostra. Mi avvicino ancora e noto che con voi c'è qualcun altro. Poi mi ricordo. La zia Eufemia. Non la conosco bene, non mi ricordo nulla di lei, l'ho vista davvero poche volte. È vicino a suo marito, lei è piccolina rispetto a lui e anche rispetto a voi. Eccomi arrivata. Fa caldo, molto caldo, ma non lo sento chissà quanto in realtà. Vi guardo. Siete bellissimi come al solito. Nonna, tu sorridi, la solita pianta dietro alla schiena; nonno, anche tu sei sorridente ma tu sorridi più con gli occhi che con la bocca, i tuoi occhi brillano. Non riesco a parlarvi come faccio di solito, non so perché. Mio padre mi chiede se mi ricordo della zia Eufemia. Dico di no. Neanche se guardi la foto? Mi chiede ancora. Dico di no, e poi mi accorgo di essere dispiaciuta per questo, vorrei ricordarmi di lei, che fosse una persona buona o che mi terrorizzasse. Vorrei sapere cosa dirle, e invece zero, vuoto totale. Io non so chi lei sia.
Decido di concentrarmi su voi due più che su di lei. "Ciao" vi dico finalmente. Voi mi salutate con la mano e mi sorridete. Non dico nient'altro. Memorizzo quelle due date che mi mostrate. Spesso non parlate, trovate altri modi per comunicarmi ciò che volete. "l'anno prossimo saranno passati 10 anni". Queste parole mi rimbombano nel cervello per almeno venti secondi prima di riuscire a capirle. Nonna. Sono passati quasi 9 anni. 9 lunghissimi anni. I miei occhi ora sono pieni di tristezza. Avevo 5 anni. Perché mi hai fatto questo? Che ti ho fatto? Perché? Nonno. 8 anni fa. Anche tu. Perché? Che vi ho fatto per meritarmi questo?
Scusate, lo so che non è colpa vostra, solo che tutte le volte ci sto male.
Riguardo questo posto. È così triste. È intriso di tristezza e rabbia. Si, ora che guaddo bene è proprio rabbia. Perché tutte le persone che sono qui hanno fatto come voi? Perché? Che vi hanno fatto vostra figlia, vostro figlio, i vostri nipoti, tutte le persone a cui tenevate e che tenevano a voi? Perché siete qui invece che con loro a fare shopping, a festeggiare un compleanno, a litigare? Perché siete venuti tutti qui? Cosa c'è qui di così bello?
Forse neanche voi avreste voluto venire qui, forse vi ci hanno portato. Lo so che per la maggior parte di voi è stato così. Guardo la mia zia, è venuta qui che aveva pochi mesi. Mamma non parla mai di lei. Deve essere stata malissimo quando lei si è trasferita qui. D'altronde anche mamma era piccola, avrà avuto 5 o 6 anni anche lei. Come me quando vi siete trasferiti voi, nonni.
Ora mia mamma si allontana dal cancelletto di metallo che c'è a circa un metro da me. Sono entrata solo una volta o due in quel cancello, non ne ho la forza.
Lei si allontana e guarda tutti. Non una parola, nulla. Sembra impassibile ma io lo so che lei soffre più di me. Qui ci sono tutti i suoi parenti. La sua nonna, i suoi genitori, sua sorella, i suoi zii e suo nonno. So che sta peggio di me. Ho gli occhi pieni di lacrime ma non le faccio cadere, nessuno le vede, ho gli occhiali da sole.
"Nonno, nonna, vi prego tornate" vi imploro. Ma voi mi sorridete ancora e mi sussurrate che io so benissimo che non potete farlo, poi pian piano sparite. Mia mamma fa il segno della croce e si gira iniziando a tornare indietro, seguita dopo pochi secondi da mio padre. Io aspetto, guardo le vostre foto ancora per un'ultima volta, le date, me le ripeto in testa, non voglio scordarmele. Faccio il segno della croce, questo è l'unico posto in cui lo faccio ancora. Non credo in dio ormai da un anno circa, ma in quel segno ritrovo la me del passato che lo utilizzava come unico modo per connettersi a voi, nonni, per questo lo faccio. Mi avvio, per raggiungere i miei genitori e uscire da questo posto. Saliamo in macchina. Per pochi secondi si respira ancora quell'aria ma poi torna tutto come prima. Come se non fosse successo niente. Questo è il momento che odio di più. È sempre così. Ma so che non potrebbe essere in altro modo. Voi ora non ci siete. Non siete qui. Mi dispiace dirlo ma è così. Noi dobbiamo andare avanti senza di voi, sapendo quanto ci avete voluto bene e illudendoci che voi ci siate ancora, da qualche parte, pur sapendo che non è così e che anche se fosse non c'è modo per rivederci.
Il momento in cui torna tutto normale è distruggente, perché mi sembra di dimenticarvi di nuovo. Come ho fatto dopo che siete partiti. Per sei anni vi ho dimenticati. Non sono venuta a trovarvi e voi mi avete lasciato fare. Mi avrete vista si e no tre volte in sei anni. Non mi piaceva andare in quel posto così triste a guardare quattro muri e sei facce sorridenti stampate sulla carta. Proprio non mi piaceva. E mi capisco. Ma ora ho capito, o forse ho imparato a illudermi, che voi siete ancora lì a supportarmi.
D'altronde alla fine il cimitero serve a quello no? Il cimitero non serve ai morti. Il cimitero serve ai vivi per trovare un punto di forza e riuscire ad elaborare il lutto. Io non ci sono ancora riuscita. Io certe volte penso di voler venire a casa vostra, a trovarvi, e invece non posso. Perché voi non siete qui, ve ne siete andati, e io me ne sono accorta sei anni troppo tardi.

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