Capitolo 34

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"Tutti ci portiamo dietro un bagaglio:fa parte della vita.
Ma se qualcuno ti dà una mano,diventa più facile da portare."
(How I Met Your Mother)

James
Tengo la sua mano ben salda nella mia, mentre la porto via da questo schifo di posto, spintonando per la fretta alcuni membri del personale e molti clienti, per cercare di andarcene il prima possibile da qui, dove sembra che l'aria continui a diminuire.
Per arrivare all'uscita, molti sguardi erano puntati su noi due. Sguardi di gente che avrà inevitabilmente sentito le urla riecheggiare, e che durante il nostro passaggio mormoravano  tra loro, e per non farci mancare nulla, l'occhiata che Alex mi ha lanciato, una di quelle che lasciano ben poco all'immaginazione, non mi è dicerto sfuggita, ma questa volta non ha propro capito un cazzo.
Non è come alle feste dove mi andavo a imboscare con qualche ragazza appena conosciuta per allontanarmi dalla realtà e perché no, godere anche.
L'ho portata via da lì perché quella donna che si reputa sua madre, non sa un cazzo di lei, di ciò che la fa star male e di quanto le parole che le ha detto l'abbiano ferita nonostante non lo dia a vedere.

Ah bhe, tu invece lo sai? No perché se lo avessi dimenticato, dopo che l'hai letteralmente trattata di merda non ti sei fatto vivo, avrebbe 400 mila ragioni per lasciarti qui adesso.

Non ti do torto, ma non la lascerei mai sola nemmeno se me lo chiedesse pregandomi in ginocchio.

Con i richiami di quella arpia alle spalle e le sue minacce, ci chiudiamo la porta dietro e un sospiro mi scappa dopo non so quanto tempo in apnea, come se mi fossi liberato di un peso sul petto. Finalmente l'aria fresca mi invade le narici, facendomi calmare, mentre lei sembra solo ora accorgersi di quello che è appena accaduto dato che stacca con un movimento brusco la sua piccola mano dalla mia rivolgendomi un occhiata piena di rabbia e nervosismo. Uno sguardo così cupo che non paragoneresti mai ai suoi occhi furbi, così azzurri e vispi ora simili alle fiamme dell'inferno. Quasi quasi mi fa paura.
"Perché cazzo lo hai fatto?! Avrei voluto insultare ancora un po' quella stronza " dice furiosa, voltandosi pronta a tornare dentro e scatenare un putiferio, ma appena si avvicina al portone di vetro l'afferro con entrambe le braccia la vita e la faccio tornare con lo sguardo rivolta a me.
"Perché 'la stronza' non si merita nemmeno un'altra tua sillaba" le rispondo in tono duro, ma sorprendentemente calmo per come sono fatto io, così tanto da riuscire a ottenere la reazione che più avrei voluto evitare.
Con un movimento brusco si libera della mie presa e con ancora più rabbia di prima mi urla puntandomi un dito contro.
"E tu, poi con quale coraggio vieni qui da me dopo che sei stato il primo ad urlarmi le stesse identiche parole"
"Lo sai che era la rabbia a parlare"
"E questa ti sembra una scusante che giustifichi il modo di merda con la quale mi hai trattato per poi ignorarmi per giorni?!" mi urla addosso spintonandomi, non riuscendomi però a spostare per la notevole differenza di statura.
Approfittando della vicinanza del suo corpo al mio, le afferro i polsi, posati sul mio petto, tenendola ferma.
"Lo so che non ho giustificazioni per come ti ho trattata, come so di non saper dare una spiegazione dalla mia reazione di poco fa nemmeno a me stesso, quindi per favore non chiedermi cose alla quale nemmeno io so dare risposta" dico senza distogliere per un solo secondo il mio sguardo dal suo.
Megan mi guarda per un secondo in modo impenetrabile, esaminando ogni minimo dettaglio del mio volto per poi sospirare guardando un ultima volta il portone del locale, sedendosi sul bordo del marciapiede fissando in modo perso le luci che illuminavano la via.
I questo momento, della ragazza che conobbi al parcheggio di uno squallidissimo bar, sempre tanto forte e indistruttibile agli occhi dell'altri, non ne rimaneva nulla.
Non combatteva per sembrare indifferente a ciò che la circondava, nascondendo i propri pensieri e le proprie malinconie dentro, per non farle notare a nessuno. Ora ai miei occhi, non ci stava Megan Devis la ragazza senza sentimenti, c'era solo Megan, quella che più soffriva e tentava di nasconderlo.
Mi sedetti al suo fianco, fermandomi a guardarla mentre tutte le cose che teneva dentro da non so quanto, uscivano. Non a parole ne tantomeno con lacrime e lamenti, semplicemente dai suoi occhi tristi e stanchi.
Per la via, piena di passanti fermi a osservare le vetrine addobbate a festa, un continuo entrare e uscire si alternava nei negozi, e da lì uscivano coppie, genitori con i figli o anche persone con sorrisi luminosi da sole con sacchi pieni di pacchi.
Involontariamente strinsi le mani a pugno e mi irrigidì per colpa del effetto di quello che mi circondava, quando probabilmente Megan accorgendosi del mio cambiamento repentino puntò i suoi occhi su di me.
"Non ti piace molto il Natale vero?" chiese dopo attimi di silenzio.
Alzai lo sguardo da terra, e mi irrigidì ancora di più.
"Vero."dissi duro e serio.
Lei rivolse nuovamente il capo verso la strada e si mise ad osservare ogni passeggiatore che caminasse sulla via.
"Invece io contavo i giorni che mancavano. Ogni volta che arrivava Dicembre era come se tutto ai miei occhi cambiasse in meglio. Amavo l'atmosfera che portava le feste, con le strade tutte illuminate, i negozi sempre pieni e l'odore del ciambellone che mi preparava sempre nonna, che infestava la casa per giorni interi. Adoravo quei momenti, li adoravo da morire...poi però quando i giorni mancanti alla vera festa diminuivano, tutta la magia scompariva." si fermo di botto come se non riuscisse a continuare, ma dopo aver preso un profondo respiro continuó a parlare mentre io l'ascoltavo senza dire nemmeno una sillaba.
"Mi rendevo conto della dura realtà solo quando durante il cenone mi trovavo sola a tavola con Heric che era ancora piccolissimo, mentre mia madre era all'annuale cena organizzata dalla sua società e papà al telefono per il lavoro...e sai, ad oggi non riesco a non ridere della ingenua bambina che ogni anno a Babbo Natale chiedeva solo di stare tutti insieme come una vera famiglia, e alla fine classicamente pensava che quell'anno Babbo Natale aveva avuto troppo da fare e che il mio desiderio si sarebbe avverato al prossimo Natale. Ma poi ogni volta era sempre la stessa delusione"
Disse con la voce di chi soffre a parlarne, ma nonostante tutto me l'aveva detto superando il dolore che le procurava parlarne.
"Scusami per come mi sono comportato ultimamente, non ti meriti che ti faccia altro male".
Lei mi sorrise, e io mi persi per un secondo a guardare la ragazza al mio fianco.
"Non mi va di litigare anche con te, voglio solo andare a bere" dice mentre si alza porgendomi una mano facendomi alzare per poi avvicinarsi alla sua moto.
"Festa di Kev?"
"Si una cosa del genere non mi ricordo il nome, devo solo andare a cambiarmi" dice facendo un gesto che indica il suo corpo ricoperto da jeans stretti neri e un maglione beige, per me potrebbe anche non cambiarsi.
"Ok, anche io devo andare lì, vado a prendere la moto e andiamo a casa tua, non ti lascio sola, non provare nemmeno a chiederlo e non fare domande" dico con aria finta minacciosa che la fa ridere.
"Sali su, ti do uno strappo io" dice e questo mi fa iniziare a ridere di gusto
"Hai idea che non mi fido per nulla della tua guida vero?"
"Cos'hai da perdere?" mi chiede, e ha ragione, io non ho nulla da perdere.
"Nulla" dico mentre salgo nella moto dietro di lei, e questa situazione è davvero imbarazzante, soprattutto per il mio cazzo spiaccicato contro il suo culo. Non ho intenzione di abbracciarla, tanto non guiderà più veloce dei 70.

BINARY STARDove le storie prendono vita. Scoprilo ora