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Zulema fremeva dalla voglia di sgommare via, ma la Rubia ci stava mettendo più tempo del previsto. Il rumore delle sirene in lontananza aumentarono ancora di più la sua preoccupazione, le avrebbe concesso ancora qualche secondo poi l'avrebbe dovuta lasciata lì, non potevano farsi prendere tutte e due così.

"Porca troia!" Imprecò, stringendo ancora di più le mani sullo sterzo, e si promise che la prossima volta, se mai ce ne sarebbe stata una, sarebbe andata lei dentro e questi casini non sarebbero successi: la prima regola era non fare durare una rapina più di dodici minuti, era la fottutissima prima regola, e Macarena l'aveva infranta ancora una volta rischiando di mandare tutto a puttane.

Zulema si voltò ancora una volta verso l'ingresso dell'enoteca che stavano rapinando, giurandosi che quella sarebbe stata l'ultima volta. Finalmente la vide uscire di corsa con la refurtiva in una mano, e una bottiglia di un pregiatissimo vino nell'altra. Un sorriso involontario le comparse sul volto.

Maca saltò sulla mono nel giro di pochi secondi intimandole a gran voce di partire. Zulema non se lo fece ripetere due volte; dagli specchietti retrovisori già si intravedevano le due volanti che si precipitavano a sirene spiegate verso di loro.

Quando la moto partì, Maca si strinse immediatamente alla sua socia per evitare di essere scaraventata all'indietro. I corpi delle due donne aderirono l'uno all'altro come se fossero una cosa sola. Un brivido si fece strada sulla schiena dell'araba, "adrenalina" pensò.

La polizia continuava a inseguirle, Zulema riusciva quasi a sentire le imprecazione di qualche inutile poliziotto che aveva sperato per qualche secondo di fotterle.
Sorrise soddisfatta, consapevole che ormai nessuno le avrebbe raggiunte. Continuava a sfrecciare tra le macchine accodate di un normale venerdì pomeriggio di fine novembre, aveva le volanti alle calcagne, ma mai si era sentita libera come in quel momento.

E mentre bucava l'ennesimo semaforo rosso, incurante del pericolo, rideva di gusto, rideva e la sua risata superava anche il rombo del motore, fino a raggiungere il cuore della donna seduta dietro di lei che finalmente riuscí a tirare un sospiro di sollievo. Ancora una volta avevano vinto loro.

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La puzza di motore bruciato stava lì, sospesa nell'aria come le loro emozioni. Sudate e affaticate, col casco ancora in testa, cercavano di regolarizzare il respiro. Maca era piegata sulle ginocchia e con le dita giocava con dei sassolini persa in chissà quali pensieri, quando sollevò il volto vide Zulema fissarla con uno sguardo indecifrabile. Avrebbe dato tutto per sapere quali pensieri passassero in quella testa contorta, probabilmente già stava pianificando il prossimo colpo.
Rimasero lì, ferme a guardarsi senza proferire parola.

Avevano provato a condurre una vita normale, avevano tentato di alzarsi ogni mattina, andare a lavoro per poi tornare in quel buco di appartamento che si é soliti chiamare casa, ma non faceva per loro, non erano loro.

Dopo tanti anni in carcere, dopo tanti anni a lottare per riuscire a sopravvivere nessuna delle due si sarebbe accontentata di quella vita monotona e triste che le avevano costrette ad accettare.
Loro amavano il rischio, l'adrenalina che gli riempiva ogni particella del corpo, le folli corse in moto, le sparatorie e la libertà. Amavano le sfide ed essere sempre un passo avanti a tutti.

Si guardavano ma non dicevano niente, era sempre così alla fine di ogni rapina: si toglievano le parucche, cambiavano la targa alla moto e poi si prendevano del tempo per assaporare quelle sensazioni che avrebbero voluto non finissero mai.

Si osservavano alla ricerca l'una dello sguardo dell'altra come a dirsi che solo loro avrebbero potuto farcela contro tutti, solo loro si sarebbero riuscite a comprendere, a completarsi, solo loro insieme.

Anche se nessuna delle due era ancora pronta ad ammetterlo.

Zulema e Macarena SRLDove le storie prendono vita. Scoprilo ora