u n o

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Tic tac. Tic tac tic tac.

Minho alzò lo sguardo verso il cielo, coperto di nuvole, quando iniziò a sentire il suono delle gocce tutto intorno a sé e a percepire il bagnato sulla sua pelle e i suoi capelli.

Mi stai prendendo in giro?

Riabbassò la testa e sbuffò, continuando a camminare senza che gli importasse più di tanto. Ma mano a mano che i passi avanzavano, la pioggia si infittiva. Altro che pioggerella primaverile, stava diventando un acquazzone. Iniziò a correre, tentando di proteggersi il più possibile con le tettoie sporgenti di alcuni edifici, mentre allo stesso tempo si avvicinava sempre più a casa sua. Quando finalmente vi giunse, era fradicio dalla testa ai piedi.

Entrò, e prima di salire le scale e farsi una doccia per togliersi di dosso tutto quello schifo della pioggia di Seoul mista a sudore, si affacciò ad alcune stanze, cercando i suoi gatti.

-Soonie! Doongie! Dori! Dove siete?

I gatti, una volta sentita la voce del padrone, si mossero tutti veloci, iniziando a miagolare.

-Oh, eccovi qui!- disse, accovacciandosi e accarezzando le tre creature. -Avete fame?

Il ragazzo diede da mangiare ai gatti e poi continuò con le sue faccende.


Ormai era arrivato all'ultimo anno di liceo. Non era stato davvero così terribile come aveva detto chi ci era già passato, forse perché a lui non interessavano davvero così tanto i voti, o forse perché l'ultimo anno era solo appena cominciato. Sarebbe stato un inferno? Sperava di no. Avrebbe studiato come un pazzo e dormito solo 4 ore a notte solo per entrare nelle università più celebri e famose? No, neanche per sogno. Minho non sapeva ancora cosa voleva fare. Si sentiva così perso, in un momento della sua vita in cui sapeva che presto avrebbe dovuto decidere tutto, avrebbe dovuto prendere la sua strada e badare completamente da solo a se stesso. Ma come poteva farlo così da un momento all'altro?

La sua vita era okay, aveva degli amici, una famiglia che gli voleva bene, dei gattini adorabili e dei voti decenti a scuola che in ogni modo gli avrebbero permesso di entrare in un'università allo stesso modo decente la quale a sua volta gli avrebbe permesso di trovare un buon lavoro. E allora perché si sentiva così vuoto? Ancora non lo capiva.


Quella sera cenò con i suoi genitori e poi andò non troppo presto né troppo tardi a letto, addormentandosi subito nonostante i vari pensieri che giravano per la sua testa.

La mattina dopo c'era il sole. Il tempo era cambiato completamente, le nuvole erano state cacciate lasciando spazio ad un cielo azzurro, ma non troppo. Dopotutto, si trovava a Seoul. In ogni modo, era molto meglio rispetto al giorno prima. Minho camminava per la strada verso la scuola, quando qualcuno lo chiamò.

-Minho hyung!

Si girò, cercando il proprietario di quella voce. Changbin.

Changbin era un ragazzo un anno più piccolo di Minho e quindi faceva il secondo anno. L'aveva conosciuto al club di basket. Changbin era amichevole, quindi diventarono amici velocemente, anche per il fatto che entrambi decisero di abbandonare quel club.

-Come mai così presto?- gli chiese il ragazzo, affiancandosi a lui.

-Già, perché? Sarei potuto restare a casa a dormire un po' di più, invece che incontrarti e doverti sopportare per tutta la strada.

-Ci risiamo, ecco il solito tsundere. [per chi non lo sapesse: "tsundere" è un termine giapponese, sta ad indicare una persona (un personaggio) un po' scontrosa all'inizio, ma che poi si rivela essere gentile] Tanto lo so che mi vuoi bene- rispose Changbin, con una vocina con un non so che di aegyo. Minho fece una smorfia, ma in fondo davvero apprezzava molto il suo amico. Uno dei primi amici che si era fatto a scuola, dopo esserne entrato al secondo anno, quando si era trasferito a Seoul.

rain | minsungDove le storie prendono vita. Scoprilo ora