19. ɴᴏɴ ꜱᴇʀᴠᴇ ᴍᴇɴᴛɪʀᴇ

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Avevo preso il mio piatto e una tazza di metallo con un po' di acqua per la cena prima di allontanarmi dal Casolare.

A qualche metro di distanza dal grande granaio rosso trovai un tronco disteso orizzontalmente sul prato.

Mi misi a sedere cercando di non rovesciare nulla e il che risultò difficile dato che avevo entrambe le mani occupate.

La Radura era un posto pulito, si vedeva che i ragazzi si impegnavano a tenerla in ordine il più possibile, nonostante le costruzioni in decadenza.

Si davano da fare. Questo mi era chiaro dall'inizio. Era vero quello che mi aveva detto Newt riguardo al fatto che lì non c'era posto per dei fannulloni.

Sicuramente in due anni avevano avuto tempo di mettere in piedi un sistema efficiente per controllare il luogo.

Due anni.

E non erano ancora usciti.

Una persona ragionevole avrebbe dovuto capire che probabilmente sarebbe passato altrettanto tempo prima che potessero evadere, eppure io avevo la strana sensazione che non sarei rimasta in quel luogo a lungo.

Era strano, non sapevo come conciliare le due cose, se ascoltare la ragione o l'istinto.

Poi pensai alla Faccemorte, non riuscivo a concepire come un posto pieno di adolescenti potesse aver bisogno di un cimitero, un cimitero che ormai presentava troppe croci.

Nessuno mi aveva detto cosa fosse successo a quei ragazzi, fatta eccezione per il povero George -rabbrividisco ancora a pensarci- ma non mi era molto difficile immaginarlo. Avevo visto i Dolenti.

Quei ragazzi erano morti lontani dalla loro famiglia, senza sapere chi fossero davvero.

Ho una famiglia? Mi chiesi. Mi sentivo quasi in colpa per non averci pensato prima. Ero così preoccupata da tutto da non aver pensato a come dovesse sentirsi la mia famiglia in quel momento.

Perché sicuramente non mi sarei mai separata da essa di mia spontanea volontà.

Sono morti? Mi stanno cercando? Hanno perso ogni speranza di trovarmi? Dove sono?

All'improvviso qualcosa di peloso si strusció contro la mia mano sinistra, quella che teneva il piatto, facendomi sussultare e alzare lo sguardo.

Era un cane, un labrador nero per essere precisi, anche se non so perché mi potessi ricordare un dettaglio così inutile ma non il mio cognome.

I suoi grandi occhi erano fissi sulla bistecca mezza mangiata sul mio piatto. Sospirando, anche se leggermente intenerita dall'animale, gli lanciai l'osso a qualche metro di distanza, così da distrarlo dalla carne ancora sul mio piatto.

"Vedo che hai conosciuto Bau." disse una familiare voce inglese alle mie spalle. Appoggiai quello che stavo reggendo per terra.

Feci una smorfia. "Bau? Dimmi che stai scherzando."

Newt si sedette di fianco a me, un piccolo sorrisetto divertito sulle sue labbra.  "Mai stato più serio Fagio."

"E chi è il genio che quando è arrivato il cane ha detto 'Perché non lo chiamiamo Bau?'?"

"Quel cane è qui da sempre, credo che sia stato Nick a dargli quel nome. In effetti," ridacchiò "poteva trovare un nome migliore."

Rimanemmo in silenzio per un momento.

"Non ti ho vista a cena."

Alzai le spalle. "Volevo stare un po' da sola, tutto qui."

"Oh," disse Newt "scusami, me ne vado."

Fece per alzarsi, ma lo bloccai con una mano. "No. Resta."

"Per favore." aggiunsi quando vidi il suo sguardo incerto.

Si avvicinò, uno sguardo preoccupato ora sul suo volto. "Stai bene?"

Il suo tono era stranamente cauto, come se avesse avuto paura di interrompere il momento di quiete che si era formato intorno a noi.

Annuii, sicura che se avessi aperto bocca le mie parole mi avrebbero tradita.

"Non sei costretta a mentire, non con me."

Mi girai per guardarlo dritto negli occhi. Prima che potessi ribattere continuò.

"Stai piangendo."

Mi portai una mano al volto, Newt aveva ragione, senza accorgermene, avevo iniziato a piangere.

"Non so perché." sussurrai così piano che per un momento pensai che non mi avesse sentita.

Mise la sua mano calda sopra la mia, allontanandola dalle mie guance. Poi asciugò le lacrime con i suoi pollici, lasciando che le sue mani riposassero ai lati del mio volto.

"Puoi sempre dirmi tutto, Lia."

Non mi ero resa conto di quanto si fosse avvicinato in quei pochi secondi.

Interruppe il contatto visivo per fare scivolare il suo sguardo più in basso, lasciandolo ricadere sulle mie labbra e poi di nuovo sui miei occhi.

Le punta delle dita di una sua mano si spostarono verso l'alto, incastrandosi nei miei capelli, mentre l'altra rimase salda sulla mia guancia.

"Newt-" cercai di dire prima di essere interrotta dalle sue labbra sulle mie.

Inizialmente non mi mossi e il ragazzo si allontanò di qualche centimetro, le sue labbra calde su staccarono dalle mie.

Quindi mi piegai in avanti e lo baciai.

Chiuso gli occhi.

Le sue labbra screpolate dal sole erano ruvide contro le mie.

Senza accorgermene avevo portato le mani ai suoi capelli biondi, affondandole nella morbida chioma.

Mi strinse a lui, ci separammo solo quando sentimmo del movimento tra i nostri corpi.

Bau si era servito della rimanente carne sul mio piatto, la sua coda ora si agitava gioiosamente in aria.

Non abbaiò nemmeno una volta, forse il suo nome era peggiore di quanto pensassi inizialmente.

Dopo qualche istante Newt ed io tornammo a guardarci.

E scoppiammo a ridere, la mia fronte ancora premuta contro la sua.

Nevermore -NewtDove le storie prendono vita. Scoprilo ora