CAPITOLO 4

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È tornata a casa da qualche ora e dopo aver ritirato le bollette che da settimane continuavano ad arrivarle - insieme alla minaccia di uno sfratto da parte della proprietaria della casa se non si fosse sbrigata a pagarle - e dopo aver fatto le pulizie, Simona si sdraia sul piccolo divano fiorato e, con le mani in grembo, inizia a fissare il soffitto per qualche istante. Dopo qualche minuto in quella posizione le viene una curiosità e si allunga ad afferrare il telefono poggiato sul pavimento accanto al divano e lo accende. Le sfugge un sorriso quando vede la foto della schermata di blocco: sono lei e Daniele in riva al mare, le dita a tappare il naso e un sorriso luminoso rivolto alla telecamera. Hanno gli occhi luccicanti e uno sguardo divertito. Già, a quel tempo era così felice e spensierata. Si ricorda quando ogni domenica si alzava presto per andare a fare jogging per poi premiarsi con un bel cornetto al bar all'angolo della via di casa sua. Quel bar in cui aveva incontrato il suo migliore amico con il quale aveva il sogno di aprire una pasticceria proprio lì, nella sua amata Roma, la città in cui viveva da ormai diciotto anni. Se lo erano promesso che avrebbero fatto tutto insieme: scelto l'arredamento, il colore delle pareti, le ricette da fare e invece un giorno come tutti gli altri Daniele l'aveva abbandonata.
«Domani vengo a prenderti io a scuola capito? Non me fa scherzi che te nascondi dietro le altre auto e me sbuchi davanti de botto che te metto sotto col motorino!» le aveva detto il giorno prima, spingendola scherzosamente per una spalla e ricevendo indietro una linguaccia da parte di Simona. Si erano salutati normalmente, con un semplice «A domani!» senza sapere che per uno dei due quel domani sarebbe stato l'ultimo.
Simona passa il pollice sul volto di Daniele, ad accarezzarlo, trattenendo le lacrime. Nonostante fossero passati già cinque anni, ancora non riusciva a mascherare il dolore quando si parlava di lui e nemmeno riusciva a riempire quel vuoto che le aveva lasciato quando se ne era andato.
Per scacciare la tristezza decide di sbloccare il telefono ed entrare su YouTube. Ha deciso di voler ascoltare alcune canzoni di Ultimo, per curiosità - e anche perché, pur non volendolo ammettere ad'alta voce, la parte della canzone che le aveva fatto ascoltare le era piaciuta molto e l'aveva incuriosita il suo stile musicale.
Digita Ultimo nella barra di ricerca ed avvia la playlist casuale. Infila gli auricolari nelle orecchie, si sdraia sul divano, chiude gli occhi e ascolta.
Ascolta tante canzoni, tutte con una melodia diversa, canzoni nostalgiche, malinconiche, rabbiose, romantiche, ironiche, mirate. Un misto di emozioni diverse percorrono il testo di ogni canzone. Ultimo parla di tristezza, parla di sogni difficili da realizzare e che lo si può fare solo credendo nelle favole. Parla di amore, un amore a volte troppo monotono in cui il desiderio ormai è svanito; parla di rapporto, un rapporto troppo usurato e pieno di crepe per essere aggiustato. Parla di solitudine, di quando nessuno credeva in lui, di quando gli dicevano che di musica non si vive e lo ritenevano un buono a nulla. Parla di tante cose, Simona si accorge che quel ragazzo versa nei testi tutto ciò che lo rappresenta e, pur non conoscendo nulla della sua vita o della sua carriera musicale, percepisce dal tono della sua voce come tutto quello che racconti gli venga da dentro, sia frutto della sua vita e della sua esperienza, nulla è messo lì per caso o copiato stoltamente da altri.
Quando termina anche Amati Sempre si tocca una guancia e si accorge che una lacrime le è sfuggita al controllo e per questo si sbriga ad asciugarla. Lei che ha cercato di non piangere al ricordo di Daniele, ora lacrima ascoltando delle canzoni. Amati sempre. Cosa che lei non faceva da tempo. Non che non si piacesse, ma pur volendo migliorare non riusciva a farlo. All'inizio, quando si colpevolizzava per la morte di Daniele, aveva pensato che passato quel periodo si sarebbe ripresa, così le dicevano tutti. Sono passati cinque anni e lei non ha mai fatto nulla per farlo passare quel periodo. Ogni giorno si trascina per andare avanti solo perché ha qualcosa dentro che la spinge a non arrendersi. Quella debole fiammella che prima o poi si spegnerà e chissà lei dove andrà a finire.
Sorride lievemente, amareggiata mentre un'ennesima canzone le si intrufola nelle orecchie. Ne legge curiosamente il titolo: Regalami un sorriso e a giudicare dal video deve essere una canzone molto vecchia perché lo stesso Niccolò nel video sembra molto diverso. Proprio mentre la voce di Niccolò inizia a diffondersi, il telefono squilla e la canzone si interrompe. Simona sbuffa ed alza gli occhi al cielo quando legge il nome sul display. Estrae gli auricolari e si porta il telefono all'orecchio.
«Mamma cosa vuoi?» risponde acida Simona, poggiando i piedi sul pavimento. Può immaginarsi sua madre alzare gli occhi al cielo dall'altra parte.
«Amore non essere così scorbutica con tua madre,» rimbrotta e Simona alza gli occhi al cielo con una smorfia, «Piuttosto, ho saputo che sei andata a fare domanda per un nuovo lavoro» butta lì fingendo un tono curioso. Simona inarca un sopracciglio, «Scusa, ma tu come fai a-» - poi si interrompe pensando a Giovanni, l'uomo che le aveva dato una mano a trovare il lavoro e che era amico di sua madre da una vita, «Certo, Giovanni» borbotta.
«Ti hanno presa?».
«Sì mamma, mi hanno presa».
«E quanto ti pagheranno?» - ed eccola là la domanda. Simona sorride amareggiata. Sua madre l'ha chiamata solo per questo, per sapere quanto la pagassero così da scroccarle qualche soldo e smetterle di passarle i soldi per pagare l'affitto.
Quasi quasi Simona è tentata di dirle una bugia, ma conosce sua madre: verrebbe a saperlo in meno di mezza giornata, così, «Lo stipendio è di 1.500 euro a settimana» le risponde e per un attimo ogni rumore dall'altra parte della cornetta cessa, tanto che «Mamma chiudi quella bocca spalancata che entrano le mosche» la prende in giro Simona, immaginando sua madre a bocca aperta per la cifra esorbitante.
«Wow tesoro mio, sono contenta!».
«Contenta di non dovermi più pagare l'affitto, certo» ribatte Simona alzandosi in piedi.
«Tesoro ma perché dici così?».
«Perché ti sei subito interessata ai soldi senza nemmeno avermi chiesto prima di cosa si trattasse».
«Hai ragione tesoro, di che lavoro si tratta?»
Simona scuote la testa, anche se glielo dicesse sua madre se ne scorderebbe subito, così preferisce lasciare perdere.
«Lascia stare mamma. Comunque se dovessi avere bisogno di soldi posso prestarteli, ma guai a te se ci compri l'alcool per Giorgio!» esclama con tono fermo e severo. Conosce sua madre, sa che ne approfitterà e per quanto Simona la detesti, è pur sempre sua madre e non riesce ad essere davvero cattiva con lei. Dovrebbe imparare a fregarsene della vita di quella donna, ma in per qualche strana ragione la sua parte razionale cerca sempre di trovare una scusa ai comportamenti incomprensibili di sua madre e non riesce ad ignorarla, nonostante l'abbia abbandonata a se stessa molti anni fa.
Sente sbuffare dall'altro lato del telefono e «Simona smettila di chiamarlo Giorgio».
«Se preferisci lo chiamo stronzo, è anche molto più azzeccato».
«Simona è pur sempre tuo padre».
«Non lo è da quando ci ha messe in pericolo per la sua stupida dipendenza dall'alcol. Ma te lo sei scordata mamma? Perché io ho tutte le immagini stampate in mente cazzo e non riesco a farmene una ragione!» sbraita al telefono, non riuscendo a controllarsi di fronte al tono difensivo della madre. Simona ricorda perfettamente ogni attimo di quella sera, quell'incubo che lei e sua madre avevano vissuto insieme e sentire la madre difendere il padre l'aveva mandata fuori di testa. Come può essersi dimenticata tutte quelle cose? Per Simona sono eventi che le agitano tutt'ora il sonno, nonostante gli anni passati. Sua madre al contrario sempre averli accettati - quasi - ma Simona non lo farà mai.
«Abbassa la voce».
«E tu smettila di difenderlo».
«È mio marito Simona».
«Ex marito. E poi io sono tua figlia, non conto un cazzo?» sbotta, poi si passa una mano sugli occhi stanca e, senza nemmeno aspettare una riposta, «Sai cosa mamma? Non ho voglia di litigare. Ti manderò i duecento euro alla settimana e facci quello che vuoi, la vita è tua, ma lasciami in pace, va bene? Ti richiamerò io quando ne avrò voglia» - e detto questo attacca e lancia il cellulare sul divano. Sente la pressione premerle sulle spalle e la solitudine aleggiare nella stanza. Non ha amici da chiamare o con cui sfogarsi e conoscendosi non lo farebbe mai, non sa nemmeno più come si faccia ad aprirsi con qualcuno.
Decide di andare in cucina e prepararsi una tisana per calmarsi e magari liberarsi per qualche ora di quel peso sul petto.

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