3•Il profumo che sa di casa•

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Johnny's POV
«Sei sicura che dopo tutto questo tempo rientrare nella loro vita vada bene?» domando contro voglia a mia madre dopo averle aperto la portiera dall'auto. 

«Te l'ho già detto Johnny. È passato molto tempo ma restare un po' con loro non potrà farci male e tu non devi preoccuparti. Andrà bene» lasciando la bocca semi-aperta con tanto di sopracciglia alzate annuisco lentamente alle sue parole fino a quando non si mette in piedi ed io le chiudo elegantemente la portiera. 

Attraversiamo un bel giardino spoglio affrontando il vento mentre sono costretto ad accendere la torcia del cellulare per farle luce, ci fermiamo alla soglia aspettando che il suo amico si decida ad accoglierci e per tutto il tempo che ci sta impiegando quasi mi verrebbe da riportarla a casa. 

Quando però lo vedo, una sfilza di ricordi inizia ad appropriarsi di me e di tutta l'aria che mi circonda, tanto da non riuscire a vedere altro che lui con i capelli più lunghi e i jeans strappati che portava sempre.

Derek allunga una mano verso di me che stringo senza alcun problema mentre ci invita ad entrare e salire fino al suo piano dove con una mano mi dà ripetutamente delle pacche sulla nuca. 
«E allora giovane? Come sono passati tutti questi anni?» domanda con un sorriso a 32 denti 

«Veloci» rispondo per liquidarlo subito facendolo girare con un ghigno verso mia madre che scuotendo le spalle lo invita ad andare con lei lasciandomi qui, nel corridoio, davanti ad uno specchio grande quanto la parete.

Fisso il mio riflesso e in un secondo, quel profumo al gelsomino mixato alla vaniglia, al muschio e all'ambra che tanto mi piaceva, quello stesso profumo che mi dava alla testa e sapeva di casa, inizia ad inondare ogni cosa. 

Abbasso lo sguardo su una foto e basta osservare quegli occhi immensi per sentire un pugno allo stomaco. La prendo fra le mani e mi perdo in lei, nel sorriso dolce di una piccola Lexie di circa 5 anni, sulla parete c'è ne un'altra più grande, accanto alla sua figura ci sono due palloncini in oro che rappresentano il numero 18 e questo vuol dire solo una cosa: la piccola Lexie è cresciuta.

Quando riabbasso lo sguardo mi ritrovo ad accarezzare con i pollici il vetro leggero che rinchiude quella bambina irrequieta fra quattro bordi argentati. 

Andavo spesso a trovarla, ogni volta che mi trovavo nei paraggi la sua casa era una tappa fondamentale, soprattutto per la mamma, migliore amica della mia. Con la scusa del caffè, io e i miei fratelli passavamo molto tempo con Lexie, eravamo dei bambini, lei era molto carina e mi evitava in ogni modo possibile, odiavo non poter essere preso in considerazione, così mi piaceva farla innervosire. La stuzzicavo infinitamente e lei si arrabbiava, oh se si arrabbiava. I suoi occhi cambiavano intensità, mi guardava così a lungo che il terrore che potesse riuscire a leggere dentro me era tanto. Avrei fatto di tutto pur di farla imbestialire, era l'unica cosa che sapevo fare, era l'unica cosa che mi permetteva di averla vicino. 

Ogni volta finiva allo stesso modo: stringeva i pugni, arricciava il naso e scappava via. Era capace di non parlarmi per giorni pur di ignorarmi, mi girava attorno trecento volte al minuto, ma non parlava. 

Quando sentivo il bisogno di farla arrabbiare di nuovo, le portavo un fiore, quel piccolo ed esule fiore riusciva a ridarle il sorriso e non importava quante volte decidessi di farla arrabbiare, le bastava quella margherita. Noi eravamo così, facevamo la pace solo per poter litigare di nuovo. Poi…non ci siamo più visti, quel fiore non è più bastato, lei è cresciuta, è cambiata, io sono andato a vivere negli stati uniti d'America con la mia famiglia e ci siamo dimenticati. 

Tanto da non riconoscerci più.

Dopo aver consumato più cibo oggi che in qualsiasi altra giornata, ci fermiamo per respirare.
«Johnny, stavo pensando che forse a Lexie farebbe piacere, incontrarti ancora, dico. Ricordo che eravate molto amici qualche anno fa…ecco, molti anni fa.» 

«Dov'è?» chiedo senza riuscire a trattenere il mio fastidio. È un fastidio normale, noi siamo a tavola a mangiare, mi sembra giusto che anche lei resti a mangiare con noi. 

«È ancora in cerca di un lavoro, dice che ha avuto alcuni problemi questa mattina al corso di recitazione. Se ti fa piacere puoi restare a dormire qui. La casa è piccola, i letti sono pochi, puoi restare con lei, non è la prima volta, o puoi appropriarti del divano» alzo lo sguardo dal piatto e punto a mia madre che sorride, nei suoi occhi ci leggo tanta speranza che sfrantumarla sarebbe un peccato. Poi osservo come velocemente passa da me a Derek stringendogli una mano e per quanto non sopporti la loro estrema vicinanza, non potrei mai farle del male, sono sempre stati ottimi amici ed io potrei infastidire Lexie appena torna a casa. 

«Vedrò con l'andare del tempo» rispondo creando una smorfia di indifferenza.
So bene che chiedere di dormire con lei è come chiedere la luna. Impossibile, forse è per questo che riesce a tenermi al suo fianco. Quella sorte d'impossibilità che riesce a dare a tutto, è da sempre una sfida che mi sono imposto di vincere, e vincere è il mio unico obiettivo. 

«Se vai in camera di Lexie dovrebbero esserci dei pigiami, sono i miei. Vedi se vanno bene e, non so che dirti, fai come se fossi a casa tua.» senza risponderlo seguo il suo profumo, il profumo della piccola e dolce Lexie, ad ogni passo è più forte e trovare la sua stanza non mi è poi così difficile. 

Resto alla soglia e studio il letto matrimoniale che padroneggia al centro con alcuni peluche posti accanto ai cuscini, sul comodino una semplice lampada e per il resto, neanche un vestito fuori posto. Ricordo bene la sua mania della perfezione. 

Mi ritrovo a sorridere come un deficiente quando spalanco le ante dell'armadio bianco e all'interno ci sono infiniti vestiti accostati per tonalità, dai più scuri ai più chiari e non mi dispiace giocarci un po' così da potermi divertire quando aprendolo troverà il suo mondo sotto-sopra, già immagino il suo sguardo allarmato e tutta quella rabbia che la porterà a scagliarsi contro di me. 

 𝙸 𝚑𝚊𝚝𝚎 𝚢𝚘𝚞×𝖄𝖔𝖚 𝖍𝖆𝖙𝖊 𝖒𝖊× Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora