Capitolo 12

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La sveglia suona ma i miei occhi non vogliono aprirsi, fuori è ancora buio ma subito mi viene in mente che oggi parto per la gita. Mi lancio fuori dal letto e dopo dieci minuti sono già in cucina con la valigia pronta. Mio padre arriva poco dopo con ancora un occhio chiuso ma con il sorriso sulle labbra.

«Buongiorno tesoro, pronta?» mi dice prima di darmi un bacio sulla fronte.

«Facciamo colazione prima, voglio il tuo cappuccino» gli dico. Mio padre fa un cappuccino che è la fine del mondo, neanche la mamma lo prepara così buono. Io mi siedo al tavolo e lui rimane in piedi a sorseggiare dalla sua tazza mentre non smette di guardarmi.

«Tutto bene?» gli chiedo.

«Tesoro, divertiti ma stai attenta. Mi raccomando Lea, niente stupidaggini. Sei lontana da casa.» conclude le raccomandazioni con un bacio sulla fronte.

«Stai attenta mi raccomando» mi dice mia madre, che ci ha raggiunti in camicia da notte. Mi abbraccia e io mi perdo nella sua stretta, come fossi ancora una bambina.

«Lea, dobbiamo andare, altrimenti farai tardi» mi esorta mia padre con le chiavi dell'auto in mano.

Appena esco il silenzio della notte mi sovrasta, nessun rumore esterno, solo i mei pensieri che fanno confusione e mi riportano sempre alla stessa cosa: David.

«Chiama appena arrivi» mi urla mia madre mentre salgo in auto, fregandosene che sono le cinque di mattina e che i nostri vicini stanno ancora dormendo.

Il viaggio è breve e, arrivati davanti alla scuola, il pullman che ci porterà all'aeroporto c'è già. Mio padre parcheggia e mi aiuta a portare la valigia. Le persone sono affollate e devo farmi strada tra loro per arrivare da Emma che è lì ad aspettarci con sua madre.

«Ciao!» mi dice. È euforica.

«Ciao» le dico saltando sul posto.

«Mettiamo le valige nel pullman, vieni.» mi dice mio padre e appena vedo la mia valigia nella pancia del pullman sento un brivido. Sto per partire per una settimana, ancora non ci credo!

Salutiamo tutti i genitori, che ci guardano come se partissimo per la guerra, con lo sguardo nostalgico e affranto, mentre il professore di filosofia, che sarà il nostro accompagnatore, ci fa salire per fare l'ultimo appello prima di partire, l'inevitabile ultimo appello.

Il primo nome che chiama mi fa venire il mal di stomaco: ANGELI DAVID.

Dal fondo del pullman sento urlare «PRESENTE.» seguito da risatine in sottofondo. Mi giro e vedo David attorniato da alcune ragazze, una di loro è seduta su di lui, mi volto subito in avanti, sono contenta che Emma ed io ci siamo sedute in prima fila. Più rimango lontana da lui meglio è. Mi ha ferito come non avrei mai creduto. Io mi sono fidata andando oltre alla mia paura di bruciarmi e alla fine mi sono bruciata con lui. La cosa che mi fa stare più male è che ancora lo penso, ancora lo voglio, ancora lo amo e non riesco a togliermelo dalla testa.
Ho paura che questi sette giorni saranno molto impegnativi.
Finito l'appello, il prof di filosofia si siede vicino alla prof dell'altra classe e il pullman parte. Mi sbraccio per salutare mio padre che dalla strada mi butta un bacio.

Il viaggio non sarà lungo ma un po' di musica mi terrà isolata dai rumori esterni che echeggiano sul pullman, porgo una cuffia a Emma e l'altra la metto io. Mi appoggio al poggiatesta e le note di Ultimo mi cullano, riuscendo per fortuna a isolarmi dalle risatine delle ragazze di David.

«Ragazzi, preparatevi siamo arrivati all'aeroporto». La voce del professore che parla al microfono mi sveglia.

Cerco di riordinare velocemente le idee e mi alzo, ringraziando Dio Emma ed io siamo le prime a scendere, non avrei resistito in fila con David e le sue oche. Una volta prese le valigie ci avviamo verso l'entrata dell'aeroporto. Appena arrivano  i professori ci dicono di aspettare e fanno sedere, ci chiameranno loro quando sarà il momento di partire.
Siamo circondanti da persone che camminano veloci con i loro biglietti in mano, valigie e borse popolano inermi la sala.

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