Mi risvegliai nel mio letto che non sembrava passato un istante, eppure era giorno e la luce calda del sole penetrava dalle finestre dell'appartamento con l'indifferenza di sempre, riscaldandomi gambe e lenzuola in maniera insopportabile.
Guardai l'ora, erano le undici passate.
- Cosa hai fatto ieri sera? - domandai al mio corpo nudo, allo specchio, cercando di percepire almeno un movimento, un sentimento, un pensiero da parte di quel maledetto Grillo che stava diventando sempre di più una nemesi anziché un alleato, per le mie perversioni.
- Non ci saremmo mai dovuti lasciare coinvolgere, dovevamo farli fuori tutti, lasciarli ad Obasi per fare in modo che ci lasciasse in pace!
Il Grillo fece vibrare le sue antenne in segno di disappunto.
- Come hai fatto a riattivare il cilindro, come hai fatto!? - esclamai, scagliando un pugno contro il vetro.
Il Grillo ebbe un tremito di paura, o forse di ilarità.
Quando aveva preso così tanto il sopravvento? Era stato l'uso del cappello a concedergli tutta questa libertà?
Mi alzai, più che deciso ad andarlo ad indossare per affrontare il Grillo faccia a faccia ma mi fermai quasi subito.
- No, non ti darò più questa possibilità, d'ora in poi sarò io a comandare, tu rimani nel Vuoto Antistante, chiaro?
Le antenne del Grillo vibrarono di disappunto e le sue zampe rasparono sulla mia schiena in maniera quasi dolorosa.
- Non abbiamo inventato il cilindro per fare i rivoluzionari, abbiamo inventato il cilindro per essere liberi, per muoverci senza essere disturbati né riconosciuti. Non voglio essere coinvolto dalle tue stronzate almeno quanto non volevo essere coinvolto nei discorsi di Malaeva.
Il Grillo raspò di nuovo il proprio disappunto ma non potendo fare molto altro tacque di nuovo.
- Bene, ora che ci siamo chiariti posso prepararmi per il lavoro, con la tua bravata hai quasi rischiato di farmi andare in ritardo. E d'ora in poi se mi dovrò spostare lo farò senza cilindro, anzi, lo distruggerò appena posso quel maledetto affare, è stato un errore darti tante libertà.
Stavolta il Grillo tacque, forse per la rabbia o magari perché stava già studiando un altro piano per disobbedirmi, non volli pensarci, quel risveglio mi aveva già messo abbastanza di cattivo umore.
Andai a lavoro in preda a sentimenti strani, rabbia, frustrazione, sconforto, era sempre più chiaro che il Grillo si era trasformato da mio alleato alla mia peggiore nemesi, una nemesi incastrata direttamente nel mio cervello, ma perché?
Mille nuove domande mi frullavano in testa, sembrava quasi che per ogni mistero che risolvessi decine di nuovi ne comparissero all'orizzonte ed io ero sempre più confuso. Cosa si erano detti il Grillo e gli uomini del Sindacato quella notte? Che cosa aveva accettato di fare dopo che la mia coscienza era stata inglobata nel Vuoto Antistante?
Con la testa fasciata di pensieri percorsi il sentiero costiero, incapace di godere della brezza marina, del canto stridulo dei gabbiani e dell'infrangersi delle onde come facevo di solito. Mi mancava quella calma che solo fino a qualche giorno prima pensavo ritrovata e che già era di nuovo perduta, mi mancavano sempre di più i tempi prima della morte di Malaeva.
D'un tratto lo immaginai ancora accanto a me, con la testa china, appesantita dai profondi pensieri legati al Partito, pensieri carichi di odio, rancore, ma anche di speranza, a volte.
"Che tutto vada in malora, vecchio mio" mi diceva, quella sua pallida visione, "il partito, il depuratore, l'insediamento, che vada in malora tutto una volta per tutte e che finisca tutto così, sono stanco di tribolare. Sai, a volte mi sembra che quelli del Partito siano troppo positivi, parlano di libertà, ma quale libertà se siamo tutti obbligati a combattere con le unghie e con i denti per sopravvivere a un turno di lavoro. A volte penso che Loro non siano il nostro unico problema, a volte penso che il vero problema siamo noi."
Timbrai il cartellino sovrappensiero e fu solo grazie a un movimento improvviso del Grillo che mi resi conto di ciò che avevo davanti: lungo il corridoio del depuratore, a pochi metri da me, lo stesso uomo dalla barba brizzolata che avevo visto la sera prima, Medinda lo avevano chiamato, discuteva con altre due persone. Aveva la divisa da AlME, forse era uno dei complici di Malaeva interno al Depuratore, qualcuno che lavorava proprio al suo stesso reparto.
Feci finta di nulla, timbrai il cartellino ed andai verso gli spogliatoi comportandomi come avrei fatto in un giorno qualsiasi. Questi si avvicinava alla bollatrice per timbrare la fine del turno discutendo con un altro AlME degli imprevisti del turno. Ridevano e scherzavano come avremmo potuto fare io e Malaeva.
Mi passò accanto senza riconoscermi ed io finsi di non vederlo come avrei fatto normalmente. Lo superai e mi guardai ancora una volta alle spalle. Non mi aveva riconosciuto, segno che almeno, il Grillo, da quel punto di vista era stato prudente.
Indossai il camice, pronto per andare in reparto ma quando mi volsi per lasciare lo spogliatoio lui era lì, poggiato contro un armadietto, intento a parlare con un altro operaio, ma i suoi occhi castani mi fissavano con un'intensità capace di mettermi a disagio. Finsi ugualmente di non accorgermene, superandolo per uscire dallo spogliatoio. Questi non mi salutò, non fece alcun cenno, continuò a parlare con il suo collega ma il suo sguardo non si scostò da me neppure per un istante, riuscivo a vederlo chiaramente con la coda dell'occhio.
Arrivai al laboratorio piuttosto in fretta, cercando di togliermi dalla mente quello spiacevole incontro ma più provavo e meno riuscivo, con gli anni il lavoro di analista era diventato mera routine, movimenti meccanici, ripetitivi, tanto uguali che richiedevano solo un barlume di attenzione per essere eseguiti, cosa che offriva alla mia mente la possibilità di spaziare, troppa possibilità di spaziare, tra gli orizzonti paranoici dell'incertezza.
Il Grillo rideva di queste mie, lo sentivo grattare con le antenne sul mio collo, singhiozzando, esaltato da questa terribile ansia che mi logorava dentro.
Godeva del mio non sapere, godeva del fatto che il mio rifiuto ad indossare il cilindro mi impedisse di parlargli direttamente, godeva perché sapeva che appena arrivato a casa l'avrei fatto, avrei indossato cilindro ed occhiali per affrontarlo faccia a faccia, o meglio, pensiero a pensiero.
Senza imprevisti, il turno mi parve interminabile tanto che mi sembrò incredibile sentire, a sera inoltrata, la sirena della fine del cambio sulle linee.
Tornai allo spogliatoio in fretta, svestendomi alla meno peggio lanciai il mio camice nell'armadietto ed uscii senza preoccuparmi neppure della doccia chimica. Sapevo che avrei dato nell'occhio ma in quel momento non mi importava, volevo solo tornare a casa e scoprire cosa era veramente accaduto, la sera prima.
Il dubbio, quel tarlo che mi si era insediato dentro, mi aveva già completamente divorato ed un'ansia frenetica si era impadronita dei miei passi, spingendomi ad accelerare su quel percorso buio e solitario che collegava l'impianto alle Torri.
Tagliai per la via principale, anticipando di qualche manciata di minuti gli altri operai nel varcare il punto di controllo delle Torri e raggiungere la fermata dell'Elobus il prima possibile.
Una volta arrivato lì però, con mia grande sorpresa, vidi un uomo seduto sulla banchina, una figura familiare, una presenza nefasta: Medinda.
Fui colto da uno strano senso di deja vu, ora che mi ero liberato di Obasi ecco che un altro molestatore sembrava voler minacciare la mia libertà personale.
Maledii il Grillo ed il giorno in cui si era insediato nella mia testa, quando mi sarei liberato di quella storia? Quando sarei tornato libero di vivere la mia vita?
Volse lo sguardo nella mia direzione ma non disse nulla. Nemmeno io dissi nulla, mi avvicinai con passo lento, dissimulando una calma che sicuramente non avevo.
- Siediti - mi disse, indicandomi il posto accanto a se.
- Che vuoi? - domandai.
- Oh, avanti, perché quell'atteggiamento ostile? - rispose lui con un sorriso.
Mi sedetti.
- Non capisco perché questi continui cambi di atteggiamento, prima sei ostile, poi d'improvviso accondiscendente, ora di nuovo ostile.
- Evidentemente perché sono fuori di testa, una persona su cui non fare affidamento - risposi.
Entrambi fissavamo dritti davanti a noi, verso i margini dell'insediamento, oltre quella fascia di nulla che separa la periferia dei Vot marittimi dalle Torri. La fermata era un'oasi luminosa circondata da tenebre rischiarate, a tratti, dalle basse luci provenienti dalle stalle, sufficienti appena ad illuminare i filari ordinati degli orti urbani mentre più in alto, tra ponti sospesi e balconate, la vita scorreva placida accompagnata dai suoi rumori umani. Mormorii, musiche, risa, ogni suono ci raggiungeva ovattato dal buio della notte.
- Bisogna essere dei fuori di testa per fare ciò che vogliamo fare noi - rispose.
- E cosa vorreste fare?
Medinda mi guardò stranito ed io risposi al suo sguardo con indifferenza.
- Smettila di recitare questa commedia, almeno quando nessuno ci ascolta - mi sussurrò, alzandosi per piazzarsi sul bordo della banchina.
L'elobus si avvicinava sbuffando nuvolette di vapore acqueo mentre i suoi freni già avevano preso a fischiare sui cavi tesi verso il basso.
Gli operai avevano preso a correre, temendo di perdere l'elobus, li sentivo schiamazzare alle mie spalle. Da lì a poco avrebbero invaso la pancina.
Feci per alzarmi quando notai che, accanto a me, Medinda aveva lasciato una sorta di curioso pacchetto.
Guardai il pacchetto poi guardai Medinda che ora sembrava essere più interessato all'arrivo dell'elobus che non a me.
"Maledizione" pensai, prendendo il pacchetto per farmelo scivolare in borsa.
Temevo, senza sbagliarmi, che potesse contenere qualcosa di compromettente, così lo feci sparire mentre i primi operai avevano iniziato ad invadere la banchina con il loro vociare ed i loro schiamazzi.
Persi di vista Medinda quasi subito, probabilmente si confuse tra la folla e scappò nel buio visto che non riuscii a scorgerlo neppure all'interno dell'elobus, ma la cosa oramai mi importava poco, era chiaro che il Grillo mi aveva incastrato in qualche discutibile posizione, in quelle poche ore, ed ora toccava a me solamente trovare il modo di cavarmi d'impiccio.
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Cybervert
Science FictionUn viaggio in un mondo in esaurimento, in una società spaccata tra esseri umani e automi, nelle perversioni di un uomo attratto dalle macchine.