Frammenti di vuoto

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Al fondo del baratro c'ero io, un me stesso adagiato su uno specchio d'acqua familiare, lungo le bianche rive delle pallide nebbie: il Vuoto Antistante. 
Caduto in quel mio stesso corpo astrale mi alzai in piedi, ora la nebbia era leggermente più diradata e l'aria stessa aveva assunto una consistenza differente, più reale.
Mi guardai le mani, sembravo di carne ed ossa, distinto dal paesaggio come non lo ero mai stato fino a quel momento. 
Cercai nello specchio d'acqua il Grillo, di scorgere ciò che avveniva in quel momento nella realtà ma tutto ciò che mi restituiva il lago era il cielo plumbeo unito al mio riflesso distorto. 
- Grillo! - gridai, iniziando a camminare tra la nebbia. - Grillo!
Ma la mia voce si perdeva nel vento, scomposta nell'immensità di mille echi per poi tacere, lasciando solo spazio a quel vento che lento ma inesorabile portava via la nebbia. Senza più quello schermo ora l'intero panorama stava cambiando forma, mostrando i rimasugli di vecchi edifici familiari, alberi morti e contorti il cui tronco assomigliava a persone conosciute nella realtà, vecchi oggetti semisommersi si riflettevano in strane forme attorno a me, strani disegni tecnici giacevano, penduli, da rami e vecchi detriti. L'intero lago infinito, senza più il velo della nebbia, non assomigliava più a quel posto candido e ultraterreno in cui discutevo col Grillo del futuro ma era più una discarica di vecchi ricordi, i rimasugli dei banchetti con cui il Grillo stesso era pasciuto, rannicchiato nella mia anima. 
Ma dove era lui? Perché non riuscivo a vederlo? Perché la mia voce non lo raggiungeva? 
Cercai di ricordare dove lo avessi visto le ultime volte, ma i ricordi si confondevano ed il paesaggio ora era così distorto, così differente. 
A quel punto provai a concentrarmi, a socchiudere gli occhi e cercare nel vento la sua voce. Siccome il vento non mi portava nulla decisi che dovevo seguire il vento, perché forse era proprio lui a spingerla lontano, a permettergli di sentirmi impedendogli di rispondermi. 
Così fu che intravidi una sagoma familiare all'orizzonte più grande di qualsiasi oggetto, albero o detrito di edificio, la sagoma di un grosso insetto in putrefazione, rantolante nell'avvicinarsi dell'ora della propria morte. 
Mi avvicinai al corpo ed era peggiorato rispetto all'ultima volta che lo avevo sognato, ancora vivo ma sempre più divorato dalla putredine e da grossi insetti gialli che ne addentavano il carapace marcescente, così affamati da essere impossibili da allontanare. 
Stavo proprio facendo questo, nella speranza di lenire un po' le ferite del mio compagno di viaggio che questi sembrò ridestarsi con uno scossone. 
- Oh... sei qui... - sussurrò, agonizzante. - Quanto ti ho chiamato in questi tempi, quanto lontana era la tua voce...
- Cosa stai dicendo? Siamo stati insieme fino a un attimo fa, sei anche stato tu al comando. 
- No - mormorò il Grillo. - Non ero io, io non sono più con te da molto tempo, da quando ci siamo persi nel deserto, te l'ho gridato ma tu non potevi già più sentirmi.
- Cosa stai dicendo, sei ammattito? 
- Lui è arrivato, la nostra fusione, la nostra genesi, possibile che tu non te ne sia reso conto...
All'improvviso il cielo divenne nero cupo e il frastuono di mille tamburi da guerra annunciava l'arrivo di una tempesta. 
- Eccolo, colui che prenderà il nostro posto, colui che Galeiana ha definito il messia. Eccolo il figlio delle nostre coscienze, la nostra fusione, lo spirito cromato che prenderà il nostro posto - disse il Grillo, - eccolo arrivare del deserto argenteo, il suo deserto, il posto nel tuo cuore che rappresenta l'esatta sottrazione di noi due, guardalo, guarda il suo metallo risplendere tra le dune, sospinto dai tuoni e dalla tempesta di sabbia, egli è il deserto, egli è la fine del nostro tempo, di noi due come semplici e singole entità. 
Aguzzai lo sguardo, una figura si avvicinava a gran velocità emettendo rapidi bagliori nel vortice di sabbia, era una figura umanoide, cromata, con la testa sormontata da un lungo cilindro ed un frac metallico che sventolava nel vento. 
- Siamo noi, è un Modello con le nostre sembianze - mormorai, ammaliato da quell'oscura e minacciosa visione, da tutto quel potere che sembrava dover sollevare la falce della morte in quell'ultima ora di tramonto. 
Sbattei le palpebre e lui era lì, i suoi grandi occhi metallici, il sinistro sorriso cromato, le lunghe gambe che si fondevano con gli stivali. Tutt'attorno solo tempesta, solo caos, solo sabbia argentata che volava ogni dove, ovunque tranne lì, in quel preciso punto, nell'occhio di quel ciclone spirituale. 
- Alla fine ci incontriamo, per una volta, tutti e tre, padre, figlio e spirito santo. 
- Quindi eri tu che mi parlavi, in questi ultimi tempi - dissi. 
Il Grillo Cromato rise e allargò le braccia: - Come è stato facile farti credere che ero il Grillo, che il Vuoto Antistante era collassato, invece è qui, tutto attorno a te, pronto per essere distrutto e rimescolato, per essere spazzato via dalla mia Tempesta, perché questo sono, una tempesta, il meglio di entrambi voi. 
Rise di una risata folle, così alta da riecheggiare anche sul fischio del vento e lo scrosciare della sabbia argentea. 
- Finito questo sogno sarò io a dominare sul tuo corpo e voi sarete dimenticati, solo un pensiero, un ricordo, un sogno ad occhi aperti di una persona diversa, del profeta del nuovo mondo, un mondo finalmente epurato della piaga umana, un mondo pronto per il dominio delle macchine. 
- Così è questo il famoso profeta, un misero fanatico, forse persino peggiore di me - dissi, guardandolo negli occhi. - No, mi rifiuto di crederlo, mi rifiuto di lasciare il mio corpo ad uno come te. 
- Uno come me, come te o come il Grillo non farebbe differenza, io ho già vinto, noi abbiamo già vinto. 
- Cosa vuol dire? 
- Che arrivato a questo punto non puoi cambiare il risultato della partita, neppure affrontando Munillipo, neppure sconfiggendo me. 
- Il solco del destino è già stato tracciato, i nostri meriti e i nostri errori a breve verranno conteggiati - mormorò il Grillo, - ma a breve non significa adesso, la partita non è ancora conclusa. 
Tempesta si avvicinò al Grillo e poggiò una mano sul suo corpo martoriato. 
- Il primo che assorbirò sarà questa vecchia carcassa, del resto la sua utilità si è esaurita tempo fa...
- E perché non lo hai ancora fatto? - lo sfidai.
- Come? - domandò Tempesta. 
- Perché non ci hai ancora "assorbiti", se potevi farlo. No, io non penso che tu sia in grado di assorbire nessuno, ora come ora. Quello che penso è che la partita non sia ancora finita, che esista un modo per liberarsi di te diverso dal chiedere aiuto a Munillipo, un modo che è sempre stato sotto i nostri occhi - dissi. 
Tempesta, anziché tentennare sembrò quasi diventare più sicuro di se. 
- Una soluzione sotto i nostri occhi? E quale sarebbe? Che voi divoriate me?
- Ovviamente no - dissi, volgendomi, - tutto ciò che devo fare non è altro che muovere un piede e andare dove tutto questo è iniziato - continuai, guardando oltre gli alti muraglioni di roccia dello Scoglio Nero, in quell'intangibile passato che si confondeva con le esalazioni della terra, con oscuri miasmi che avvolgevano le figure umanoidi, come ombre, vaganti e disperate lungo il piatto orizzonte di ossidiana. 
- Non avrai mai il coraggio di farlo - disse Tempesta e stavolta la sua voce elettronica tradì un'incertezza.
Lo guardai, guardai i suoi occhi cromati, la sua espressione statica, sorridente. 
- Lo credi veramente? - domandai, prima di lanciarmi oltre il muraglione di rocce, oltre quello Scoglio Nero che il Grillo mi aveva descritto come invalicabile. 

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