Prima della tempesta

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Fui tormentato da uno strano sogno, un sogno intriso di verde, pieno degli stessi richiami che il Grillo usava lanciare durante i primi tempi in cui era con me. 
Era un suono diffuso, un frinire costante, simile ad una sinfonia perpetua, ad un canale mal sintonizzato. 
Sotto la melodia un intrico di cavi si dipanava in una stanza grigia, asettica, inondata da luci basse al led, piena di esseri argentei e lunghe braccia meccaniche. 
Naftalia era nella stanza, mi guardava con la sua espressione fredda, asettica. Alle sue spalle vidi i miei genitori, poi Malaeva, Aminata, Obasi, il Grillo. Figure su figure in ombra che mi osservavano in silenzio. 
Braccia meccaniche lavoravano sul mio corpo, mi scoperchiavano il cranio, mi solleticavano il cervello punzonandolo con lunghi sensori argentei. 
Cosa stava succedendo? 
Blocchi metallici mi imprigionavano gambe e braccia mentre mani umane, sporgenti da camici bianchi, mi spingevano sul petto per trattenermi nel lettino. 
Urlai, mentre il braccio si infilava tra i lobi del mio cervello, urlai anche se non sentivo dolore ma solo la sensazione del ferro freddo che penetrava la mia materia grigia, rovistandola senza riguardo.

Mi svegliai nel cuore del sogno ansante, terrorizzato.
Accesi la luce, cercando nel mio riflesso allo specchio la certezza di essere tornato alla realtà mentre già le immagini si dissipavano nella mia mente confusa facendosi sempre meno concrete, meno tangibili. 
Ero sicuro di aver sognato altro, molto altro, ma ricordavo solamente quella sala operatoria, quegli arti meccanici. 
Scostai le lenzuola e scesi dal letto, non so perché ma ero convinto di non riuscire più a camminare a modo. 
Andai in cucina nel silenzio del misero appartamento. Il Grillo taceva così come mi sembrava tacessero i Vot attorno a me. Neppure il muggito di vacche e bovini rompevano quel silenzio, neppure il canto di un gallo. 
Era un'ora strana, un'ora assoluta, un'ora karmica.
Mi avvicinai al lavello per prendere un bicchiere d'acqua quando mi accorsi di una luce rossa, sinistra, provenire dalle finestre frontali dell'appartamento.  
Mi avvicinai lentamente, rapito da quel bagliore a tratti intermittente che incendiava il cielo notturno, perché proprio di questo si trattava, di un incendio, dell'Insediamento in fiamme e di centinaia di Grilli rosa che lo osservavano dall'alto dei tetti. 

Mi svegliai di nuovo, questa volta davvero.
La stanza era inondata di luce bianca, dello stesso sole spietato che consuma il deserto ed esaurisce il tempo. Stavolta non c'era silenzio, il rumore del trapestio di passi, il muggire delle mucche, il cantare dei galli. Ogni suono era dove doveva essere. 
Ancora assonnato accesi l'Intragiornale e presi a vestirmi, non era tardi ma neppure così presto da permettermi di rimanere a letto. 
Avevo appena infilato una maglietta quando il campanello della mia porta suonò. Pensai che fosse Aminata, quindi andai ad aprire senza neppure domandare chi fosse. 
Mi trovai di fronte il bigio Obasi accompagnato da due agenti. 
- Ispettore Obasi...? - salutai, sorpreso. 
- Le chiedo scusa per l'intrusione, ho saputo che non era a lavoro e mi sono permesso di disturbarla a casa. 
- Sì, certo, si accomodi, io mi sono appena svegliato. 
- Non ci vorrà molto - mi disse, accettando l'invito e lasciando i due uomini fuori. 
- Vuole un'infusione? - domandai.
- Volentieri - rispose l'investigatore, sedendosi sulla sedia che solo la mattina prima aveva occupato Aminata. 
- Allora, di che cosa mi vuole parlare? Un altro interrogatorio?
- In realtà sì - rispose, - e no - continuò. 
Poggiai le due tazze fumanti sul tavolino. 
- Mi dica, forza, non vedo perché abbia così tante difficoltà dal momento che è stato il mio stalker più affezionato in questi giorni - ironizzai. 
- Non è mai facile affrontare questi momenti, cioè intendo dire dare questo tipo di notizie.
- Notizie? Di che genere. 
L'investigatore sospirò: - Va bene, tagliamo corto, non sono qui per una visita di cortesia. Stanotte, purtroppo, la signorina Aminata Cortei è stata trovata morta nel suo appartamento, nel quadrante 25 dei Vot. 
Rimasi interdetto, veramente stavolta, senza nessuna commedia, senza fingere: la notizia mi aveva sorpreso e mi bastarono solo pochi accorgimenti per sembrare anche addolorato. 
- Come... come è successo? - domandai, - è stata uccisa per la faccenda del magazzino?
- Faccenda del magazzino? - chiese l'investigatore.
- Sì, ieri mattina è venuta da me raccontandomi di aver perso il lavoro, è stata con me finché non sono dovuto andare al turno del pomeriggio, poi sono tornato e non era più qui. Non ho provato a contattarla, pensavo di farlo stamattina ma...
- Non pensiamo si tratti di un omicidio, è più probabile che sia un suicidio così come è probabile che lo sia anche quello del suo amico Malaeva. 
- Come scusi? 
- Sì, forse ho sbagliato l'impostazione delle mie indagini, in fondo non siamo riusciti a trovare nulla che collegasse qualcosa di losco al suo amico Malaeva. 
Mi stava ingannando. Di nuovo. Cercava di tendermi un'altra delle sue trappole dialettiche, di quegli sgambetti intellettuali che aveva tentato fin dall'inizio. 
- E allora chi è che rubava rifornimenti dal magazzino? Perché Aminata è stata licenziata? 
- Questo non so proprio dirglielo, ai nostri controlli non sono risultati furti o altra attività criminale, le scorte erano tutte al loro posto. 
- Mi sembra tutto così assurdo... - commentai. 
- Lo sembra anche a me, ma a questo punto penso di avere le mani legate, tutti gli indizi mi confermano che si tratti di un suicidio. 
- Ma è impossibile, Aminata non si sarebbe mai suicidata, non dopo ciò che ci siamo detti ieri mattina.
- Ovvero?
- Le solite cose, che io sarei stato qui per lei, che l'avrei supportata, che mi avrebbe sempre trovato a sua disposizione, che le cose prima o poi si sarebbero aggiustate... 
- Nient'altro?
- Cosa avrei dovuto dirle? Non sapevo neppure io cosa pensare onestamente. Nel giro di un paio di settimane sono venuto a scoprire che il mio unico amico è morto per chissà quali cause, che probabilmente rubava sul lavoro... ha idea di quanto tutto questo mi abbia sconvolto?
- No, ma posso facilmente capirlo. Comunque lei mi conferma che ieri non ha menzionato l'idea di togliersi la vita.
- Era sconvolta ma no, non penso che le passasse neppure per l'anticamera del cervello - rimasi qualche istante in silenzio. - Senta, io non posso crederci che Aminata si sia uccisa senza motivo, qualcosa deve essere successo, non può trattarsi che di un omicidio.
L'investigatore sospirò. 
- Purtroppo io non posso fare nulla, ora se vuole scusarmi, mi aspettano altri impegni - disse, posando la tazza vuota sul tavolino. 
- Sì, certamente - risposi, accompagnandolo alla porta. - Ma la prego, non tralasci nulla - lo dissi in maniera quasi supplichevole, intenzionato più che mai a provare la mia innocenza.
Obasi mi guardò per un lungo istante. 
- Farò ciò che posso - rispose, prima di andarsene seguito dai suoi uomini.

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