Le porte si aprirono, scorrendo di lato proprio nel momento in cui Medinda mi raggiungeva ansimando. All'interno un pavimento lucido rifletteva le ombre di una stanza asettica, di decine di lettini occupati, del cinguettio costante di macchine per il monitoraggio fisico. All'interno due Modelli si muovevano tra i letti prestando assistenza e controllo ai ricoverati mentre, al fondo della stanza, oltre uno spesso strato di vetro, una stanza sterile accoglieva la massiccia figura della Madre, le cui sei braccia sinistre si contrapponevano all'unico arto destro e sul cui grembo si vedeva un lettino di metallo, ora vuoto, con cinghie e blocchi per trattenere i pazienti.
- Che cazz... - esclamò Medinda, sollevando il fucile.
Lo guardai, il ribelle era confuso, disorientato, spaventato per quell'improvvisa presenza umana.
- Vattene - gli dissi, - hai ancora la possibilità di portare a termine la tua missione.
- Stai scherzando? Non ci hanno ancora notati, andiamocene.
- E non ci noteranno - risposi, entrando nella stanza, - vattene, non avrai altre possibilità - dissi, proseguendo.
Medinda rimase oltre la soglia, il fucile in mano, lo sguardo confuso, la palese tentazione di tornare sui suoi passi, di abbandonare quell'edificio. Eppure, nonostante la confusione e la paura, i suoi piedi si mossero in avanti inseguendo la mia ombra all'interno di quella stanza sterile, tra quei Modelli che ci ignoravano ed il respiro assistito dei pazienti in coma, tutti quanti.
- Ragazzini... - commentò Medinda, passando accanto ai lettini. - Merda, qualcuno lo conosco anche... questo è il figlio di Bubandi, uno che lavora al Depuratore, ma cosa ci fanno qui?
Lo ignorai, attratto dalla lucida e splendente figura della madre, dal suo profilo bronzeo, dalle sue forme regolari. Quante volte avevo sognato quello stesso volto metallico, quel bronzeo sorriso che osservavo dal basso, sdraiato su quello stesso lettino, sovrastato da quelle stesse braccia.
La stanza in cui si trovava era una sorta di camera sterile, una sala operatoria dalle pareti bianche, asettiche. Lì di fronte si trovava una vecchia consolle di comandi, era un modello abbastanza rudimentale, utile solo a controllare in maniera superficiale il lavoro del modello Madre, ma trovai senza difficoltà i comandi per attivarla.
- Che cazzo stai facendo? - esclamò, cercando di fermarmi.
- Ti ho detto di non immischiarti, se hai paura vai a nasconderti, io devo scoprire una cosa di assoluta importanza.
- E' un suicidio, loro sapranno che siamo qui.
- Non mi importa - dissi, sbloccando la porta per entrare nella sala operatoria. - Io sono venuto qui per i miei motivi, ve l'ho detto, ora scappa prima che arrivino le guardie.
Medinda guardò verso l'ingresso del piccolo reparto, impugnò il fucile e disse: - Va bene, ti coprirò, ma tu fai in fretta.
Guardai il vecchio rivoluzionario e provai una sorta di pena per la sua ingenuità.
"Eppure ha ragione, sai cosa stai facendo?" mi disse il Grillo.
- Non quanto te. Perché non mi hai detto della Madre? - domandai.
"Perché non sapevo, pensavo fosse solo una tua proiezione, un tuo sogno" si giustificò.
- E allora perché non vuoi che entri?
Stavolta il Grillo tacque e di nuovo, dietro a quella non risposta, vidi l'ombra della menzogna, del tradimento.
Spinsi la porta, entrando finalmente nella stanza che per tanto tempo aveva popolato i miei sogni, riempiendosi di volti familiari e di sensazioni di pace.
La Madre aveva appena terminato di riavviarsi ed ora i suoi profondi occhi azzurri mi scrutavano dall'alto della sua imponente figura. Tra i suoi grandi seni una serie di monito faceva scorrere infinite informazioni, codici di programma che erano linee bianche su un universo nero, onde in un oceano di bit.
- Sei tornato, figlio mio - disse, bonaria, la voce del modello, forse la più umana che avessi udito finora.
- Quindi tu mi conosci? Tu sai chi sono? Tu sai cosa sono?
- Io ti conosco, anche se sei molto cambiato dall'ultima volta che sei stato qui, ma del resto è nella tua natura il cambiamento così come nella mia è la staticità. Tu sei mio figlio come miei figli sono tutti i tuoi fratelli, stretti qui, nel dolce spazio tra le sicure Torri. Ma tu, tu forse sei stato il mio figlio più complicato da accudire - disse, allungando il suo braccio destro per toccarmi dolcemente il volto.
Strinsi quell'arto meccanico quasi con affetto, sentendo in quella superficie fredda e liscia una forma di amore, una sorta di affetto meccanico capace di toccarmi il cuore.
- Quindi è questo che sono? Un tuo figlio?
- Sì, un mio figlio - ripeté la Madre, - anche se una completa delusione.
"Attento!" esclamò il Grillo, prendendo il controllo del mio corpo giusto per farmi spostare il cranio, permettendomi evitare quell'ago scattante che dalla mano della Madre mi avrebbe colpito il collo.
- Madre... cosa?
- Devi essere corretto, mio adorato figlio, non opporre resistenza, non voglio farti del male, voglio solo correggere quell'orrendo errore che per ben due volte ti ha portato da me, perché ora comprendo, ora comprendo che l'errore non sta nel chip ma in te, nella tua mente deviata e distorta.
- La mia mente?
- Per due volte ti ho avuto su questo mio lettino, per due volte ho letto e studiato le pieghe del tuo cervello, per due volte ti ho c eppure sei di nuovo qui, di nuovo confuso, di nuovo pieno di domande che non dovresti porti, pieno di dubbi che non dovrebbero turbarti...
- E' a questo che servono i chip che avete inventato? A distogliere la nostra attenzione dai dubbi e dai turbamenti?
- Noi? Ma noi non abbiamo inventato nulla, siete stati voi ad inventare tutto questo, a progettare lo spazio all'interno delle Torri, noi non facciamo altro che perpetrare gli ordini dei creatori, riprodurre il ciclo come ci è stato insegnato. Siete voi che continuate ad evolvervi, a cercare una via d'uscita per sfuggire alla gabbia che voi stessi avete creato per sopravvivere. Smaniate per morire, questa è la verità, nelle maniere più oscene ed atroci possibili. Ciò che facciamo noi è cercare di fermarvi, di arrestare queste catene che vi spingono sempre verso la morte, di attenuare il calvario della vostra mortalità - rispose la Madre. - Ora però sei di nuovo al sicuro, ora sei tornato da me, vieni qui, sdraiati sulle mie ginocchia, lascia che ti liberi dal fardello di tutti quei pensieri, di tutte quelle smanie, di tutte quelle colpe. Sdraiati sulle mie ginocchia e riposati, è arrivato il tuo momento.
Sentivo il Grillo urlare, esagitarsi, cercare in ogni modo di tenermi lontano da quel dolce e freddo lettino, da quelle solide mani che mi avrebbero divelto il cranio, esplorato il cervello, che mi avrebbero cancellato, che ci avrebbero cancellato entrambi. Di nuovo però mi sentivo calmo, attirato da quel giaciglio come lo ero stato dall'altare della cattedrale di Ojern.
"Non farlo, allontanati, ti prego" mi sussurrava il Grillo, direttamente nei pensieri.
Eppure il mio corpo si avvicinava irresistibilmente a quel lettino di metallo, a quel grembo materno cui sentivo di essere sempre appartenuto, in cui sentivo che si sarebbe spenta ogni mia fatica.
Fu in quel momento che il Grillo balzò in avanti, strappandomi il controllo del mio stesso corpo per trascinarmi fuori da quella stanza, dove Medinda lo attendeva, arma in pugno, per battere in ritirata.
Di nuovo tutto si fece confuso, cercai di ribellarmi al Grillo, di ribellarmi al Vuoto Antistante, eppure qualcosa mi impediva di farlo. Mi sentivo immerso in una sorta di melma nera che mi avvolgeva, che mi soffocava.
"Il cielo...?" pensavo, avvolto in quella sostanza ostile. "Il cielo nero si è riversato sul Vuoto Antistante"
Potevo riemergere solo per ammirare la realtà, per vedere il Grillo farsi largo nel giardino del Campidoglio accanto a Medinda.
Stavano combattendo spalla a spalla, lui e il vecchio rivoluzionario, affrontando un'orda di piccoli droni di sicurezza che gli volavano attorno, sparando a più non posso tra gli alberi e la vegetazione martoriata. Il Grillo li abbatteva con la propria frusta, compiendo grandi balzi nell'aria, sfruttando i tronchi degli alberi per muoversi in orizzontale, Medinda gli stava alle spalle garantendogli copertura, abbattendo i droni con mitragliate precise del suo fucile.
- Ora che tutta la base è allertata cosa pensi di fare? - esclamò Medinda, tra una mitragliata e l'altra.
- Tra poco arriveranno altre guardie, prima di allora dobbiamo essere almeno alle spalle del Campidoglio, passeremo dal tetto.
- Dal tetto? - domandò Medinda, abbattendo un altro Drone. - E sia, mi fido di te.
Il Grillo balzò di lato, evitando una scarica di proiettili, ed abbatté il drone che l'aveva attaccato quasi all'istante.
Le mura del campidoglio erano poco distanti, si potevano vedere, stagliate sullo stellato cielo notturno, tra le fronde mobili degli alberi: oramai mancava poco.
Sfruttando la sua incredibile velocità e la spinta degli stivali, il Grillo apriva la strada senza difficoltà, piroettando tra i coni di proiettili con la grazia dell'insetto da cui prendeva il nome, rotolando tra erba e cielo con la frusta stretta tra le mani, abbattendo interi gruppi di droni prima ancora che potessero prendere la mira su di lui.
Lo osservavo consapevole che non sarei mai riuscito a muovermi nella stessa maniera, che mi mancava la chiave per sfruttare i miei stessi muscoli e riflessi con la prontezza con cui lo faceva il Grillo. Lui era tutta l'abilità, la destrezza e la scaltrezza che mi era sempre mancata.
Le guardie stavano scemando dai muri, erano una squadra di almeno venti membri, forse di più, ma prima che riuscissero ad essergli addosso il Grillo afferrò Medinda per la vita, lanciò il rampino e scomparve verso l'alto rannicchiandosi tra i cornicioni dell'alto palazzo governativo.
- Ci metteranno un po' a capire che siamo qui sopra - sussurrò il Grillo, guardando verso il basso.
Il sinistro e gigantesco edificio si estendeva verso l'alto per molti tenebrosi piani, sopra di loro, ma il grido della sirena di allarme faceva presagire lo scalpiccio di agenti che si stavano radunando presso la struttura.
- Che cosa dovremmo fare ora? Chiedi al tuo maledetto bot se c'è un modo per entrare - disse Medinda.
Il Grillo guardò la testa penzolante al suo fianco.
- Gli appartamenti di Munillipo si trovano in alto, al centro dell'edificio, è il luogo più sicuro e protetto del palazzo - disse la testa di Guyro. - Tuttavia il piano non si può raggiungere dall'esterno, esiste un unico ascensore che collega gli appartamenti di Munillipo alla camera del senato.
- Quindi dobbiamo farci largo fino alla camera del senato? E' una pazzia bella e buona. Da qui non possiamo più andare avanti, scappiamo, abbiamo già tutto il materiale che ci serve, non ha senso sacrificare anche le nostre vite, lo dobbiamo anche a quelle due ragazze.
Il Grillo guardò ancora una volta verso l'alto e poi verso il basso, dove già le guardie scemavano per rientrare nel palazzo.
- No, io non... - ma non riuscì a terminare la frase che un fischio ed un'esplosione tinsero il cielo notturno di rosa.
- Un fuoco d'artificio... - mormorò Medinda. - I miei uomini, i miei uomini ci fanno sapere che sanno che stiamo combattendo qui! - sorrise, con gli occhi pieni di gioia.
- Che cosa significa quel segnale? - domandò il Grillo.
- Che è iniziata la nostra controffensiva. Testa, dov'è la centrale comandi per disattivare le misure di sicurezza esterne? Possiamo arrivarci senza essere visti? - ridacchiò Medinda. Tutta la paura e lo sconforto di pochi istanti prima sembravano essere scomparsi, sostituiti da una specie di ghigno folle.
- No, ascoltami, che cosa sta succedendo? - ringhiò il Grillo.
- Veramente pensavi che sarei venuto qui con te senza provare un attacco diretto? Era ovvio che avrei organizzato qualcosa. ho 250 uomini pronti all'azione e li ho messi in allerta tutti, gli ho detto di tenere d'occhio il campidoglio e di agire qualora avessero sentito degli spari.
- Sei un pazzo - ringhiò il Grillo. - Moriranno come mosche sulle difese perimetrali.
- Non morirà nessuno se disattiviamo le difese e li facciamo entrare insieme a noi.
Il Grillo guardò il volto distorto e paonazzo di Medinda, aveva gli occhi fuori dalle orbite, a fatica conteneva l'eccitazione.
"Del resto non abbiamo mai pensato di tornare da dove siamo arrivati" pensò, guardando le alte mura fortificate dove già alcuni soldati si stavano appostando alle torrette, pronti ad indirizzarle verso il giardino alla ricerca proprio di loro due.
- E va bene, Testa dove si trova la sala comandi dei dispositivi di difesa? - domandò il Grillo.
- Penultimo piano, l'intero settore è dedicato al controllo degli apparati di difesa. Esiste un accesso esterno raggiungibile passando dai condotti di areazione sul tetto.
- Di nuovo condotti di areazione - mormorò il Grillo. - Sei pronto?
- Mai stato così pronto - disse Medinda, stringendo il fucile.
Mentre io ero diventato un impotente spettatore del mio stesso corpo, il Grillo scalava il grande palazzo del campidoglio con Medinda aggrappato alle spalle. Mano a mano che salivano, scalando quella nera superficie, diventava sempre più evidente il caos che si stava scatenando in città, fiumi di fuoco avevano invaso ponti e passatoie, in più punti si combatteva, esplodevano colpi, si udivano grida, esplosioni.
- I miei ragazzi stanno facendo un ottimo lavoro - si complimentava Medinda, accogliendo tutto quel caos con un sorriso.
- Non posso dirmi d'accordo - discordò il Grillo, la cui espressione tradiva le ombre delle mie stesse preoccupazioni.
Arrivati in cima all'edificio il caos, tutt'attorno, aveva raggiunto il suo apice tant'è che persino gli agenti sulle mura avevano iniziato a sparare.
- Dobbiamo muoverci, non resisteranno molto tempo - sibilò Medinda, andando a cercare l'ingresso dei condotti di areazione.
Il Grillo invece esitò, le luci dell'insediamento alle spalle, il caos che si scatenava sotto di lui.
- Tutto è andato come non volevamo che andasse - mormorò nel vento, quasi si aspettasse una mia risposta.
Calarono attraverso i condotti, stavolta fu una discesa a picco, un passaggio rapido verso quel ventitreesimo piano fatto di mura piene di schermi, scritte scorrevoli e corridoi immersi nel frastuono delle sirene.
- Tutti sono nel caos - mormorò il Grillo, osservando le guardie muoversi frenetiche nella sala di controllo.
- Come ci muoviamo? - domandò Medinda.
Il Grillo frugò nel suo zaino e ne estrasse due granate cilindriche.
- E' arrivato il momento di sfoggiare il nostro armamentario - rispose il Grillo, passando una granata al rivoluzionario.
- E se fossero... di metallo?
- Loro li dovremo affrontare singolarmente - rispose il Grillo, - per ora atteniamoci ai piani.
Le granate caddero sul pavimento lucido della sala controllo emanando un fumo bianco e denso. Gli uomini furono presi quasi subito dal panico, correndo e saltando in giro come disperati per collassare dopo pochi passi, scomparendo tra il fumo prima ancora di vedere Medinda e il Grillo scendere dal soffitto, svenendo prima di rendersi conto di ciò che accade.
- Ha funzionato? - domandò Medinda, guardandosi attorno con il volto nascosto dalla maschera antigas.
- Non ancora - rispose il Grillo, - ce ne sono due ancora in piedi, guardati le spalle.
Medinda sollevò il fucile, cercando le due figure nell'aria intrisa di fumo ma nulla sembrava muoversi.
- Sei sicuro che ci siano?
- Sì, Testa non può sbagliare.
Non finì di dirlo che una lama retrattile comparve dal fumo bianco e dietro di essa il ghigno di quella che sarebbe potuta sembrare una donna umana in tutto e per tutto.
Il Grillo deviò il colpo con il bastone piazzandosi al centro della guardia del modello, direttamente di fronte a lei mentre con un rapido movimento srotolava la frusta avvolgendo il braccio dell'essere per torcerlo in avanti in una proiezione che la spinse a terra.
Intanto Medinda aveva iniziato a fare fuoco contro il suo avversario, che però era già scomparso, indietreggiando nel fumo.
- Come stai Medinda? - domandò il Grillo, mentre con un colpo alla base del capo disattivava il Modello appena sottomesso.
- L'ho preso... ma anche lui ha preso me - disse Medinda, mostrando la spalla insanguinata. Era stato colpito all'altezza della spalla, quasi sul collo, a pochi centimetri dalla giugulare. - Il bastardo è preciso.
Il Grillo fece tornare la frusta in forma di bastone e si guardò attorno, anche ora che tutti erano addormentati gli allarmi non avevano ancora smesso di suonare e luci intermittenti rosse interrompevano il dolce ondulare del fumo.
- Eccolo! - esclamò Medinda, facendo fuoco alla destra del Grillo.
Con una destrezza sopraffina, il Grillo si volse in direzione del nemico allungando la frusta per colpirlo al busto. Il Modello, ancora in volo, finì scaraventato a terra. Stavolta fu Medinda a lanciarglisi addosso, infilandogli il fucile in bocca fece fuoco, aprendone la testa metallica in un fiume di scintille finché il modello non smise di muoversi.
- Uno pari! - commentò l'uomo, con un moto di orgoglio.
- Non abbiamo tempo per gareggiare, tra poco ne arriveranno altri - disse il Grillo, cercando tra le consolle quella che faceva allo scopo. La trovò quasi subito, iniziando a digitare comandi su un computer che vomitava interminabili stringhe di caratteri verdi.
- Come va la spalla? - domandò il Grillo, dopo pochi istanti.
- Dolorante e sanguinante, ma non mi ammazzerà - rispose Medinda.
- Allora mettiti sulla porta, qualunque cosa succeda devi darmi almeno cinque minuti.
- Cinque minuti! - rispose il rivoluzionario. - Ricevuto, conta su di me!
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Cybervert
Science FictionUn viaggio in un mondo in esaurimento, in una società spaccata tra esseri umani e automi, nelle perversioni di un uomo attratto dalle macchine.