Combattere senza il Grillo sarebbe stato pericoloso, forse folle, ma non c'era altra possibilità se volevo uscire da quella situazione.
Dopo aver salutato per un'ultima volta Dicromato ero veramente solo, solo in mezzo a quelle anime metalliche, diventate improvvisamente così indifferenti, che mi stavano portando rapide verso la fine della mia avventura.
Ricercato. Cosa era veramente successo?
Mi guardai attorno, la cava si stava lentamente aprendo su uno spazio sotterraneo più grande dove grossi motori borbottavano tra il battito costante dei martelli pneumatici. Lentamente attorno a noi iniziarono a comparire aperture laterali, caverne dalle quali fila e fila di Loro uscivano trasportando cisterne di varie dimensioni.
Era come entrare nel brulicare di un formicaio dove dozzine di formiche cromate si muovevano con una velocità ed una precisione incredibile alternandosi al lavoro in maniera ininterrotta. Efficienti, ordinati, quasi sinuosi li vedevo entrare ed uscire dalle varie officine con carichi di minerali grezzi che sarebbero diventati pochi grammi di materiale, una volta passate attraverso il calore degli altiforni che brillavano degli schizzi di pietra fusa. Grossi contenitori di metallo spesso brillavano nella tenebra, ricolmi di un fuoco infernale, figlio di una tecnica antica come l'uomo.
Ripensai alle Ciminiere, alla maniera in cui le vedevo espirare fumo e lapilli nella notte, dall'alto dell'insediamento, quando ancora desideravo il primo di Loro e il costume non era ancora completo, mai avrei immaginato un giorno di trovarmi lì sotto, in quel tumulto di vite cromate che sembrava infinito.
Superammo ben presto l'area delle lavorazioni inoltrandoci tra altri passaggi bui fino a raggiungere ed attraversare una zona di stoccaggio costituita da profonde camere adibite a magazzini scavate direttamente nella roccia.
Sbarre, lastre, lingotti, rotoli, la quantità di materiali estratti dai minerali era impressionante, eppure non bastava comunque a sorreggere il fabbisogno dell'insediamento e di tutti i Modelli che lavoravano per esso.
Qui la frenesia era minore, solo poche squadre si occupavano di spostare i pezzi tramite carrelli su rotaie per portarli verso l'esterno, seguendo il nostro stesso percorso.
Infine arrivammo in un grande scalo e capii subito che altro non era se non la controparte di profondità di quello che conoscevo così bene. Capii di essere molto vicino al Depuratore e contemporaneamente anche vicino allo Scalo delle Officine, tuttavia esisteva un terzo scalo, in ombra, sul cui montacarichi venivano caricate un gran numero di casse e pallet colme di materiali.
La comitiva si fermò al centro di quel piazzale di stoccaggio iniziando a vuotare le proprie cisterne in container di stoccaggio più grandi destinati questa volta al Depuratore, alcuni si dispersero, altri si avvicinarono a me ma fu ER-138 a rivolgermi la parola.
- Tra poco salirai su quel montacarichi e raggiunta la cima verrai arrestato - mi disse, indicandomi il terzo montacarichi, quello che non avevo idea dove conducesse.
- Sei sicuro di non potermi lasciare libero?
- Purtroppo la mia programmazione me lo impedisce.
Mi misi a sedere sulla mia lettiga, ancora retta dai due Modelli, anche se avevo fatto molti esercizi per non far intorpidire i muscoli mi resi subito conto che quel viaggio mi aveva indebolito molto di più di quanto pensassi. Avrei avuto la stessa agilità di un tempo? Forse, ma dovevo mettercela tutta.
Infilai gli occhiali ed attivai gli stivali a gravità alterata, era il momento, l'unico momento buono per sfuggire.
- Allora dovrò impedirtelo io - mormorai.
ER-138 dovette intuire costa stavo per fare dato che fece un passo indietro, ma lo stesso non fu in grado di impedirmi di balzare giù dalla lettiga e spiccare il volo, quasi un rimbalzo, mimando lo stesso arco nell'aria che avevo visto fare la prima volta al Grillo, durante l'inseguimento sui Pontili. Ma in quel caso i miei inseguitori non erano umani, erano macchine, macchine eterne, macchine perfette, macchine con arti bionici migliori delle mie fragili giunture d'osso, dei miei delicati muscoli di carne.
ER-138 rimase fermo, chi si mossero furono i cinque modelli W che lo accompagnavano, gli stessi con le rifiniture in metallo scuro ed i corpi in lega massiccia, quelli che Dicromato mi aveva indicato come i modelli militari.
In un istante mi furono addosso, circondandomi alla velocità del suono, scivolando sull'aria più che correndovi attraverso, in una furia meccanica che si rispecchiava nei loro occhi, rossi come il fuoco.
Nessuno di loro era armato, del resto non era di uccidermi l'ordine con cui erano stati programmati, ma lo stesso non mi avrebbero lasciato scappare, non facilmente.
Ancora prima di atterrare ero già circondato, accerchiato da cinque avversari più grandi e potenti di me che non potevo colpire ma solamente evitare. Di nuovo rimpiansi l'assenza del cilindro e la mancanza del Grillo nel gestire quelle situazioni, ma lo stesso le sue antenne mi strinsero il capo e le sue zampe si allungarono sulle mie fornendomi la guida di cui avevo bisogno.
Muovendomi il capo riusciva ad indicarmi quale nemico guardare, quale affrontare, quale scansare, stimolandomi i muscoli mi suggeriva i movimenti migliori, i balzi più convenienti, le schivate più efficaci.
Volavo come una piroetta impazzita tra i pugni metallici dei modelli W, tra quelle saette che mi avrebbero frantumato.
Schivavo, nascosto tra i container pieni di materiali, attacchi su attacchi, scivolando tra i carrelli e le rotaie cercando di farmi strada verso il montacarichi del Depuratore, quello che per certo mi avrebbe condotto in un territorio a me conosciuto e soprattutto esterno alle Torri.
Ma per ogni metro che riuscivo a guadagnare ne perdevo almeno mezzo, finendo inesorabilmente di fronte ad uno di quei colossi che, rapidi come schegge, non smettevano di attaccare e attaccare senza sosta.
Il Grillo mi suggeri di sfruttare la spinta degli stivali verso il basso, proiettandomi in archi bassi attraverso gli agguati dei modelli W, questa si rivelò una strategia efficace anche se più di una volta rischiai di finire direttamente tra le braccia di uno dei miei inseguitori.
Sfruttai la superficie di cisterne e container per rimbalzare in avanti, percorrendo la strada in una linea casuale, improvvisata passo dopo passo per confondere i sensori dei modelli. Ovviamente non servì a nulla, erano macchine programmate per combattere contro gli umani, imprevedibili per natura, ed ogni mossa che intentavo veniva sempre e comunque anticipata.
Il montacarichi per il Depuratore si stava sollevando, luci intermittenti guidavano la sua risalita in diagonale verso lo Scalo.
"Ci siamo" pensai.
Dovevo solo infilarmi nel montacarichi prima che questi scomparisse del tutto, così avrei tagliato fuori i miei inseguitori per sempre.
Anche stavolta mi anticiparono, guidandomi quasi nella loro trappola quattro di loro si piazzarono di fronte a me, nascosti dai container, mentre il quinto mi inseguiva, spingendomi velocemente tra le grinfie degli altri.
In realtà per me, o meglio per noi, fu una tattica piuttosto palese, facile da prevedere e in qualche modo che riuscì a favorirci. Percorremmo quegli ultimi metri tutti d'un fiato, caricando gli stivali al massimo, pronti per l'ultimo balzo e nell'istante stesso in cui i modelli W uscirono dalle loro posizioni lo spiccammo con tutta la forza e la disperazione che avevamo in corpo. Volammo sui corpi scuri dei modelli W, sui loro occhi carichi di furia, volammo nell'aria scura, umida, ciechi da un occhio e sfiniti, volammo sull'orlo della disperazione, sul baratro cupo in cui gorgogliano demoni millenari, in quell'inferno intangibile che si nasconde nella tenebra del cuore della terra. Volammo su tutto questo e ci aggrappammo, alla fine, a quel bordo giallo e nero, quella superficie metallica e solida che voleva dire salvezza.
Diedi un colpo di gambe e balzai in cima giusto in tempo per vedere la parete rocciosa inghiottire le sagome dei container e dei miei inseguitori.
Sperai di poter riprendere fiato ma sperai male, non feci più che un paio di metri nello spazio tra i rifornimenti che dei colpi sordi fecero vibrare la superficie del montacarichi. Guardai verso il basso.
Erano sotto di me ed i loro pugni stavano deformando il metallo, dovevo sapere che non mi avrebbero lasciato scappare così facilmente.
Guardai la tromba del montacarichi, si elevava sopra di me in pendenza, una pendenza impossibile da scalare per un normale essere umano ma con i miei stivali ed i rampini era tutta un'altra storia.
Senza perdere tempo balzai verso la tromba, oltre il lento montacarichi ed i colpi vibranti dei modelli W. I muscoli spinti solo dalla disperazione, i sensi guidati dal Grillo, balzai tra una sporgenza e l'altra con un'agilità incredibile, con muscoli doloranti, alimentati dalla sola adrenalina.
Fu una scalata lunga, interminabile, accompagnata dal rimbombo dei colpi che i modelli W scagliavano sotto il montacarichi producendo un rombo incalzante, quasi una melodia drammatica.
Balzai oltre l'imboccatura dello Scalo quasi senza accorgermene, precipitando nell'oscurità, tra file e file di container in quello spazio sotterraneo buio e inconsistente in cui la guardiola dell'IS era l'unica oasi di luce, in lontananza.
Anche qui c'erano dei Modelli, forse già allarmati della mia fuga, dovevo fare attenzione.
Mi lanciai in quel labirinto di container guidato solo dalla luce della guardiola, mia stella cometa in quel tratto di disperata fuga, ma non feci molta strada che già carpii, con la coda dell'occhio, familiari lapilli di cromo, movenze nell'ombra che significavano solamente che la caccia non era ancora finita.
Alla fine due di loro si palesarono, semplici operai cromati, cercando di fermarmi con una mossa incrociata, attaccandomi da due direzioni in una sorta di tenaglia che però si rivelò completamente inefficace grazie all'arguzia del Grillo, che mi fece rallentare giusto pochi istanti prima permettendomi di schivarli con un balzo.
Atterrai che mancavano pochi metri alla guardiola e ai vicini ascensori.
- Ancora un ultimo sforzo - mormorai, spingendo gli stivali in avanti, verso una traiettoria bassa che mi avrebbe permesso di raggiungere direttamente uno degli ascensori.
"Un ultimo sforzo" pensai, mentre volavo al rallentatore verso quella porta aperta, quella luce rettangolare che sarebbe stata forse la mia salvezza. Ma mentre volavo un lungo fischio supersonico ammorbò il mondo e in un istante mi trovai a volare di fianco ad un modello W, spinto nell'aria da propulsori installati sulle gambe.
- Anche questo avete? - mormorai. - Propulsori? Quanto è ingiusta a volte la vita con noi bambole di carne.
Il modello sollevò un braccio cercando di colpirmi al petto ma mi colpì alla spalla, deviando la mia traiettoria e mandandomi a sbattere contro il vetro della guardiola.
Rotolai a terra tra frammenti di vetri rotti, il corpo dolorante, la schiena a pezzi.
- Finisce così, amico Grillo? Traditi da coloro che più amavamo...?
"Non ancora" disse la voce del Grillo, la stessa che avevo sentito nel Vuoto Antistante, mentre balzava avanti, trascinando la mia coscienza via dal mio corpo, calzandomi come un guanto.
"Non ancora" ripetei io, trasformandomi in un pensiero.
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Cybervert
Science FictionUn viaggio in un mondo in esaurimento, in una società spaccata tra esseri umani e automi, nelle perversioni di un uomo attratto dalle macchine.