Spinsi la grata, afferrandola al volo prima che precipitasse nel vuoto, poi mi sporsi lentamente, guardandomi attorno. Eravamo finiti in una sorta di vecchio magazzino dismesso, pieno solo di polvere e vecchie casse.
- Dove siamo? - sussurrò Medinda.
- Sembra un vecchio magazzino - risposi, di rimando.
- Nel campidoglio?
- Così sembra, lo scarafaggio ha spento le luci all'altezza di questa grata e se ne è andato.
- Maledizione... - borbottò Medinda mentre io già mi sporgevo oltre la parete cercando un appiglio per scendere.
Mi calai sfruttando la forza delle braccia e attutendo la caduta con gli stivali, rannicchiandomi tra gli scaffali alla ricerca di qualche presenza umana nella tenebra.
- Non c'è nessuno - bisbigliai.
Medinda comparve dall'apertura e anche lui si guardò attorno, poi trascinò i nostri zaini in avanti lanciandomeli uno dopo l'altro prima di calarsi a sua volta.
- Siamo dentro quindi? - sussurrò, una volta a terra.
Perlustrammo la zona, poche casse giacevano sparpagliate per la stanza, quasi tutte piene.
- Io riconosco queste casse - mormorai, studiandole meglio.
- Le hai già viste? - domandò Medinda.
Ne aprii una, per controllarne il contenuto.
- Come immaginavo, guarda, sono lingotti di metallo, gli stessi che vengono prodotti sotto le ciminiere.
- Lingotti di metallo? Sotto il Campidoglio?
Una luce alle nostre spalle si accese all'improvviso e con un sibilo una porta si aprì da qualche parte.
Ci rannicchiammo dietro la cassa che stavamo controllando giusto in tempo per veder passare, dall'altro lato del magazzino, un sintetico. Si trattava di una sorta di trasportatore automatizzato, simile a quello che avevo incontrato con Mali nel sottosuolo solo che questo si muoveva su binari anziché rimanere ancorato al soffitto. Passò senza fermarsi, sorreggendo un paio di pesanti casse sulle braccia sollevatrici, scomparendo dopo pochi istanti dietro un'altra porta simile alla prima.
- Che cazzo era quella roba? - domandò Medinda, tornando in copertura.
- Un modello industriale - risposi, - la conferma che il complesso in cui siamo è attivo e che questi lingotti vengono usati per qualcosa.
- Di nuovo macchine - mormorò Medinda a denti stretti.
- Di nuovo macchine - confermai, guardandolo. - Sei pronto?
- Onestamente no - rispose Medinda, traendo un lungo sospiro.
- Perfetto, perché non lo sono nemmeno io.Ci avvicinammo con cautela al punto in cui avevamo visto passare il macchinario, le grosse rotaie appese al soffitto indicavano che dovevamo trovarci in una sorta di struttura circolare, probabilmente un magazzino che circondava una qualche altro complesso interrato.
- Come possiamo essere nel Campidoglio? - domandò Medinda.
- No, la nostra posizione esatta è il magazzino interrato del laboratorio di biogenetica del Bigoverno - rispose la testa di Guyro.
- Di nuovo quel coso maledetto - sobbalzò Medinda.
Risi, mi stavo quasi dimenticando del Grillo e del suo nuovo giocattolo.
- Hai altre informazioni per noi?
- Guyro non conosce molto di questa struttura, ma sapeva dell'esistenza di un complesso totalmente automatizzato sotto le fondamenta del laboratorio di biogenetica governativo. Secondo le sue informazioni non dovrebbe esserci alcuna presenza umana in questo luogo, per cui uscire non dovrebbe essere così difficile. Non esistono bot di sorveglianza in giro e non dovrebbero esistere forme di intelligenza artificiale troppo evolute.
- Nient'altro?
- Guyro ha già visto questo tipo di Modello, in passato, secondo i suoi calcoli un modello del genere dovrebbe impiegare 15 minuti a svolgere un compito completo, quindi ci rimangono altri 12 minuti e 32 secondi prima che si ripresenti in questo magazzino.
- Le paratie tra un magazzino e l'altro come si aprono?
Il Grillo tacque per qualche istante.
- L'apertura è regolata dal passaggio del trasportatore - rispose.
- In sostanza ora dobbiamo aspettare che passi l'allegra locomotiva sotterranea per spostarci - commentò Medinda.
- Non proprio - risposi, guardando in alto.
- Che vuoi dire? - domandò Medinda.
- Ho un'idea. Se esiste un collegamento tra il trasportatore e i portelli ci sarà anche un sensore sui binari che gli permette di aprirli e chiuderli a piacimento - dissi, allungando il braccio verso l'alto per sparare il mio rampino.
- Quindi hai già una soluzione? - domandò Medinda.
- Ovviamente - risposi, trascinandomi verso l'alto.
Mi appesi con le gambe ad una delle rotaie ed iniziai ad esplorarle con attenzione mentre il Grillo scandiva il tempo prima del ritorno della locomotiva.
Come avevo immaginato esistevano dei sensori che potevano essere bypassati con facilità anche manualmente, ma oramai mancava troppo poco tempo per mettersi al lavoro, quindi rinunciai, scendendo per nascondermi in attesa del trasportatore.
L'attesa fu lunga, ben superiore a quella pronosticata dal Grillo, ma dopo il passaggio del modello riuscimmo a muoverci indisturbati, superando tre magazzini prima di fermarci una seconda volta e ricominciare tutto da campo.
In totale impiegammo due ore per superare il magazzino, che unite alle sei impiegate sottoterra mi fecero capire che saremmo affiorati in superficie a mattina inoltrata. Intanto eravamo arrivati al penultimo magazzino, un passo vicini alla banchina di movimento merci in cui il trasportatore caricava e depositava le sue casse.
Ne avemmo una fugace visione durante l'ultimo passaggio del trasportatore, quando le paratie si aprirono su un grosso piazzale in ombra in cui giacevano decine di casse e in cui si muovevano una manciata di trasportatori su ruote più piccoli, impegnati a sollevarle per portarle altrove.
- In che razza di posto siamo capitati? - mi domandò Medinda. - Come può questo posto fare parte del Campidoglio? Cosa c'entrano queste macchine con il laboratorio di biogenetica?
- Come può il sotterraneo di Galeiana appartenere all'insediamento? - risposi. - Non lo so, è evidente che l'intero insediamento in passato funzionasse in maniera differente, che un tempo le macchine fossero anche e soprattutto dentro l'insediamento. Comunque è una cosa di cui ci occuperemo domani, ora dobbiamo riposare, è troppo tardi per proseguire oltre - suggerii.
- Stai scherzando? Siamo a un passo dall'ingresso, poi come pretendi di riposare?
- Siamo distrutti, abbiamo combattuto, abbiamo strisciato tra la polvere e viaggiato tutta la notte, non sappiamo quanto ci resti più avanti e qui siamo abbastanza tranquilli da poter riposare.
- E se il trasportatore dovesse entrare in questa stanza?
- In quel caso potremmo anche approfittare di un passaggio gratis verso l'interno - risposi, mentre un'altra idea mi balenava nella mente.
Decidemmo di riposare a turno, vigilando sulle rotaie in attesa dell'arrivo del trasportatore. La mia idea era di approfittare della prima occasione per infilarci in uno dei contenitori e venire trasportati all'interno lì nascosti. Non era facile, ma nelle due volte in cui avevo casualmente assistito al prelevamento di una cassa avevo notato che le rotaie sul soffitto si modificavano in conseguenza al bersaglio scelto dal caricatore, offrendo una trentina di secondi per intuire quale sarà l'obiettivo del trasportatore.
Spiegai il mio piano a Medinda, che lo ascoltò in silenzio, approvandolo con brevi cenni del capo.
Ci procurammo una cassa e la vuotammo per una buona metà, liberando abbastanza spazio per entrambi senza alterarne troppo il peso. Alla fine la mettemmo su un vecchio carrello a rotelle, un sinistro rimasuglio di un tempo in cui anche gli umani si affaccendavano in quel luogo. Infine ci appostammo dietro la cassa, al sicuro da eventuali sensori e liberi finalmente di riposare per qualche ora. Lasciai a Medinda il primo turno di riposo e mi sedetti accanto a lui, osservando le rotaie sull'altro lato del magazzino.
Passai le ore successive a studiare i movimenti del caricatore, ad ammirare le sue fattezze. Benché molto simile a quello che avevo incontrato con Mali, sottoterra, la carrozzeria di questo era costituita ancora di un metallo perfetto, intonso, verniciato in giallo e nero, perfetto nella sua intera struttura, costituita dalle due lunghe braccia e dal busto umano, pendente dal centro, i cuoi occhi meccanici erano i veri sensori alla guida di quell'apparato. Anche stavolta ne rimasi estasiato, stravolto dalla fascinazione che un essere così antico, così bello, così perfetto, esercitava su di me.
Mi domandai se questo potesse pensare, se avesse quella capacità che all'altro essere mancava del tutto, se disponesse di una banca dati, se avesse ancora delle direttive originali e più volte volli fermarlo solo per poter vedere la sua reazione, per poter capire se esisteva un'intelligenza evoluta sotto quella splendida corazza lucida.
Passò almeno una dozzina di volte durante il mio turno di veglia e lo sognai, quando mi venne dato il modo di riposare, sognai quello stesso luogo ma in un futuro distante, in cui la sabbia sarebbe penetrata nell'insediamento scavando il terreno fino a sfondare in quel luogo, in quel magazzino, lasciando il trasportatore a vagare sui suoi binari, confuso, senza più casse da caricare, senza alcuna merce da spostare, solo ed eterno vincolato a quelle esili traversine sospese, quei binari di metallo che erano contemporaneamente le sue gambe e le sue catene. Lo immaginai guardare il sole attraverso il soffitto sfondato, ammirare le mille tonalità del cielo al tramonto imprigionato nei suoi sotterranei e percepii la sua tristezza nei confronti di quel mondo tanto grande e tanto deserto, di quel cielo immenso, azzurro, eppure vuoto.
Medinda mi svegliò in quel momento, senza dire una parola mi indicò il caricatore, impegnato ad attraversare i binari verso l'interno della stanza. Senza perdere un istante Medinda spinse la cassa vuota che avevamo preparato all'altezza di quella che aveva stimato fosse l'obiettivo del modello mentre io, superandolo, mi impegnavo a spostarla dal suo posto, pronto a sostituirla con quella che avrebbe dovuto ospitarci.
Quando trascinai la cassa fuori dalla pedana il caricatore si fermò e vidi i suoi sensori cercarci nell'oscurità, ma Medinda fu abbastanza rapido e prima che il sintetico potesse individuarci eravamo già nella nuova cassa, rannicchiati l'uno contro l'altro in attesa di essere sollevati.
Nel buio e nello stretto spazio il tempo sembrò dilatarsi all'infinito tanto che, per un attimo, temetti che i nostri conti fossero sbagliati e che il caricatore avesse sollevato la cassa accanto, invece venimmo sollevati con uno scossone e trasportati via, in alto, fino alle rotaie principali, poi oltre, all'interno del magazzino principale.
Ci imponemmo di non uscire, del resto era solo il primo pomeriggio, così rimanemmo immobili, in silenzio, riposando a turno nonostante la posizione scomoda, attendendo di essere trasportati altrove.
Era circa metà pomeriggio quando sentimmo la cassa muoversi con una vibrazione, stavolta non venivamo trasportati in alto ma caricati su una qualche piattaforma mobile che ci trasportò attraverso tunnel e stanze sotterranee che non potevamo vedere ma solo percepire attraverso i sibili dei saldatori, gli sbuffi dei pistoni idraulici, il borbottare dei motori.
- Siamo su un rullo trasportatore in una sorta di fabbrica - mormorò Medinda, con tono più interrogativo che affermativo.
Ci muovevamo verso il centro dell'edificio principale, in un crescendo di rumori meccanici che si interruppero all'improvviso, dietro quello che sembrava il suono di una paratia o di un portone insonorizzato.
Lì la cassa si fermò e solo un rumore distante tradiva la presenza di qualcosa di meccanico.
- Siamo arrivati? - mi domandò Medinda.
- Direi che è ora di scoprirlo.
Sollevai il coperchio della cassa, ci trovavamo in una grossa stanza circolare ingombra di casse che due modelli umanoidi svuotavano in maniera costante, gettando i lingotti in quella che sembrava una sorta di caldaia mentre un grosso braccio meccanico ancorato al soffitto disegnava raggi di luce azzurra su una piattaforma generando quello che sembrava essere un motore ionico.
- Che razza di roba è mai questa? - mormorò Medinda.
- Sembra una sorta di stampante... sta creando pezzi di ricambio - risposi.
- Ma non ha senso, e allora tutto il lavoro delle officine...
- Lavoro inutile, pesante, fatto sfruttando una tecnologia assurdamente vecchia - dissi, - anche questo deve avere un senso, ma in questo momento non mi sembra il nostro problema principale, tu vedi delle uscite?
- C'è quel nastro trasportatore su cui caricano i pezzi finiti - mormorò Medinda, - ma non vedo nessun altro passaggio.
- Eppure deve esserci.
- Aspetta, vedo una scala - disse, indicandomela.
- Deve essere la scala di manutenzione del braccio meccanico, forse l'uscita è semplicemente alle nostre spalle - sussurrai, richiudendo la cassa.
- Quindi come ci muoviamo?
- Usciamo e sgattaioliamo tra le casse finché non troviamo un modo per uscire da qui senza essere notati, il resto lo improvvisiamo come al solito.
E così agimmo, scivolando fuori dalla cassa ci nascondemmo nell'ombra, cercando una via d'uscita papabile per quel luogo. Come avevo immaginato le scale conducevano ad una complessa struttura ancorata al soffitto che doveva essere il processore centrale di quella strana macchina capace di convertire semplici lingotti in strutture complesse, di una precisione sopraffina, perfette riproduzioni di componenti bioniche. Era incredibile osservare quel macchinario bruciare ingenti quantità di energia per replicare quasi dal nulla parti complesse di solido metallo, forse persino più solide e funzionali di quelle prodotte nelle officine di superficie.
Ero proprio immerso in quei pensieri quando Medinda attirò la mia attenzione, aveva trovato un passaggio nascosto proprio dietro la pila di casse. Si trattava di una vecchia porta che giaceva inutilizzata da tempo, anch'esso un lascito di una passata presenza umana in quel complesso. Lo attraversammo trovandoci in una sorta di corridoio sospeso su una sala gremita di decine di Modelli, tutti impegnati ad assemblare componenti bioniche complesse con i pezzi che venivano vomitati da ogni parte, attraverso lunghi rulli trasportatori che dovevano provenire da decine di stanze identiche a quella che avevamo appena lasciato. Tutto l'ambiente era una distesa di bianchi e neri, di figure candide che si muovevano meccanicamente in un ambiente asettico, lavorando freneticamente al ritmo del propri stessi motori, nella sinfonia dei propri stessi sibili.
- Sembra una gigantesca fabbrica - disse Medinda.
- E questo corridoio deve essere un passaggio di supervisione ad utilizzo umano, a giudicare dalla polvere non viene utilizzato da decenni.
- Lì sotto invece... pensi che sia uno spazio asettico?
- Probabilmente, l'assemblaggio di componenti così complesse richiede uno spazio asettico, deve essere qui che vengono prodotti i pezzi di ricambio per i modelli della Pista.
- Io credevo non venissero più prodotti, che Munillipo stesso avesse proibito di farlo giudicando sufficienti le scorte esistenti.
- Sufficienti? Hai idea di quanti ce ne siano sotto le ciminiere e nel deserto?
- Quanti? Un centinaio? Duecento?
Risi e lo guardai.
- Stai scherzando vero?
Mi guardò senza cambiare espressione.
- Saranno migliaia, forse decine di migliaia.
Medinda impallidì.
- Così tanti?
- Non ne sai molto di Loro, vero?
- Non me ne sono mai interessato più di tanto, non credevo... tutto questo- mormorò, guardando oltre i vetri verso quel marasma di macchinari e modelli che si muovevano tutt'attorno a noi. - E se anche Munillipo... se anche Munillipo fosse una macchina? - domandò, guardandomi confuso.
Non risposi, non potevo dirgli che io lo sospettavo già da tempo, fin dal deserto, fin dalle parole di Gin, ma forse già da prima, forse il Grillo stesso lo aveva sempre sospettato mentre io ancora me ne disiniteressavo, mentre ancora agognavo solo abbracci e baci metallici, sognando la stretta ferrea di un solido corpo meccanico.
Non risposi, ma era chiaro che Medinda, nel mio silenzio, aveva letto ogni mio pensiero e forse oltre, avvicinandosi magari di un passo al motivo per cui lo avevo trascinato con me.
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Cybervert
Science-FictionUn viaggio in un mondo in esaurimento, in una società spaccata tra esseri umani e automi, nelle perversioni di un uomo attratto dalle macchine.