I Vot visti dall'alto

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Di nuovo mi risvegliai tra le fresche lenzuola del mio letto stanco e confuso, immemore del nostro ritorno a casa. 
Stare nel vuoto antistante era una sensazione strana, una sorta di camera di deprivazione sensoriale inserita nella mia coscienza. Quando ero in quello stato dell'essere e il Grillo controllava il mio corpo, pensieri, coscienza, tempo ed emozioni si mescolavano in una strana amalgama che rendeva difficile ricostruire i ricordi secondo qualsiasi filo logico.
Ricordavo poco o niente di come fossimo riusciti ad evadere dal magazzino e ancora di meno di come fossimo scappati dall'area del Depuratore per tornare nei Vot. 
Mi alzai dal letto ancora nudo, avevo i muscoli di gambe e braccia doloranti, sentivo schiena e pancia irrigiditi. 
- Chissà quanta roba hai portato a casa, maledetto, per ridurmi in questo stato... - mormorai, trascinandomi verso il bagno. 
Sentivo le antenne del Grillo solleticarmi il collo, stava ridacchiando, cosa che non gli sentivo più fare da parecchio tempo. 
- Immagino che stanotte ci siamo chiariti, in qualche maniera. 
Il picchiettio delle sue zampe confermò la mia tesi, non era più nervoso, oggi era rilassato, quasi felice.
 
Anche se non avevo ospiti mi preparai un infuso guardando il sole, fuori dalla finestra, illuminare l'intensa attività che già iniziava ad animare orti e ponti sospesi all'interno dei Vot.
Come erano belli i quartieri stratificati quel giorno, nel poetico incastro di alti palazzi decorati di fiori, piante ed edere rampicanti che pendevano verso il basso vedevo una vita felice, uno sciamare di uomini e donne persi nella propria quotidianità, nella calma vita di tutti i giorni, inconsapevoli di ciò che sarebbe stato il loro destino.
Il nostro destino. 
Le parole di Naftalia mi risuonavano ancora in testa insieme a quelle del buon vecchio Malaeva. Era strano che entrambi pensassero lo stesso, che entrambi avessero quella profonda consapevolezza che la fine era vicina, che il mondo presto si sarebbe arrestato per sempre. Dal canto mio, alla luce del giorno, quelle parole mi sembravano sempre più distanti, sempre meno concrete. No, non credevo che la fine sarebbe venuta né che fosse vicina, la razza umana avrebbe superato anche questo ostacolo, il pianeta ripartirà e noi con lui. Forse in questo, e solo in questo, Munillipo aveva ragione. 
Osservai a lungo la finestra del mio ex piantonatore, ancora buia e vuota, confermando una volta per tutte che ero di nuovo libero, che il maledetto Obasi mi aveva finalmente lasciato in pace.  
Terminato l'infuso lasciai il bicchiere vuoto sul tavolo e mi rivestii alla veloce, nonostante la calma che respiravo ero abbastanza in ritardo, ma senza alcun controllo esterno potevo evitare di prendere l'Elobus e tagliare per i tetti, come era mia vecchia abitudine, cosa che mi avrebbe fatto guadagnare più di dieci minuti buoni per raggiungere il checkpoint delle Torri anche senza gli stivali. 

Saltare sui tetti, in quella mattina di tiepido sole, era la riscoperta di una vecchia sensazione che aveva un sapore nuovo, il sapore della ritrovata libertà che mi allietava il cuore. Basta serate nascosto in casa a fingere di essere una persona normale, basta pedinamenti di Obasi, basta paure, ansie, febbrili passioni soffocate. Da quella sera avrei visto Naftalia ogni notte per tutte le notti della mia vita, avrei potuto avere il suo corpo ed il suo tocco ogni volta che lo desideravo. 
Anche il Grillo era felice per me, lo sentivo vibrarmi pieno di eccitazione sulla schiena, fremere all'idea di potermi di nuovo accompagnare in quelle scorribande notturne. 
Eravamo felici, felici come non lo eravamo stati neppure la sera in cui incontrammo Naftalia, quando per la prima volta il Grillo prese interamente il controllo del mio corpo per scortarmi fuori dall'insediamento. Felici come due bambini a cui è stato permesso di tornare a giocare con i propri compagni. 
Poi tutto cambiò all'improvviso. 
Atterrammo su una piccola balconata e da lì balzammo su un tetto piano, una specie di balconata piena di cavi tesi, panni stesi e orticelli in vaso.
Non c'era nessuno, solo bianche lenzuola ad asciugare nell'aria calda che sapeva di salsedine. Rallentai, incerto della presenza di qualcuno su quell'alta terrazza e camminai con attenzione verso l'altro lato dell'edificio dove sarei balzato verso il basso, mescolandomi alla fiumara di persone che si dirigevano a lavoro ma, appena arrivato di fronte alla balconata opposta, mi fermai, congelato da un sinistro senso di realtà che aveva colpito entrambi, sia me che il Grillo.
Di fronte a noi, a pochi metri da noi, dipinto in vernice rosa con uno stencil, c'era la nostra silhouette.
Ci avvicinammo lentamente, raggelati. 
Eravamo noi, non c'era dubbio, o meglio era il Grillo nel suo costume da spostamento notturno. Impossibile sbagliare. Le gambe allungate in un balzo, il cilindro con le antenne, le code di rondine del frac, gli stivali a gravità alterata e sotto la scritta "Grillo, ti stiamo cercando"

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