Un riflesso cromato balenò nel buio, su un oceano di stelle, una volta di luci sfocate si apriva su universi infiniti, mondi e proiezioni dell'essere attraverso cui cadevo in un volo eterno, ma era un precipitare buono, che non mi faceva paura.
Dove ero? Chi ero? Cosa mi stava succedendo?
Di nuovo qualcuno mi trascinava da qualche parte, di nuovo sentivo il corpo paralizzato, stretto in una morsa di dolore.
"Gin, sei tu?"
Di nuovo svenivo, piombando nella rassicurante tenebra, gemella dell'amata morte, mia ospite speciale che però sembrava attardarsi sull'ora del nostro appuntamento. Donna spietata e capricciosa, vergine ribelle che esasperava ogni mio desiderio. Sognai la morte, poi sognai Naftalia, il freddo delle sue mani bioniche, il grigio dei suoi occhi di piombo.
Riaprii gli occhi ed ero circondato da Loro, belli come lo erano in ogni mio sogno, visione e oscuro desiderio. Sentivo le loro mani toccarmi, lisciarmi la pelle, massaggiarmi la carne ferita, dolorante.
Deliravo? Stavo morendo?
Ero sdraiato su un grembo materno e la grande matrona meccanica mi scoperchiava il cranio, guardandomi dall'alto con un sorriso bambolesco. I suoi occhi di rame esploravano creste e solchi della mia materia grigia, ammirandoli con una sorta di meccanica curiosità. Stringeva, nelle sue molteplici mani destre, lunghi spilloni che mi conficcava nel cranio con mosse decise, producendo suoni netti, liquidi.
Loro, gli altri, continuavano a toccarmi, a massaggiarmi l'inguine dolorante, assumendo le forme cibernetiche dell'adorata Naftalia dandomi piacere, quasi a volermi distrarre dalla grande matrona che aveva già messo via gli spilloni per impugnare una pinza con l'unica mano sinistra. All'estremità della pinza sgambettava un esserino scuro, lungo pochi centimetri, disperato. Artigliando l'aria con le zampette nel tentativo di trovare una via di fuga e produceva un grido acuto, una richiesta di aiuto, forse una preghiera di pietà.
Ma la matrona calava la mano implacabile, avvicinandomi l'esserino al cranio scoperto per poi calarlo con una mossa decisa, tacendo il suo ultimo grido nel vivo della mia materia grigia producendo un suono secco, raccapricciante.
Riaprii gli occhi su un'alba celestiale, sui colori cangianti di un deserto fatto di pale e delle ombre oscure dei mulini a vento, allungatesi come dita riarse intenzionate a ghermirmi. Loro mi erano attorno, come nel sogno, ma stavolta non erano Naftalia, erano entità diverse, differenziate anche nel logoramento degli arti, nell'ossidatura dei componenti. Alcuni indossavano strane mantelle verdi che ne coprivano il corpo, altri si preparavano ad indossarle, tutti rivolti verso l'alba, tutti guardando il sorgere del sole.
Immaginai di stare ancora sognando, desideravo la navata della chiesa, i vecchi affreschi che avevo osservato nell'infanzia, i luoghi in cui correvo durante i giorni di festa, mia sorella...
Tutto ciò che vedevo invece era un cielo terso, un orizzonte ininterrotto e Loro.
- Le tue condizioni non sono più critiche, umano - disse la voce metallica di uno di essi.
Mi era comparso davanti come una visione, chinandosi sulla mia lettiga senza produrre suono.
Allungai una mano e gli toccai il petto, era freddo, reale.
Era un essere dalla pelle lucida e occhi ambrati, doveva essere un modello piuttosto avanzato visto che, anche senza copertura, disponeva di una certa espressività.
- E' normale che tu non riesca a parlare, al momento il tuo corpo deve ancora rigenerarsi completamente, ma tra poco starai meglio, ora cerca di rilassarti - sorrise, poggiandomi le mani sulle spalle ed invitandomi, gentile ma fermo, a rimanere sdraiato.
D'un tratto l'intero convoglio si rimise in movimento, quasi all'unisono tutti quelli che mi circondarono scemarono dalla mia vista. La mia lettiga venne sollevata e l'intera carovana iniziò a camminare. Riuscii a contare almeno tre cisterne, da quella posizione, ciascuna sospinta da almeno tre di Loro, anche se la carovana doveva essere molto più lunga di ciò che ero in grado di osservare.
Ancora non capivo cosa stesse succedendo, con precisione, né come fossi finito tra di loro, ciò che comprendevo era che stavo lasciando per sempre Ojern e i suoi misteri, oramai diventata una figura scura all'orizzonte, un ammasso di torri e palazzi che vibravano nella propria stessa melodia, in quel requiem che avevo avuto l'onore di ascoltare e che non avrei ascoltato mai più.
Riaprii gli occhi che era giorno inoltrato ed il convoglio procedeva ancora, spingendo le cisterne in un turbinare di vento e sabbia che schiaffeggiava gli estrattori facendo svolazzare le loro mantelle verdi.
Anche io ora ne avevo una addosso e mi restituiva un piacevole refrigerio oltre a ripararmi dal vento. Compresi allora che doveva trattarsi di vestiti speciali, vestiti che permettevano a Loro di muoversi nel deserto senza subire sbalzi termici, ma che ci facevano qui?
Cercai di attirare l'attenzione ma la mia voce era ancora ridotta ad un misero sospiro paragonato alla furia del vento, così tacqui, accontentandomi di osservarli, sperando che prima o poi mi sarebbe stata data una spiegazione.
Osservarli, del resto, era uno spettacolo meraviglioso: l'intero convoglio si muoveva come un essere unico, perfettamente coordinato. Ogni corpo meccanico si muoveva in simbiosi con il suo compagno che a sua volta si muoveva in simbiosi con il compagno successivo e così via, dalla punta alla coda, tutti erano coordinati alla perfezione. Di tanto in tanto quelli alla spinta si facevano sostituire da altri che li affiancavano e anche questi scambi avvenivano con una fluidità che rendeva il movimento quasi immediato.
Vederli lavorare era un incanto unico, una sorta di sordido piacere di cui si beavano tutti i miei sensi, ritornati a focalizzarsi su quel sordido piacere carnale che speravo aver abbandonato prima di inoltrarmi nel deserto.
Mi leccai le labbra. D'un tratto febbricitavo di desiderio, del desiderio che quegli esseri mi martoriassero, mi colpissero con i loro movimenti perfetti fino a fracassarmi la cassa toracica. Me ne vergognai quasi subito, o forse fu il Grillo a vergognarsi di me.
Ora che avevo ripreso di nuovo conoscenza mi rendevo conto che era sempre più debole il pizzichio delle sue antenne mentre diventava sempre più forte la sua presenza tra i miei sentimenti, tra le mie pulsioni.
Finii per addormentarmi di nuovo, stavolta nel calore di un sogno erotico, delle dolci fattezze di Naftalia.
Quando finalmente riuscii di nuovo a parlare eravamo oramai all'ombra dei monti ed il sole si stava nascondendo dietro l'orizzonte lasciando spazio alle sorelle stelle e alla madre luna, grande e lucente in quella sera tanto tersa.
Anche per il tramonto, così come per l'alba, Loro si fermarono fissando immobili l'orizzonte per alcuni lunghi minuti in un silenzio surreale, una sorta di muto cantico o forse una preghiera cibernetica esclusiva delle loro voci cibernetiche, di quei segnali radio che di nuovo non ero in grado di intercettare.
- Credo di potermi muovere a piedi - dissi, quando me ne fu data la possibilità.
- Il fatto che tu sia tornato a parlare è un buon segno, ma non abbastanza buono da affaticare un corpo biologico in condizioni così critiche.
Non mi opposi, sapevo di non poterlo fare, Loro erano programmati per preservare la nostra salute in ogni caso, anche a costo di forzarci per doverlo fare.
- Come avete fatto a trovarmi?
- Abbiamo sentito il tuo grido e siamo intervenuti, come da programmazione.
- Sì ma come avete fatto ad arrivare? Cioè, cosa ci fate fuori dalla zona delle Ciminiere?
- Seguiamo le rotte standard di raccolta liquidi, il deserto è pieno di squadre di raccolta, noi lo chiamiamo il ciclo lungo, ogni squadra sta fuori dalle due settimane ai due mesi, ma il rapporto litri/tempi di raccolta è ottimale.
- Quindi non scavate solo sottoterra?
- In parte, si chiama ciclo breve, ma il rapporto litri/tempi di raccolta è meno ottimale di questo quindi vengono adoperati entrambi.
- E come avete fatto a curarmi?
- Abbiamo dei kit di riparazione biologica standard in dotazione, due per ogni squadra, un tempo era un evento comune soccorrere esseri umani nei territori esterni, alcuni di noi dispongono ancora di programmazioni specifiche in quel senso, ma sei il primo che troviamo qui fuori da centocinquantadue anni, tre mesi e dodici giorni.
Non sapevo se ringraziarli o maledirli, per avermi trascinato lontano da Ojern, così mi limitai ad annuire.
- Quindi sapete molte cose del deserto e della vecchia Ojern.
- Non ci è permesso parlare di quegli argomenti - rispose.
- Perché non vi è permesso?
- Fa parte della programmazione standard.
- Programmazione standard? Cosa significa? Anche Naftalia me ne ha...
- Naftalia? - domandò. - Sei tu l'umano di SX-402?
- SX-402?
- Modello standard da divertimento sessuale, in produzione tra il 2323 ed il 2344 - rispose.
Ricordai che Naftalia mi aveva accennato a qualcosa del genere.
- Sì, è possibile, perché?
- Non mi è permesso darti alcuna spiegazione, debbo solo informarti che il tuo status all'interno della nostra comitiva è passato da superstite a prigioniero.
- Prigioniero... io?
- Non è dato a noi il compito di spiegare o giudicare, verrai condotto dai tuoi pari che stabiliranno la tua eventuale colpa, mi dispiace, lo faccio senza alcuna antipatia.
Mi guardai attorno, avevo acquistato abbastanza forze da poter camminare da solo, forse correre, ma improvvisamente gli sguardi di tutti erano fissi su di me, occhi rossi come il fuoco. Rimasi al mio posto, qualcosa avremmo trovato io e il Grillo.
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Cybervert
Science FictionUn viaggio in un mondo in esaurimento, in una società spaccata tra esseri umani e automi, nelle perversioni di un uomo attratto dalle macchine.