L'intragiornale non faceva menzione del Grillo, il giorno dopo, né di eventuali disordini nell'area dei Pontili. Niente di niente. Solo il quotidiano snocciolare dati su ipotetiche migliorie dell'ambiente, della grande abbondanza di cibo e di acqua garantite da Munillipo, delle notizie sui blackout controllati nelle varie zone dell'Insediamento. Nient'altro, niente di rilevante.
Ascoltavo le notizie con attenzione, controllandomi il corpo nudo allo specchio alla ricerca di eventuali segni, tagli o lesioni riportati dalla battaglia della sera prima.
Non ricordavo neppure come fossimo tornati a casa, come fossimo riusciti a sfuggire a quella trappola maledetta.
Ciò che avevo scoperto aveva confermato quello che Obasi mi aveva fatto intuire, ma lo stesso i dubbi rimanevano, a chi vendeva l'esplosivo? Perché mentire riguardo al partito? E come faceva il Grillo a sapere dove si trovasse la merce?
Quell'ultimo dubbio era quello che mi opprimeva di più, e lui lo sapeva.
Per la prima volta nella mia vita non riuscivo a sentirlo come una presenza amicale ma come un estraneo impiantato dentro la mia testa, abbarbicato sulla mia schiena. Non più il custode delle mie perversioni, non più il mio deforme santo protettore, ma un estraneo, forse addirittura un nemico, ora che poteva avere libero accesso al mio corpo.
Il campanello del mio appartamento suonò, facendomi corrugare la fronte.
Anche mentre mi coprivo per andare alla porta il grillo rimaneva immobile.
Aminata mi si lanciò al petto mentre ancora stringevo la maniglia. Piangeva e singhiozzava.
La consolai approfittandone per lanciare un'occhiata al mio piantonatore, era ancora lì, alla sua finestra.
- Che succede, dolcezza? - domandai.
- Scusami non sapevo da chi andare...
- Aspetta, entra, spiegami bene.
Arrivati nell'intimo disordine della mia abitazione la feci accomodare su una sedia nel mio misero angolo cucina. Affittavo un appartamento da scapolo del Vot, del resto, e ogni metro di spazio era risicato.
- Vuoi un'infusione? - domandai, dandole il tempo di calmarsi.
Presi qualche mestolo d'acqua dalla mia piccola cisterna e misi il bollitore sul fuoco. Le infusioni erano molto costose siccome richiedevano molta acqua per essere coltivate, ma non c'era famiglia dell'insediamento che non ne tenesse una scorta per gli ospiti, come insegnava il Simposio.
Feci bollire con precisione due tazze di infuso ed il suo aroma balsamico invase il piccolo appartamento.
- Grazie... - disse Aminata, le cui lacrime si erano oramai seccate lasciando solo un po' di singhiozzo.
- Allora, vuoi dirmi cosa ti ha sconvolta?
- Stamattina sono stata cacciata via dal Deposito, mi è stato ritirato il tesserino e non posso più lasciare le Torri.
- Cosa? Stai scherzando?
- Sembra che qualcuno rubasse delle scorte di materiale mentre io ero responsabile e... sono stata sbattuta fuori.
- Ti hanno detto chi sarebbe stato a rubarti le scorte? Come facevano a saperlo? Potrebbe essere anche uno dei Loro o qualcuno del turno di notte, no?
- Sì, potrebbe... - rifletté Aminata. - Io... io non so come mai abbiano pensato a me. O forse hanno anche cacciato quello del turno di notte. Sono così confusa...
- Tutti lo sarebbero... - risposi. - Ma non ti preoccupare - continuai, stringendole la mano, - vedrai che si risolverà tutto.
A quel punto sorrise anche lei.
La mia era una prova attoriale eccellente, un'abilità sviluppata in anni e anni di recite del genere ma questa era la prima volta che la facevo senza averne un tornaconto personale.
Presi i bicchieri vuoti, sparecchiando il tavolino, quando Aminata cambiò all'improvviso.
- Ero pronta a denunciarti, sai? - disse.
Mi congelai per un istante.
- Come mai? -
- Per tutti i pezzi che mi hai rubato mentre eravamo insieme.
Poggiai le tazze nel piccolo lavello e mi volsi a guardarla.
Il suo sguardo era diverso da prima, era più duro, più deciso, più cattivo. Mi trovavo di fronte ad una Aminata diversa, non il pupazzo di carne che avevo sempre sfruttato, non più la custode bruttina e schiva che avevo circuito per anni ma uno spirito scaltro.
Stavolta il Grillo si risvegliò dal suo torpore ma non per agitarsi o vibrare di terrore, stavolta lo fece per calmarmi, per sedare il mio nero istinto omicida con il massaggio delle sue antenne.
- Pensi che sia per cosa ho rubato io che ti hanno licenziata? - domandai, deciso a giocare a carte scoperte.
- Non lo so, ma non vorrei che ti capitasse qualcosa, non dopo come mi hai accolta - disse lei, lanciandomisi al collo. - Scusami per aver dubitato di te, quando mi hanno mandata via, stamattina, ho pensato che mi avessi usata per tutto il tempo solo per fare qualcosa di illegale, ma ora ho capito che non è così.
- L'ho fatto per non renderti veramente mia complice - risposi, ritrovando la lucidità per riprendere a recitare il mio ruolo.
Anche se oramai Aminata aveva intuito il mio gioco potevo continuare a sfruttarla e controllarla a piacere, cosa che ovviamente richiedeva un certo sacrificio, così presi a spogliarla, portandola verso il mio letto ancora sfatto e passammo tutta la mattinata insieme.
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Cybervert
Science FictionUn viaggio in un mondo in esaurimento, in una società spaccata tra esseri umani e automi, nelle perversioni di un uomo attratto dalle macchine.