Il piantonatore

6 2 0
                                    

La sera il mio piantonatore era ancora lì, sempre lo stesso, sempre vigile e attento ad ogni mio movimento. Lo ignorai come ero abituato a fare, così come ignorai anche il nervosismo del Grillo, sempre teso con le sue zampe picchiettanti contro la mia schiena e le lunghe antenne, vibranti, che si contorcevano dietro al mio collo. 
Sapevo che aveva molto da dirmi, così come io avevo molto da meditare.
Se Obasi stava veramente controllando le risorse del magazzino prima o poi sarebbe risalito ai miei stessi furti e forse avrebbe anche impiegato poco a capire che c'era qualcosa che non andava nella mia persona. 
Dovevo tenere nascosto il Grillo, le mie perversioni e trovare il colpevole della morte di Malaeva, tre cose difficili. 
Sedetti sul letto, ero sfinito, passare tutta la giornata a barcamenarmi tra quei pensieri mi aveva sfiancato in una maniera che non credevo possibile. 
Mi accasciai sul letto, ignorando sia il Grillo che i miei stessi nefasti pensieri riguardo la mia cattura come assassino o, peggio, riguardo il mio internamento in una struttura di rieducazione. Ripensai ai tempi in cui tutto era più sereno, quando il mio segreto era al sicuro e Malaeva mi conteneva, imbambolandomi con i suoi inutili discorsi politici su Munillipo, il Partito e l'odio viscerale verso di Loro. Più volte avevo temuto che il mio vecchio amico intuisse la portata delle mie perversioni, ma quelle paure ora impallidivano davanti allo spettro delle indagini di Obasi. 
Dovetti addormentarmi dato che quando riaprii gli occhi era già notte fonda ed i sensori a risparmio energetico, intuendo la mia assenza, avevano spento automaticamente tutte le luci della casa.
Mi sentivo strano, disorientato, in quel breve sonno dovevo avere sognato qualcosa che non riuscivo a ricordare ma che mi aveva dato un'ottima idea.
Mi avvicinai alla finestra che dava sul ponte sospeso, l'uomo non era più appostato alla finestra, ma dovevo rischiare. Andai in bagno e cercai a tentoni, nel mio armadietto dei medicinali, un paio di fialette in metallo bruno. Mi sforzai di leggere i nomi sulle etichette nella scarsa luce proveniente dall'esterno. Una volta certo di aver recuperato tutto, sgattaiolai fuori dalla finestra posteriore, la stessa che avevo imparato ad utilizzare dall'inizio di quella storia. 
Sospeso sul vuoto balzai verso il tetto antistante e da lì mi arrampicai attraverso i tetti fino al rifugio del Grillo. 
Lo sentivo sibilare in un angolo del piano in costruzione, ma non mi chiamava con la solita veemenza né mi sembrava più così agitato. 
Indossai cilindro e occhiali.
"Sei pronto?" mi domandò. 
- Ho tutto qui - risposi, mettendo i due cilindri sul banco da lavoro.
Mi misi all'opera all'istante utilizzando vecchie latte e bicchieri. 
Ero un chimico, anche se il mio ruolo riguardava più la sfera delle analisi, per cui non mi venne così difficile tirare fuori un sedativo da quei semplici medicinali.  Il Grillo del resto completava la lacuna delle mie conoscenze, come già aveva fatto durante la preparazione dell'attrezzatura, guidando la mia mano e aiutandomi a stabilire i dosaggi. Finita la preparazione misi il composto in una siringa.
- Certo, un dardo sarebbe stato meglio - commentai, guardando il contenuto semi trasparente del composto. 
"Me ne occupo io" rispose il Grillo, attraverso il cilindro. 
Indossai il vestito, i guanti e gli stivali, così vestito, se qualcosa fosse andato storto, non avrebbero potuto mai collegare il Grillo a me. Almeno non subito. 
- Sei pronto? - domandai, una volta terminata la vestizione. 
"Andiamo" mi rispose, prima di lasciarmi cadere verso il Vuoto Antistante.

Con gli stivali e i nuovi guanti, il Grillo era diventato ancora più padrone dei tetti dell'Insediamento. Ora era capace di librarsi in volo con maggiore agilità, con ancora maggior precisione, raggiungendo quasi all'istante altezze prima impensabili. 
In un attimo fummo sulla cima del palazzo in cui si nascondeva il nostro piantonatore e, calandoci con il rampino, arrivammo all'altezza della sua finestra. 
L'uomo sedeva di fronte alla finestra, al buio, la testa ciondolante nell'oscurità in una sorta di scomodo dormiveglia. 
Il Grillo forzò delicatamente la finestra alle sue spalle, sollevandola quel tanto che basta per infilarsi all'interno del piccolo appartamento disordinato. 
Il piantonatore non doveva essere un grande domestico viste le condizioni in cui aveva ridotto la casa in quei pochi giorni, piena di bottiglie, bicchieri e piatti sporchi sparsi ovunque. 
Questo richiese un'attenzione maggiore siccome, ad ogni passo, si rischiava di far vibrare, tintinnare o cadere qualcosa. 
Il Grillo si avvicinò con calma e pazienza, accorciando la sua distanza dall'obiettivo un centimetro alla volta. 
L'uomo russava, mormorava, spesso però si risvegliava  e si riassestava sulla sedia. Avevo il cuore in gola, benché sia il mio cuore e la mia gola ora fossero di proprietà del Grillo. 
Alla fine dopo dieci, interminabili, minuti, il Grillo arrivò alle spalle della sedia, nella sua ombra. 
Lo vidi estrarre la siringa, togliere il tappino e prendere attentamente la mira per poi attendere che l'uomo passasse in una fase di sonno più profondo, quando il corpo perde parte della propria sensibilità per cedere spazio al torpore del riposo. 
Quando il respiro dell'uomo si fece pesante, il Grillo scattò, lo afferrò e gli infilò la siringa nel collo. L'uomo non fece neppure un sussulto, passò da un torpore a un torpore più profondo, più nero, più definitivo. 
"Ci siamo" disse il Grillo, riaccendendo il cilindro. 
Il sedativo ci avrebbe dato dalle quattro alle sei ore di tempo per agire indisturbati, ma la prima cosa che sia io che il Grillo volevamo fare era capire di più della nostra situazione. Frugammo le tasche dell'uomo senza successo, poi facemmo lo stesso con il suo giubbetto, appeso nell'ingresso. 
Aveva un vecchio portafoglio di tela all'interno del quale trovammo il suo tesserino. 
"Publio Nbane, investigatore di quarta classe, distintivo di ferro"
Guardammo il corpo addormentato sulla sedia, come immaginavamo era uno dei compari di Obasi. 
Rimettemmo a posto il portafoglio e cercammo in giro altri documenti, altre scartoffie. Tutto ciò che trovammo era un taccuino, scivolato sotto la sedia di Publio, in cui erano elencati i miei orari di ingresso ed uscita, nient'altro, nessuna informazione personale, nessun pensiero, nessuna indicazione sul suo incarico. Niente di niente. 
Che anche questa fosse un'idea di Obasi? Che abbia previsto un'eventualità del genere? 
Forse sia io che il Grillo stavamo attribuendo troppa perspicacia a quel vecchio investigatore, ma la nostra paranoia, fino ad ora, si era rivelata uno scudo più che efficace per scampare all'arresto e così sarebbe sempre stato. 

Stabilito che oramai non avevamo più altro da fare lì, cambiammo il canale di ricezione della radio di quel tanto che bastava per non permettere alcuna chiamata in entrata ma non troppo, per dare un'idea di incidentalità della cosa. Subito dopo il Grillo decise di abbandonare l'appartamento, avevamo perso quasi un'ora per indagare su quell'appartamento e altrettanto ci sarebbe voluto per raggiungere la zona dei Pontili, questo significava che, per essere sicuri, avremmo avuto al massimo un'ora per effettuare le nostre indagini sul posto. 
Senza perdere tempo, il Grillo si arrampicò fin sul tetto dell'edificio poi, sotto una tonda e argentea luna piena, si lanciò tra i tetti in direzione del nostro obiettivo: trovare l'assassino di Malaeva. 

CybervertDove le storie prendono vita. Scoprilo ora