Inseguimento

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Erano almeno una decina, tutti ufficiali governativi, uomini di Malaeva, quindi mandati lì da Obasi. 
- Non ti muovere! - tuonò, Obasi stesso, comparendo alla nostra destra. 
Il Grillo abbassò lo sguardo mettendo il nostro volto all'ombra del cilindro. 
Obasi si teneva a debita distanza, lo stesso facevano i suoi uomini, guardando il Grillo con aria stupita e sorpresa. 
- Cos'è quel vestito? Una specie di scherzo? - domandò Obasi, incitandoci a rispondere scuotendo la pistola. 
"Io sono il Grillo" materializzò sul cilindro. 
Obasi si scambiò uno sguardo perplesso con i suoi uomini. 
- Cos'è non ce l'hai una voce? - domandò, facendo un passo in avanti. 
"No"  rispose il Grillo. 
- Va bene, basta, parlerai una volta... 
Il Grillo sollevò la mano, mostrando la panetta di esplosivo chimico.
"Ka-boom" comparve sul cilindro, insieme all'emoticon di una bomba. 
Gli uomini si gettarono a terra, solo Obasi rimase in piedi, digrignando i denti, mentre il Grillo lanciava la panetta a terra compiendo allo stesso istante un balzo all'indietro, sospinto dagli stivali a gravità ridotta, in una piroetta verso l'alto che gli avrebbe permesso di superare il cerchio di uomini.
Obasi digrignò i denti, iniziando a sparare, mentre la panetta rimbalzava sul terreno senza esplodere. 
- Non è esplosivo, imbecilli, lo abbiamo fatto sostituire! - esclamò, sparando nella nostra direzione senza però colpirci. 
Atterrammo oltre il cerchio di uomini, lanciandoci verso i vicoli bui mentre loro ancora si riprendevano dalla sorpresa. 
Obasi li spinse via senza alcun garbo, lanciandosi al nostro inseguimento prima dei suoi uomini. 
Ci sarebbero voluti almeno una ventina di secondi prima che gli stivali si ricaricassero, intanto eravamo obbligati a correre sul terreno, l'unico posto a noi poco favorevole, cercando verso l'alto un punto a cui appendere i nostri rampini per riguadagnare i tetti, la libertà. 
Purtroppo gli edifici erano troppo bassi per sfruttare il rampino, cosa che ci obbligava a cercare un vicolo abbastanza stretto da permetterci di salire balzando tra le pareti.
Ma prima avrei dovuto comunque liberarmi di lui, di Obasi. 
Avanzava sparando, colpendo muri, bidoni di metallo, facendo rimbalzare i suoi proiettili tra i muri dei fabbricati in miriade di scintille. 
Due uomini comparvero all'improvviso da una via laterale sbarrandoci la strada, il Grillo anziché rallentare accellerò, lanciandosi in avanti con tutta la spinta che il mio corpo poteva offrirgli, balzando tra i coni di proiettili con grazia ed eleganza, gettandosi sui due colpendo il primo con un calcio e il secondo con una spazzata. 
Obasi bestemmiò, alle nostre spalle, quel piccolo ostacolo gli aveva permesso di guadagnare un po' di terreno. 
Il Grillo cambiò strada, sperando che quel budello di vicoli e stradine potesse avvantaggiarci in qualche modo, ma appena svoltò si trovò altri due agenti pronti a far fuoco. 
Con un movimento rapido afferrò il coperchio di un barile di metallo, utilizzandolo prima a mo di scudo per poi lanciarlo verso i due, colpendone uno alla testa e uno al fianco, atterrandolo poi con un calcio e proseguendo oltre. 
Obasi alle nostre spalle stava ricaricando la pistola, questo ci offriva un'occasione. 
Il Grillo aumentò la potenza degli stivali e spiccò un balzo sollevandosi nel vicolo verso il magazzino direttamente di fronte, al fondo della strada. 
Ci sollevammo, ma non tanto quanto avremmo dovuto, la spinta degli stivali sembrava essersi dimezzata. 
Senza esitare il Grillo sollevò la mano, lanciando il rampino verso la facciata. 
Non saremmo arrivati in cima, ma una finestra forse...

Il vetro si deformò, la finestra si infranse ed il Grillo rotolò sul pavimento, tra pesanti macchinari metallici e vetri rotti. Eravamo atterrati al primo piano, meglio di niente ma comunque non il tetto. 
Obasi si era fermato al di fuori dell'edificio, subito raggiunto dai due uomini appena storditi e da altri che stavano giungendo lì dalle vicinanze. 
- Aprite la porta, sfondatela se necessario, non possiamo lasciarcelo sfuggire! - esclamava Obasi, dalla strada. 
- Ci siamo feriti? - mormorai.
"Non sembra" rispose il Grillo.
Avevamo il fiato corto, sfiniti da quella manciata di secondi di inseguimento come mai nella vita. 
Guardammo lo stivale destro, un proiettile aveva perforato il motore a gravità ridotta senza riuscire a ferirci. Un bel problema, ma forse qualcosa che saremmo riusciti a riparare. 
"Cerchiamo il tetto" disse il Grillo, avanzando verso la tenebra all'interno dell'edificio. 
Nessuno dei due però aveva idea di come fossero costruiti questi maledetti impianti di trattamento del pesce e quello sembrava addirittura essere stato abbandonato da parecchio tempo.
I vecchi macchinari, per lo più ricoperti di ruggine e polvere, sembravano essere oramai dismessi da tempo e perfino sulle pareti si era accumulato un tale strato di ragnatele e polvere da renderle impregnate di colate nere. Ci muovemmo in quel labirinto scricchiolante con l'orecchio sempre teso a ciò che avveniva al piano di sotto, ai colpi regolari degli agenti che cercavano di sfondare la porta.  
- Ce la possiamo fare - mormorai, - dobbiamo solo trovare delle scale, scale che vadano sul tetto, tutti gli edifici hanno un accesso al tetto da qualche parte, giusto? 
Il Grillo non rispose, anche se non potevo percepirlo mi rendevo conto che doveva aver usato il mio corpo oltre i suoi limiti quella notte e che tutte le sue energie mentali erano concentrate sulla necessità di rimanere in piedi. 
Non eravamo ancora a metà della sala, poco distanti dalla finestra da cui eravamo entrati, quando sentimmo la porta crollare e uno scalpiccio diffuso si perse nella tenebra.
Il Grillo tese l'orecchio, lo sentivo contare mentalmente, per lo più un eco distorto, forse la stessa maniera con cui lui ascoltava i miei pensieri. 
"3, forse 4" calcolò il Grillo. 
- Come vuoi agire? - domandai.
Il Grillo cercò con lo sguardo tutti gli ingressi visibili a quella sala  e si appostò nel buio, sfruttando l'unico vantaggio che avevamo in quella situazione, gli occhiali, potevamo facilmente vederli senza essere inquadrati dai coni di luce delle loro torce. 
Si appostò nei pressi di uno degli ingressi, rannicchiato nell'ombra al di sopra dei macchinari, approfittandone per riprendere fiato. 
Quando il primo degli uomini passò sotto di lui, il Grillo gli balzò addosso, stordendolo con un colpo per poi trascinarlo tra i macchinari e privarlo della sua pistola.
Una volta armati abbandonammo lo stanzone, sgattaiolando nella tenebra di un'altra sala, stavolta piena solo di piscine vuote circondate da braccia meccaniche, montacarichi e altri macchinari arrugginiti. Due agenti stavano ispezionando quella stanza con le torcia e pistola in pugno perlustrando ogni anfratto con la massima attenzione alla ricerca della nostra presenza. In realtà non fu difficile superarli inosservati dal momento che, poco lontano dalla porta da cui eravamo entrati, una scala di metallo arrugginito portava al piano superiore, una sorta di balconata interna che dava su un grande lucernario i cui vetri sporchi lasciavano penetrare azzurri raggi di luna. 
Era fatta. 
Con passo di piuma il Grillo salì rapido le scale fino a trovarsi tra catene pendenti, montacarichi e trasportatori utili, forse, per portare il pesce da lavorare ai reparti più interni dell'edificio. 
Lì lo scenario era ancora più labirintico, se possibile, con le catene ciondolanti che eclissavano la vista e tutti quei trasportatori ammassati in quantità vicino al soffitto. In più occasioni, scivolando nell'oscurità di quella balconata, sia io che il Grillo sentimmo fruscii o passi umani sopra il cigolio delle catene, ma procedemmo comunque spediti, certi del fatto che qualsiasi agente sarebbe stato anticipato dalla luce della torcia.  
Il Grillo cercò la finestra più vicina con lo sguardo e, senza far rumore, si incamminò in quella direzione. 
Una corrente d'aria fredda, la stessa che faceva oscillare i catenacci, ci guidò verso uno spiraglio, forse una finestra lasciata aperta che ci avrebbe permesso di fuggire indisturbati. Seguendo quel sottile filo ci districammo in quell'ammasso di ferrivecchi fino ad intravedere la famosa finestra aperta e, attraverso essa, il cielo. 
Sorridemmo entrambi, ancora pochi metri e saremmo stati di nuovo liberi, pronti a dedicarci ad una notte di sonno ristoratore prima di affrontare l'ennesimo, possibile, interrogatorio di Obasi.
Fu quando arrivammo a meno di due metri dalla libertà che un ragazzo comparve dall'intrico di catene pendenti puntandoci la pistola addosso. 
Non aveva torcia elettrica, solo la lucida pistola di metallo che brillava sotto la luce azzurra della luna ed il volto in ombra, impossibile stabilirne le intenzioni. 
Il Grillo si congelò, la mano stretta attorno alla pistola rubata. Tentennava, cercando di scorgere i lineamenti dell'agente, intanto stringeva la pistola con mano tremante, piena di incertezza. 
- Sparagli... - mormorai, - è quasi finita. 
Ma il Grillo sembrava ignorarmi, incerto sul da farsi di fronte a quella canna lucida, a quel foro nero che avrebbe potuto ucciderci.
- Che fai? Che aspetti! - ringhiai, esortandolo a fare l'inevitabile, a rispettare l'unica legge che ancora fa ruotare questo mondo: uccidi se non vuoi essere ucciso.
All'improvviso l'agente disarmò il cane ed abbassò l'arma, facendosi da parte.  
Tre punti interrogativi comparvero sul cilindro. 
La luna ora illuminava il volto dell'agente. Era un ragazzo, poco più che un ventenne fresco di addestramento. Ci guardava con un'espressione innocua, quasi di speranza. 
- Non fidarti - mormorai. 
Invece il Grillo si fidò, lasciò la pistola e si lanciò in avanti superando lo spazio tra lui e la finestra in poche falcate per poi balzare all'esterno, verso i tetti, verso la libertà. 
Eravamo salvi, ma ancora non sapevamo quanto ci sarebbe costata quella notte. 

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