Buio

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Il sole sorse presto in quella mattinata particolarmente fredda.
Il mio corpo era scosso da tremolii e brividi di freddo.
Me ne ero stata rannicchiata su quella panchina di fradicio legno scuro tutta la notte, senza mai riuscire a prendere sonno.
Le mie cosce ed i miei piedi erano scoperti e quindi, per il troppo gelo, avevano perso sensibilità durante quella notte di insonnia.
Mi alzai mettendomi seduta, con la testa che batteva anche più forte della scorsa sera e le mani che tremavano più del resto del corpo, più del dovuto.
Non riuscivo a muovere la caviglia destra.
Avevo i piedi sporchi di fango e la coda completamente sfatta.
Decisi di scioglierla, liberando i miei capelli (c/c).
Passai le dita tra le ciocche lunghe, cercando di dargli un po' di contegno e pettinarli un poco.
Poi li raccolsi con le mani e li legai con l'unico elastico che ero riuscita a portarmi.

Guardandomi meglio notai che, alla mia camicia nera, si erano appiccicate delle foglie.
Con un po' di disgusto le tolsi.
Mi alzai, trattenendo un urlo di dolore.
Mi ero proprio dimenticata della caviglia.
Sistemai la gonna cercando di coprirmi di più il sedere, ma come potevo fare?
Quella divisa era fatta apposta per eccitare quei buoi in calore, così ci rinunciai e mi posizionai davanti alla vetrina del negozio di giocattoli.
Inizialmente mi concentrai sulla mia immagine: i capelli sporchissimi che avevo appena riordinato erano intrecciati in una maniera complicatissima, il viso era pallido e malato, probabilmente avevo la febbre, la camicia nera fradicia, come la gonna blu, i quali bordi erano sporchi di fango e non c'era bisogno di uno specchio per sapere che avevo la pelle d'oca.
Mi girava la testa, sembrava andare di male in peggio.

Scorsi l'orologio sulla parete.
Le lancette segnavano le sette del mattino.
Bene!
Di sicuro uomini e donne si staranno già muovendo per raggiungere il proprio posto di lavoro e magari avrei trovato qualcuno di buono e compassionevole, disposto ad aiutarmi.
Ci sono poche persone così al giorno d'oggi: tutti vanno di corsa, tutti hanno fretta e pensano per se, senza mai voltarsi, senza mai guardarsi intorno o provare a scorgere altro che non sia il loro egoistico obbiettivo.
Se sapessero fermarsi, voltarsi o guardarsi intorno, si accorgerebbero dei malati, dei poveri, di me...
Se qualcuno provasse ad uscire dai rigidi schemi che la mente gli impone, magari l'uomo sarebbe più umile.
La nostra mente continua a dirci "fai quello, vai lì, vai là e sbrigati!"....
No... prova a rispondere, prova a dire "aspetta! Non vedi che quella ragazza è in difficoltà? Proviamo ad aiutarla" forse così le vite di molte persone si riaccenderebbero e si riempirebbero di speranza.
Quella non ci deve mai abbandonare...

Mi risveglio dalle mie riflessioni.
Spesso mi capita di rimuginare sul senso della mia vita, sul senso del ciclo degli eventi, fortuna o sfortuna che sia.
La cosa migliore da fare ora è procurarsi qualcosa da mangiare.
È dalle 17 di ieri che non mangio ed io che sono abituata a mangiare molto ne soffro anche di più!
Ma come si fa senza soldi?
Non avrei mai rubato, quello no!
Non avrei mai dimostrato di essere disperata a tal punto, come il tizio del volantino... Hatake?
Boh, non ha importanza, ora voglio solo mangiare e poi avrei pensato al resto, una cosa alla volta.

Iniziai ad incamminarmi, ovviamente, zoppicando per via della mia caviglia ferita.
Oramai il mio corpo non faceva più caso al freddo, non lo sentivo più.
L'aria fredda mi entrava dalla bocca e dal naso, pizzicandomi per il gelo.
La sentivo congelarmi da dentro, così mi premurai di fare respiri meno profondi.

Dopo qualche minuto, forse una mezz'oretta, scorsi un piccolo bar che, dall'insegna sembrava aperto.
Mi avvicinai e riuscii a leggerla: la scritta "OPEN" brillava scintillante con mille colori.
Spinsi leggermente la porta ed entrai.
Era in stile rustico con una pavimentazione in legno abbastanza chiaro, come i muri e le mensole.
Anche tavolini, sedie e sgabelli erano di legno, solo che quest'ultimo era più scuro.
Mi avviai al bancone e mi sedetti su uno sgabello.
Appena mi appoggiai lo sentii scricchiolare leggermente.

Il bar era completamente vuoto, apparte me.
Non c'era traccia di essere umano.
Guardandomi intorno notai un campanellino di ferro lucido poggiato sul bancone alla mia sinistra.
Afferrai l'arnese e lo sollevai dall'asse di legno e lo scossi leggermente.
Un tintinnio allegro si sprigionò dal campanello.
Subito una voce femminile mi rispose con il tono di chi a fretta:

???: "Arrivo! Un attimo!"

Da quello che si poteva dedurre, non doveva essere proprio una ragazzina.
Comunque sia dovetti aspettare e, durante l'attesa, notai che negli scaffali dietro il bancone, erano presenti numerose bottiglie di dimensioni e colore diverso.
Su tutte c'era una targhetta che doveva indicare che tipo di bevanda era, ma io non riuscivo a leggere.
Sentii dei passi avvicinarsi e una donna mi raggiunse dietro al bancone: aveva la carnagione chiara e le labbra segnate con del rossetto rosso; portava una divisa colore verde e aveva dei capelli biondi, quasi fino al sedere, legati in due codini bassi.
La donna, che apparentemente sembrava giovane, mi chiese:

???: "Allora ragazzina cosa vuo-"

Si bloccò improvvisamente guardandomi.
Doveva aver notato quel mio aspetto così sciupato e penoso.
Aveva una faccia sconvolta, non capita tutti i giorni di incontrare una ragazza ridotta in questo stato.
Senza esitare mi chiese:

???: "Che ti è successo?"
(T/n): "Lunga storia..."

Risposi.
Lei non sembrava convinta, ma comunque cambiò discorso chiedendomi cosa volessi.
Io risposi che non avevo soldi e che stavo morendo di fame.
Lei inizialmente mi guardò male, poi il suo sguardo si addolcì e improvvisamente mi chiese:

???: "Come ti chiami ragazzina?"
(T/n): "Il mio nome è (t/n)"

Mi guardò e mi sorrise:

???: "Bene (t/n), il mio nome è Tsunade e oggi ti offrirò una colazione!"
(T/n): "S-Sul serio?!"
Tsunade: "Si! E devi ritenerti fortunata!"

La ringraziai infinitamente mentre mi porgeva un croissant alla nutella e una tazza di caffè.
Divorai tutto con gusto mentre lei puliva un po' le bottiglie di quello che poi avevo scoperto essere Sakè.
Devo ammettere che in quanto dimensioni, lei mi superava alla grande!
Cioè, non è da me guardare certe parti del corpo, ma come si fa a non notarlo, ce le ha enormi!
Ehm ehm... ok basta.

Parlammo un po' e poi la salutai.
Era davvero una persona gentile.
Non avevo idea di quando avrei potuto rimangiare.
Tornai con passo claudicante alla panchina di legno, ancora completamente fradicia.
Mi sedetti con sguardo triste decidendo di aspettare qualcuno che mi avrebbe aiutata.

Una macchina!
Un'auto rossa stava sfrecciando verso di me.
Mi alzai in piedi e sventolai la mano, ma il guidatore mi ignorò completamente continuando a sfrecciare per la sua strada.
Ecco, lo sapevo.
Azioni come queste si susseguirono per tutta la mattinata, riducendo la mia autostima ad una briciola di pane ingoiata da un piccione in fiamme sotto la ruota di una macchina.
Il tempo passava veloce e in poco tempo si fece pomeriggio.

Stavo seduta sulla panchina e, ad un certo punto, sentii l'ennesima macchina arrivare.
Quella volta non me la sarei lasciata sfuggire... mai!
Mi alzai di scatto e, velocemente, corsi in mezzo alla strada, dove mi arrestai.
Mi girai verso l'auto che aveva iniziato a mandare suoni di clacson.
Non mi scostai e continuai ad agitare le braccia, facendo segno di rallentare, di fermarsi.....

Avevo una paura incredibile, che quasi me la facevo sotto.
L'agitazione mi teneva in piedi.
A pochi metri da me la macchina si arrestò di colpo facendomi mancare un battito.
L'emozione era così tanta che la vista mi si offuscò e le gambe cedettero.
L'unica cosa che riuscii a vedere era lo sportello aprirsi, poi svenni.
Il buio mi avvolse completamente....

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