Arte

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[T/n]

La mattina seguente mi svegliai di soprassalto.
Il motivo?
Il mio cuore tamburellò forte sotto la felpa grande e grigia, quasi la volesse squarciare insieme al mio petto e uscire dalla cassa toracica, quando le mie orecchie udirono quel maledetto suono; quel suono che mi aveva tanto intimorita a riempita di insicurezza, che mi aveva spaventata a morte nelle persecuzioni dei miei sogni...
Un suono freddo e metallico, privo di vita, pieno di cattiveria ma, allo stesso tempo, misterioso e pieno di segreti.
Mi incuriosiva come non mai la suoneria di quel cellulare.
Era il motivo dei miei constanti pensieri e dubbi su quella faccenda: avevo mille domande da fare ad Hatake.
Aveva, effettivamente, dei debiti importanti da saldare?
Quelle promesse non mantenute valevano la sua vita?
Lui era in pericolo?
Questi pensieri mi assillavano anche la notte, nei miei sogni e nei miei occhi...
Se lui fosse davvero in pericolo, se un giorno dovesse abbandonarmi per sempre, in qualsiasi modo, dove sarei andata?
Che ne sarebbe stato di me, della mia insulsa vita?
Non mi sto affezionando, no signore, lui mi serve solo per sopravvivere!
Questo era quello che pensavo allora, ma forse lo facevo solo per nascondere una grande verità, la verità che mi sarebbe costata cara ma che non avrei mai abbandonato....

Insomma non volevo che lui se ne andasse anche perché non avevo obbiettivi per il mio futuro e non sapevo effettivamente dove fossi e, perciò, come tornare al punto di partenza, dove tutto aveva avuto inizio.
Ora stavo bene: i lividi e le ferite sul mio corpo non dolevano più e andavano via via sparendo.
Solo la caviglia era un po' più problematica e lui constatava che ci sarebbe voluto un po' prima che guarisse.
Fortuna mia, pensai.

Appena mi alzai, quel suono maledetto sparì, segno che evidentemente lui aveva risposto.
Me lo immaginai: in piedi, con l'aggeggio elettronico in mano, quest'ultima sta tremando dalla tensione e sulla sua fronte del sudore, traditore e freddo, gli bagna la pelle chiara.
A quella visione le mie gambe si mossero da sole, procurandomi dolore alla caviglia ferita ma non ci feci caso: volevo vederlo al più presto; io lo avrei consolato, distraendolo da quei pensieri.

Mi piaceva aiutare le persone.
Sin da piccola avevo questa idea sul genere umano; troppo occupati per dar importanza ai bisognosi, perciò, decisi che li avrei aiutati io.
Più che altro, all'orfanotrofio, aiutavo il bambino biondo, Naruto.
Lì, ovviamente, si faceva anche scuola perché "I bambini devono istruirsi per diventare adulti meritevoli", tuonava il direttore dell'edificio quando noi ci lamentavamo dei compiti e delle noiose lezioni.
Comunque sia, Naruto, era una vera frana!
In qualunque materia era sempre capace di fare ogni sorta di errore!
Fu per questo che lo aiutai sempre a ripetere gli argomenti spiegandogli, anche più di una volta, le cose non percepite dalla sua mente (ed erano tante eh!).

Scesi le scale, come di routine, zoppicando in modo più lieve.
La caviglia stava pian piano migliorando!
Non sapevo se gioire o meno...
Se fosse guarita me ne sarei andata, lo avrei lasciato ed io non volevo.
Io desideravo restare con lui o mi sarei sentita terribilmente sola.
Avevo paura del mondo esterno e se lui non fosse stato con me, chi mi avrebbe protetto?
Forse anche per questo stavo con lui: avevo bisogno di uno scudo sotto cui ripararmi...
Terribilmente codarda...

Scacciai le riflessioni dalla mia mente accorgendomi di essere arrivata, inconsciamente, alla fine del mio percorso.
Mi guardai intorno...
Di lui nessuna traccia.
Gironzolai per la cucina e poi, non trovandolo, passai al salotto.
La portafinestra era aperta: doveva trovarsi sul balcone.
Mi affacciai fuori e lo vidi, come avevo previsto, lì appoggiato sul cornicione del balcone.
Era di spalle rispetto a me.
Feci un passo verso di lui ma, con la mia goffaggine, feci cadere la scopa di legno appoggiata ad una parete.
L'impatto con le mattonelle di cemento fu abbastanza forte, ma lui sembrò non sentirmi.
Raccolsi l'arnese e lo riposizionai al suo posto, cercando di metterla in un punto strategico per non farla cadere di nuovo.
Una volta fatto mi avvicinai a lui lentamente, la brezza mattutina che scompigliava i capelli di entrambi, fresca e campagnola.
Lo guardai: aveva lo sguardo beato e gli occhi chiusi, godendosi il venticello con il viso rilassato.
Mi dispiaceva disturbarlo ma avevo fame!

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